Capitolo dieci

123 39 162
                                    

«Allora? Me lo racconti o no?»
Gabriela aspettava con impazienza che Alejandro si decidesse a parlare.
Finché lui, vinta quella leggera titubanza che avvertiva dentro di sé, si decise e cominciò.

«E va bene. Ma non ridere! Era questo stesso periodo dell'anno. Non ti so dire il giorno esatto, perché non lo ricordo. Non chiedermi dove fossi, mi piaceva girare il mondo; non rimanevo mai nello stesso posto troppo a lungo, ma ricordo che non vedevo l'ora di poter andare alla festa in piazza. Come ti ho detto, avrei ballato tutta la sera con la ragazza più bella e avrei mangiato tante cose buone.»

Gabriela non osava interromperlo, si limitava a fare dei cenni di assenso con la testa e a giocherellare con i suoi stessi capelli. Era così serio mentre raccontava questa cosa, in un qualche modo triste, che se avesse avuto una mano da tenere gliel'avrebbe tenuta. Si limitò allora a metterla accanto alla sua, sul letto, ma a debita distanza.

«Così mi sono incamminato verso il paese che avevo scelto di visitare. Camminavo lungo il fiume e, mentre passavo vicino a un ponte, vidi un uomo gettare un sacchetto. Lì per lì non ci feci nemmeno caso, ma quando il sacchetto mi passò vicino sentii piangere dei gattini.
Ti ho già detto che sono carini vero?» Sbatté gli occhi e sul suo volto si stampò un sorriso imbarazzato. 
«Mi sono sporto per prenderli perché ero certo che sarebbero affogati. Così sono caduto nel fiume senza saper nuotare. Ecco, sono morto così; come un idiota. Ho fatto tutto da solo. Ti aspettavi chissà quale morte avventurosa, vero? Mi spiace mi vida di aver deluso le tue aspettative. Ah, però i gattini li ho salvati lanciando il sacchetto a riva, prima di sparire trascinato dalla corrente, se può interessarti.»

Aveva un'aria così imbarazzata, per aver raccontato questa cosa, secondo lui, non solo priva di avventura, ma, addirittura ridicola, tanto che evitava il contatto visivo.

Allora Gabriela cercò di attirare la sua attenzione, mettendo il viso sotto il suo, così da costringerlo a guardarla.
«Ehi. Non penso che tu sia idiota. Anzi. Sei un eroe. Ben poche persone avrebbero fatto ciò che hai fatto tu.»

«Smettila di prendermi in giro. Eroe è uno che salva belle ragazze dai pericoli, che salva signore dagli incendi, bambini dai rapimenti. Non uno che, come un idiota, cade nel fiume e muore da solo per dei gattini.»

«Vuoi che ti dica che sei un'idiota? Ok, sei un'idiota. Ma non certo per come sei morto. Trovo che sia una cosa molto bella quella che hai fatto, Alejandro.»

Gabriela aveva gli occhi lucidi; pensava che quel ragazzo di fronte a lei era morto da solo, per salvare dei gattini. Come avrebbe mai potuto prenderlo in giro, pure se aveva quella faccia da schiaffi?
Cosa ne sapeva lei di cosa significava morire? Il suo amato nonno era morto, anziano, nella sua casa, nel suo letto, tra le persone che amava e che lo amavano. Lui no. Lui era morto, giovane e solo. E questa cosa era triste in un modo davvero doloroso.

«Hai sofferto molto?»

«Non troppo» mentì lui, non volendo farle del male, raccontando la devastante sensazione di terrore e di dolore provata nel sentire la vita che sfugge via.

«E la tua famiglia? Non riesco a immaginare quanto abbiano sofferto loro.»

«Non ho una famiglia. Sarà per quello che sei riuscita a chiamarmi qui col tuo ritratto ora che ci penso. Nessuno fa mai l'ofrenda per me.»

Le si strinse il cuore e agendo d'istinto e senza pensare, fece ancora una volta il gesto di prendergli una mano, come se fosse stato normale, come se lui avesse avuto una mano da stringere.
Al diavolo il freddo glaciale che sentiva, pensò, lei voleva tenergli la mano e lei lo avrebbe fatto, testarda come nessun'altra. E lo avrebbe fatto nell'unica maniera possibile.

Fiori nell'aldilà - una storia d'amore trascendentale Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora