La piccola Diana si rigirò nel letto, il pianto del suo fratellino le perforava i timpani. Samuele era nato da pochi mesi, era ancora troppo piccolo per esprimersi a parole, pertanto piangeva per attirare le attenzioni, o almeno così le aveva detto sua sorella Stefania.
La bambina si portò le coperte fin sopra la testa, sicura che in poco tempo sua madre sarebbe andata da lui e lo avrebbe calmato.
Udì qualcosa schiantarsi sul pavimento e incuriosita da ciò che stava succedendo decise di andare verso l'origine del rumore. Era sicura che provenisse dalla cucina, infatti sua madre e suo padre si trovavano proprio lì.
«Vuoi sentirmi dire che mi dispiace?»
Strillò sua madre.«Sarebbe il minimo Bianca.»
Rispose suo padre.«Mi dispiace se Samuele non è tuo figlio, mi dispiace se tu non sei mai presente.»
Sbuffò.«Mi lasci con loro, ti rendi conto che da quando ti conosco non ho una mia vita sociale.»
Continuò Bianca che adesso aveva preso a singhiozzare.«Credi che io ce l'abbia? Lavoro giorno e notte per dare da mangiare a te e ai bambini. E nonostante questo non mi è mai passato per la mente di tradirti.»
Alzò la voce Alfredo sbattendo la mano sul tavolo.«Vattene, togliti da davanti ai miei occhi non voglio più vederti»
Si guardarono per un secondo negli occhi, poi l'uomo cedette, prese la sua giacca e uscì di casa.
Sua madre fece per tornare in camera da letto, dove si trovava Samuele, ma riuscì ad individuarla. Non la guardò nemmeno, da quando ne aveva memoria Bianca non le aveva mai rivolto nemmeno un sorriso. Stefania diceva che la mamma era diventata triste dopo la nascita dei gemelli, ma Diana non le credeva molto. In fin dei conti le ripeteva anche, continuamente, che lei era stata adottata.
Aprì la porta di casa trovandosi sul pianerottolo, sentiva i passi di suo padre scendere le scale, così si precipitò per seguirlo.
«Dove vai?»
Chiese al suo papà.«Dalla nonna, suppongo.»
«Perché?»
Diana trovava tutta quella situazione troppo strana e diversa, forse era questo a farle paura, o forse la inconscia consapevolezza che suo padre non sarebbe mai tornato davvero.
«La mamma non mi vuole qui.»
La bimba annuì.
«Ritornerai?»
Lui scosse la testa.
«Non credo.»
Erano arrivati al portone, lui si chinò verso di lei, per arrivare alla stessa altezza.
«Ti voglio bene. — la abbracciò — Ora però torna dentro.»
Diana non lo rivide mai più dopo quella notte, forse di mezzo c'era il tribunale, non era mai stata sicura. Spesso ascoltava le chiamate tra Bianca e il suo avvocato, anche se, sua madre si arrabbiava molto quando la scopriva.
Quando riaprì gli occhi attorno a lei era tutto buio, al suo capezzale c'era Giulio. Cercò di muoversi, ma sentiva tutti i muscoli paralizzati e un forte dolore che le attraversava la cassa toracica, rendendole difficile respirare.
Il bip del suo cuore accelerato svegliò Giulio, che quando capì cosa stava accadendo saltò dalla sedia. E si avvicinò a lei.
«Non agitarti Diana. Stai calma. Oh mio dio, hai dormito per due settimane.»
Iniziò a strillare.«Come?»
Riuscì a farfugliare a fatica.«Non importa adesso, sta calma, chiamo le infermiere.»
Pigiò su un pulsante al lato della sua testa.
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Come siamo arrivati a questo?
RomanceDiana Valentini ha diciassette anni, un'infanzia che non è delle più semplici e un gemello sempre pronto a sostenerla. Dimostra forza anche se ormai si sente vuota e distrutta, consapevole di avere ferite nell'animo che non si rimargineranno mai com...