Capitolo sette

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Gabriela da una parte fu sollevata del fatto che la sua abuela non avesse visto e sentito Alejandro; dall'altra si chiedeva come ciò fosse possibile e cominciò a mettere in dubbio la sua sanità mentale.
Decise che avrebbe passato la mattinata in camera sua, a fingere di cercare nell'armadio il vestito per la serata che la attendeva.

Sapeva benissimo dove fosse in realtà, piuttosto voleva prendersi del tempo per cercare quantomeno di capire cosa diamine fosse appena successo nella sua vita.
Così, seduta sul letto a gambe incrociate decise che voleva saperne di più, non prima chiaramente di averlo rimproverato.

«Non farlo mai più! Se io ti dico di restare qui, tu resti qui, siamo intesi?»   gli disse con aria serissima puntando più volte l'indice sul materasso.

«Non puoi chiedermi questo. Andiamo! Non ti basta che io sia già morto? Sono qui solo per pochi giorni e devo stare come se fossi in punizione in camera tua? Te lo scordi!»

Alejandro stava seduto sulla poltrona, ma stavolta sottosopra. Le gambe lungo lo schienale e la schiena poggiata sulla seduta. La testa, lasciata ciondoloni, gli consentiva di guardare tutto al contrario.
Le sorrideva con aria divertita perché sapeva che, per quanto lei avrebbe protestato, avrebbe comunque sempre vinto lui. Essere morti aveva il suo vantaggio, dopotutto.

«Secondo me ti hanno sparato perché sei irritante. Hai fatto arrabbiare qualcuno, vero?» sussurrò lei che in realtà voleva saperne di più.

«Mmm no mi vida, ritenta.»

«Accoltellato?» insinuò con aria ironica.

«No, sei fuori strada. Piuttosto, che si fa stasera? Andiamo per bancarelle?»

Lei sgranò gli occhi a questa proposta.
«Andiamo? Che vuol dire andiamo? Tu sei matto, IO vado per bancarelle! Tu stai qui a casa e mi aspetti, da bravo.»

Le comparve accanto all'improvviso e la fissò negli occhi con fare implorante.
«Ti prego, ti prego, ti prego. È tanto tempo che non ci vado.»

Gabriela si sentì profondamente in imbarazzo a essere fissata da quegli occhi neri; due pozzi ipnotici in cui sentiva di potersi perdere, tanto che, dopo qualche istante, ne distolse lo sguardo.
«E chi te lo vieta? Solo che... Perché devi venire con me!? Non puoi svolazzare per bancarelle da solo?» agitò le mani mimando delle ali.

«Perché... mi hai chiamato tu qui e quindi sei responsabile per me? Perché da solo non è divertente? Sei l'unica con cui, a quanto pare, posso parlare e... Ehi, comunque io non svolazzo!»

Lei poggiò il viso sul pugno chiuso e, sbuffando verso l'alto, fece volare la solita ciocca ribelle di capelli che le ricadeva sempre sugli occhi.
«Dimmi tu se adesso mi devo sentire responsabile anche per un fantasma» , brontolò tra sé e sé, «e va bene, vieni, ma ti avviso. Muto e resta vicino a me!»

Le si avvicinò così tanto che lei cominciò a sentire il freddo sulla pelle.

«Non così vicino», si sfregò il braccio per scaldarlo.

«Perdonami mi vida. Una volta ero muy caliente» le disse guardandola con aria sorniona e maliziosa.

«Non... Non credo di volerlo sapere.» Si mise una mano sugli occhi arrossendo senza volerlo.

«A che ora usciamo?»

Gabriela pensò che cambiava argomento alla velocità della luce, era frenetico e così, in maniera del tutto spontanea, gli domandò:
«Ma non ti rilassi mai? Sei sempre così elettrizzato?»

«Mi prendi in giro? Rilassarmi? Sono morto, più rilassato di così?! Tra l'altro il tempo a mia disposizione è poco perciò voglio vedere un sacco di cose.»

Fiori nell'aldilà - una storia d'amore trascendentale Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora