Anita

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28/04/2023

Ore 12:45 Reparto.

Manuel non ha nemmeno finito di compilare il diario di bordo che è corso dritto verso la stanza dove, di solito, Simone fa la pausa mensa di un'ora. Si affretta ad entrare e «Simò, so che sei in pausa pranzo, ma te prego, me puoi da' un passaggio?» il tono di voce risulta leggermente più acuto del solito.

Simone si alza in piedi e si mette di fronte a Manuel «Oh, Manu, sì. Tutto bene?» chiede.

«Sì, cioè no-- te prego. Da quando m'hanno ritirato la patente è tutto un casino e m'ha chiamato mi madre e il bus passa tra mezz'ora, quindi arr--» Manuel inizia a parlare velocemente, quasi non divide una parola dall'altra. Non riesce a portare a termine la frase che Simone lo interrompe
«Manuel, respira» gli dice, posandogli una mano sulla spalla prima di continuare a parlare «Ti ci porto, dimmi dove».

«A c-casa. Grazie» sussurra, ancora sconvolto dalla chiamata ricevuta.

Manuel da le indicazioni necessarie a Simone per arrivare a casa loro dal policlinico, il resto del viaggio lo passano in silenzio.

Manuel continua a far muovere una gamba mentre si mordicchia l'indice della mano destra.
Va avanti in quel modo finché la macchina di Simone non si ferma sotto casa sua. Manuel scende di corsa, senza dire nulla a Simone. Per quello Simone si costringe a seguirlo perché non sa se ha bisogno di aiuto, se può andarsene o se gli serve altro. Non è riuscito a capire nulla se non che è più agitato di quanto sia mai successo da quando lo conosce.

Manuel entra in casa e «Mà, mà» inizia ad urlare, sperando che la donna risponda.

«So' in bagno, Manuel» risponde.

Manuel, respira.
Finalmente lo fa. Lo fa per davvero e non solo perché glielo ha chiesto Simone.

Lo fa perché la voce di sua madre è squillante, quindi può escludere gli scenari peggiori.

«M'hai fatto venì un colpo. Che hai combinato?» chiede mentre entra in bagno, le si avvicina e le porta le mani sulle guance per lasciarle un bacio sulla fronte.

«Non lo so, me stavo a lava' e so' caduta. Solo che non me riuscivo a rialza'» Anita cerca di guardarlo negli occhi, ora che sono entrambi seduti sul pavimento del bagno, ma Manuel la stringe a se in un abbraccio.

«Quante volte t'ho detto de non fa ste cose quando stai da sola a casa?» è tre anni che le ripete in continuazione di non fare nulla quando è da sola, solo che ora che sta recuperando la sua autonomia le cose stanno cambiando.

«Sto fresca, allora» dice.

Manuel alza gli occhi al cielo, a quella affermazione della madre, e si stacca da lei «Mo te porto in ospedale a fa' un controllo» risulta categorico. Manuel si rialza in quel poco spazio che hanno, per cercare di capire come tirarla su.

«Ma che sei pazzo? So' solo caduta» ribatte Anita con convinzione.

«Non stavo in casa non potemo sape' perché t'è successo»

Manuel le porta un braccio intorno alle spalle e l'altro sotto le gambe «Ho inciampato, fijio mio, che dev'essere successo? Aaah, fa piano» Manuel cerca di sussurrare una litania di scusa nell'orecchio della madre. Sa che spesso anche solo il tocco di qualcuno le fa male.
Manuel ha scoperto, in quegli anni, che si chiama allodinia. È la percezione di una sensazione dolorosa a stimoli che non dovrebbero provocare dolore.

Dall'ingresso sente provenire un «Manu-- tutto bene?» ed è in quel momento che si accorge che Simone è ancora lì.

«Sì, Simò» si affretta a rispondere per poi rivolgersi nuovamente alla madre. «Mo te porto sul letto. Reggite bene col braccio sinistro al mio collo. La stampella, 'a piglio dopo» detto questo si alza lentamente cercando di non prendere dentro in nessuno spigolo.

Cammina lentamente lungo il corridoio tenendo stretta Anita tra le braccia, la quale gli sussurra: «Manu, grazie per essere venuto subito».

Sorride mentre la adagia delicatamente sul letto.

«Statte bona lì che arrivo tra due secondi» le raccomanda prima di dirigersi alla porta di ingresso, dove ci sta ancora Simone.

«Simò, te-- non è che te posso chiedere 'n altro favore?» porta una mano alla nuca e si gratta leggermente i capelli mentre aspetta una risposta dall'altro.

«Seh, dimmi» 

«Tanto devi torna' in ospedale... ce-- ce lasceresti giù al pronto soccorso?» chiede titubante come se non volesse spingersi troppo in quella confidenza che si sta prendendo.

«E me lo chiedi pure? Certo»

«Scusame» gli dice cercando di far trasparire tutta la gratitudine che sta provando. Gli fa cenno con la testa di seguirlo, così da avere un aiuto in più. Passa prima dal bagno a recuperare la stampella, così come aveva precedentemente detto alla madre. Simone lo aspetta all'ingresso del corridoio, per poi seguirlo quando ritorna dal bagno con in mano la stampella.

«Ma', ci porta Simone» dice entrando dalla porta e indicando l'altro ragazzo.

Anita cerca di tirarsi su in qualche modo, almeno per appoggiarsi sullo schienale prima di girarsi verso Simone e parlare.

«Guarda te in che condizioni me fai presenta', so' Anita, la madre de sto disgraziato» dice per poi girarsi verso il figlio e sussurrare «Me potevi dì che non eri solo».

Che poi Anita non è in chissà quali condizioni: ha addosso una tuta grigia larga e i capelli raccolti in una coda, non troppo stretta, fatta da Manuel quella mattina.

«Simone, piacere» non allunga la mano per presentarsi, ma fa solo un cenno di saluto e Manuel è grato perché altrimenti si deve trovare a spiegare perché sua madre non riesca a stringerla una mano.

«C'avevo altro a cui pensa', te che dici?» ribatte poi.

«Vabbè, ce dobbiamo proprio anda'?»

«Non si discute» risponde Manuel tirando su una cartellina che ha tutta l'aria di essere una cartella clinica.

«Se 'o sapevo prima, che sarei stata soccorsa da due giovani come voi, me lo sarei fatta venì prima l'ictus» Anita lo dice mentre i due ragazzi l'aiutano a tirarsi su. Manuel la guarda male, non per cattiveria, ma perché gli provoca un certo fastidio. Gli ricorda momenti che vorrebbe dimenticare.

«'A mà, la vuoi pianta'?» dice quindi.

Sa quanto sia stato difficile, per lei, accettare quello che le è successo. Si ricorda anche i primi tempi quando tutto sembrava insormontabile e la riabilitazione non sembrava portare i risultati sperati.

Piano piano, poi, Anita aveva iniziato a reagire anche grazie alla psicologa dell'ospedale. Aveva iniziato a scherzarci sopra da poco, quando i risultati iniziavano a vedersi davvero e, da quel momento, ci scherzava ogni volta che poteva.

«Sei 'na palla, fijio mio. Guarda che sdrammatizzare e scherzare è l'unico modo per rendere 'sta vita accettabile». Manuel vede anche Simone sorridere in quel momento e lui scuote la testa.

È una battaglia persa, ma forse ha ragione sua madre.

Sdrammatizzare rende le cose accettabili e non ti dà modo di soffocare.

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