Capitolo diciannove

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«Oh abuelo, avresti dovuto vederlo come correva via.» Sorrise mentre sulla tomba del nonno raccontava di Fernando a cavallo. «Lo so che non dovrei ridere, ma era così buffo, dovevi vedere come si agitava per la gelosia, stava svolazzando,» concluse indicando Alejandro.

«Non sono geloso. E non svolazzo!» si finse offeso girandosi di spalle.

«Sì che lo sei. Io lo sarei di te.» Lo guardò sottosopra, stesa sulla pietra che fino a poco prima stava usando come gradino.

«E va bene mi Vida, lo confesso, sono geloso di mister perfetto. Però non svolazzo!» ammise sorridente e soddisfatto della dichiarazione di Gabriela.

Lo aveva portato lì. Dall' unico membro della famiglia a cui avrebbe potuto presentarlo senza problemi. Lo aveva presentato come "il ragazzo che ha catturato il mio cuore, anche se è un'anima gentile che non posso toccare. Mi fa sorridere e mi fa sentire speciale, come facevi tu con la tua amata."

Alejandro restò molto colpito da quelle parole e si sentì vivo in un modo che non avrebbe mai pensato possibile.

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(***) «Awww? Lo ha presentato alla famiglia. Non so—»

(***) «...no carini. Sì, sì, sono carini! Abbiamo capito. Bisogna dire a Tlaloc di riprenderselo. In fondo ne è responsabile lui» esordì mentre scacciava con la mano un colibrì che stava giocando con una delle sue piume.

(***) «No, aspetta, in che senso riprenderselo? Ma soffrirànno.» Passava lo sguardo da uno all'altro dei presenti cercando uno spiraglio di speranza.

(***) «Siccome l'ultima parola spetta sempre a te, te lo chiedo di nuovo T, vuoi davvero separarli? Ammettilo che la cosa ti sta appassionando. Siamo qui a guardare questi due, come una telenovela, ormai da giorni, tu compreso!»

Al sentirsi chiamare di nuovo come “T”, Tonathiu cominciò a brillare in maniera impercettibile. Restò serio, come si conveniva a una divinità, serio e impassibile.
(***) «Farò venire qui Tlaloc. E gli faremo sistemare la cosa. Molto semplice.» La sua voce risultò gelida e decisa.

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Tlaloc fu convocato il giorno seguente e fece il suo solito ingresso trionfale con lampi, nubi e pioggia.

(***) «E chi dovrebbe asciugare, di grazia secondo te? Ma non puoi evitare?» gli sibilò Pilli guardando con orrore il lucido pavimento.

(***) «Quello è il minore dei problemi. Abbiamo un altro problema. Pare , e dico pare, che a un certo dio della pioggia e dei morti annegati sia sfuggito qualcuno... Tu ne sai niente Tlaloc?» esordì T lo guardandolo a occhi stretti con fare indagatorio senza girarci intorno.

Tlaloc decise di mentire e sul suo volto si dipinse un'espressione di autentico stupore.
(***) «Davvero? Si dice così in giro?... Non vorrai cred—»

Non fece in tempo a finire la frase che T cominciò ad illuminarsi, segno che la sua pazienza era ormai appesa a un filo sottilissimo e la cosa lo fece crollare all'istante.

(***) «E va bene d'accordo, lo sapevo, stavo cercando di risolverla . Ho cercato di riportarlo indietro, ma non ha funzionato. Il mio potere non è bastato.»
Piagnucolò e le sue lacrime caddero a terra mescolandosi all'acqua sul pavimento.

(***) «Niente batte l'amore. Vero T? Tu dovresti saperlo bene. E loro sono cos—»

(***) «CARINI! HO CAPITO! BASTA!» Si illuminò così tanto che i presenti sentirono l'esigenza di schermarsi gli occhi con una mano.
Poi si calmò, sospirò, e smise di splendere.
«Allora, l'ultima volta non conta. Sì avete capito, parlo di quella, quando ho creato quel fiore e queste… mosche colorate volanti. Mi sono fatto intenerire quella volta. E rimarrà l'unica! Ma anche se fosse e dico, ma… C'è un ma!»

(***) «Cosa, T? Noi siamo dèi, divinità, facciamo quello che ci pare, abbiamo i super poteri! No?» concluse Yaca.

(***) «Teoricamente. Cosa è quello?» Puntò l'indice verso una precisa direzione.
Apparve sulla parete, un contatore rotondo, contornato da fiammelle blu, con dei numeri a destra e a sinistra di diversi colori. Al centro una freccia d'oro, la cui punta, indicava perfettamente il mezzogiorno.

(***) «Il conta anime, che altro dovrebbe essere?» Tlaloc si inserì nel discorso.

T pensò, per un'attimo, di essere circondato da idioti e non da antiche e potenti divinità.

(***) «Appunto! La freccia deve stare al centro, in perfetto equilibrio! Né a destra né a sinistra! Non si può sconvolgere il conta anime! Lui non dovrebbe essere lì, ma finché resta così, morto, non crea troppi danni! Voi volete renderlo vivo. Bene, non lo faccio. Non si può fare! Se volete lo trasformo in una pianta, in una mosca, in quello che vi pare. Ma altro, no!"

Aveva detto l'ultima parola e non si sarebbe mosso da quella posizione. Togliere equilibrio al conta anime significava creare il caos tra il regno dei vivi e quello dei morti. E non poteva assolutamente permetterlo.

(***) «A meno cheeeeee...»

(***) «Ho paura delle tue idee Pilli, sento che mi scoppierà la testa a breve.»

(***) «No dai, questa è geniale, ascoltatemi! Se lui torna vivo… facciamo morire qualcuno e il conta anime torna in equilibrio! No?»

(***) «Geniale è proprio l'aggettivo che avevo in mente. Quindi ne ammazziamo uno a caso o hai pensato anche a chi sacrificare?» Yaka sogghignò con ironia.

(***) «Non ci ho ancora pensato. Ti farò sapere.» Pilli uscì fuori dalla sala in tutta fretta sotto lo sguardo perplesso dei presenti.

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Julieta aveva notato che sua nipote in quei giorni era diversa. Alternava momenti in cui sembrava parlare da sola, a momenti in cui pareva triste.

Era convinta che avesse a che fare con quel ragazzo, quel Alejandro, che non si era più visto in giro. Così, con la scusa di andare al mercato pensò a come chiederle se per caso ci fosse qualcosa che non andasse.

Appena arrivate in piazza, Julieta, mani dietro la schiena, decise di lanciare l'esca.
«Guarda, era proprio lì che tuo nonno suonava, poco prima di decidere di prendersi gioco di me.»

Gabriela sorrise. Guardò Alejandro qualche metro più in là, che cercava di spaventare una gallina così come aveva fatto col cavallo di Fernando e cercò di non scoppiare a ridere. Riportò lo sguardo sulla nonna.

«Abuela, posso farti una domanda?»
Al cenno affermativo andò avanti. Non sapeva come affrontare l'argomento, tuttavia aveva un disperato bisogno di parlarne. Aveva bisogno di sapere come reagire alla frustrazione quando in certi momenti le prendeva il pensiero di abbracciarlo e baciarlo, ma non poteva.

«Tu lo ami ancora il nonno, vero? Anche se è morto e non puoi più abbracciarlo?»

Julieta si fermò a riflettere un secondo. Era rimasta arrabbiata col marito per un po', per averla lasciata sola. Era rimasta arrabbiata di giorno, perché per un po' aveva continuato ad apparecchiare per due, ma aveva mangiato da sola. Era rimasta arrabbiata la notte, quando allungava la mano nel letto per cercare la sua, senza trovarla.

«Lo amo come se lo avessi incontrato ieri. E quando morirò pure io, non fare quella faccia, avrò tutta l'eternità per abbracciarlo. A meno che nel frattempo non si sia trovato una nuova fidanzata. Ma piuttosto, volevo chiederti, non hai più visto quel ragazzo tanto carino? Mi sarebbe piaciuto riaverlo a pranzo.» Si lasciò andare a una risata leggera.

Alejandro, che aveva ascoltato tutto, dall'altro capo della piazzetta, gridò felice.
«Ehi, parla di me!»

«Lo so!» rispose lei. Poi, come ormai faceva sempre, andò avanti cercando di costruire una frase con un senso.

«Lo so, sarebbe piaciuto anche a me, ma non credo lo rivedremo. Era qui solo per la festa,» sospirò senza volerlo.

«Peccato. Davvero un peccato» rispose Julieta riprendendo a camminare e sorridendo tra sé e sé.

Fiori nell'aldilà - una storia d'amore trascendentale Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora