XVII - Addio

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Kasday e Vereheveil giunsero nel palazzo dell'Equilibrio. Si accorsero subito che qualcosa non andava, perché c'era molto più silenzio e molto più buio. Rimasero a guardarsi, senza dire una parola, mentre il Dio della Letteratura riportava l'amico nelle dimensioni normali.

"L'abbiamo fatta grossa. La tua donna si vendicherà di brutto..." bisbigliò l'ex Serafino.

"La mia donna? Hai battuto la testa?".

"Guarda che vi ho visti...".

"A lei, veramente, credo piaccia la sua Messaggera...".

"Ma è un maschio!".

"È un angelo! È quello che vuoi! C'è chi la vede come donna e chi come uomo. Non è nessuno dei due!".

Kasday non parve molto convinto, ma sorrise all'amico: "Chi è la persona che ami? Quella di cui ha parlato il Destino?".

Vereheveil parlò, piano: "Ti sembra il momento di chiederlo? Vai da lui. Ti sta sicuramente aspettando. Io devo andare. Altri Dèi hanno chiesto di me. Darò un' occhiata in giro per vedere se riesco a capire cos'è tutto questo silenzio".

Kasday annuì, perplesso, e si avviò verso la stanza del suo maestro. Bussò alla porta ed entrò, cercando di non fare rumore. Tutte le finestre erano chiuse e sprangate e le uniche luci nella sala erano le ali d'argento del Messaggero ed i fievolissimi scintillii emessi dal Dio. L'Equilibrio dormiva e respirava piano, disteso sul largo letto blu scuro. Erezehimsay gli stava seduto accanto, con aria apprensiva. Fece cenno di non parlare a Kasday, facendogli capire che il suo padrone stava dormendo e doveva continuare a farlo. Il giovane dai capelli neri si avvicinò, in punta di piedi.

La coperta leggera copriva solo in parte il Dio, che respirava a fatica. L'ex Serafino notò due grosse cicatrici sulla schiena del maestro, e si accorse di notare, solo in quel momento, due piccole corna azzurre sulle tempie. Probabilmente non le aveva mai viste perché l'Equilibrio non portava mai i capelli all'indietro, ma solo in ciuffi sciolti.

Anche lui ha dovuto attraversare i vari Mondi, reincarnandosi, per poter essere l'Equilibrio? E quelle cicatrici?

"Una volta il mio padrone aveva delle ali, dove tu ora vedi delle cicatrici" sussurrò il Messaggero "Ma, in uno degli scontri del passato, le ha perse".

Kasday rabbrividì al solo pensiero.

"Ho fatto ciò che dovevo.." iniziò a parlare l'allievo.

"Bene" gli rispose l'angelo d'argento, nascondendo a malapena un singhiozzo.

"Erezy...".

Il Dio si rigirò nel sonno, gemendo.

"Kasday..." iniziò il Messaggero. Non andò oltre. Si fermò. Stringeva la mano del Dio e continuava a tenergli i capelli all'indietro. Respirò a fondo e si fece forza.

"Kasday...tu sai che lui sta morendo...".

Il ragazzo fece un cenno. Sì, lo sapeva.

L'angelo tentò, invano, di trattenere le lacrime. Scoppiò in un pianto dirotto, appoggiandosi al petto di quel Dio che per tanti secoli aveva servito. Si copriva il viso con le mani.

"Non è giusto" gemette "Non è giusto! Lui non deve morire! Non può! Gli sono sempre stato vicino! Ricordo il primo giorno in cui sono stato portato qui come suo portatore di messaggi. Io ero così giovane e piccino, e lui così grande e forte. E così bella quando mi apparve mostrando il suo aspetto femminile!".

Può dunque cambiare sembianze a suo piacimento, scegliendo se avere l'aspetto da maschio o da femmina. O entrambi in uno...

Kasday vide la mano della divinità muoversi e appoggiarsi sul capo dell'angelo argentato. Cominciò ad accarezzargli i capelli arancio vivo con riflessi violetto, per rassicurarlo, ma il Messaggero non smetteva di piangere.

LA CITTA' DEGLI DEIDove le storie prendono vita. Scoprilo ora