Capitolo 19

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• Capitolo 19 •

Orologio




Gli occhi gli si aprirono pian piano, mentre la testa pulsava ancora di dolore.

"D... Dove mi trovo?" Pensò.

Non riuscì a vedere molto, tra i suoi gemiti di stanchezza che lo distraevano: assi di legno chiaro, umidi e freddi illuminati da un solo spiraglio di luce. Sbatté le palpebre un paio di volte per poi realizzare che sopra di lui non c'era molto spazio. Provò ad alzarsi, ma uno movimento improvviso, come uno strattone, lo fece cadere. Le sue narici acquisirono di nuovo sensibilità solo dopo un po': acqua di mare. Era su una barca? Adesso che ci rifletteva, il luogo dove si trovava era umido, freddo e si sentivano rumori d'acqua che s'infrangevano contro il legno. Sì, era su una barca. Diretta dove?

"Calma, Hatori, pensa..."

Provò ad alzarsi di nuovo ma notò solo allora che aveva le mani legate dietro la schiena con una corda sottile ma molto resistente. D'improvviso, si ricordò che era stato in una specie di infermeria per tutto quel tempo.

"Perché ero in infermeria...?"

Il generale, quello strano uomo dai capelli lunghi e dal fisico esile: era stato lui a ferirlo tanto gravemente da passare giorni e giorni di degenza. Ma... aspetta... l'aveva anche curato?

"Questa faccenda non torna..."

In effetti, le ferite non facevano più male e ora che si muoveva poteva avvertire le bende stringergli ancora il petto. Perché? E poi... Yoko! Come si era potuto dimenticare di lei? L'aveva quasi tirata fuori da quel posto infernale, l'aveva salvate per poco dalle grinfie di quel generale assassino. Forse, a quell'ora...

"E se Yoko fosse morta, ora?" Le lacrime non uscirono, abituate a restare al proprio posto anche davanti a scene strazianti e a pensieri altrettanto terrificanti... Gli occhi di Hatori fissarono il vuoto.

"Cosa dici! Non può essere morta!"

"Ah? Chi ha parlato?" Il ragazzo ebbe un sussulto. Non era stato abbandonato su una barca in balia delle onde e della morte certa? C'era qualcuno? Provò ad alzarsi facendo affidamento sugli addominali appena guariti e riuscì a mettersi a sedere. Adesso la sua testa era a qualche centimetro dal tessuto bianco che copriva quella che doveva essere una specie di stiva: in fondo c'erano delle casse, potevano essere viste ad intermittenza ogni volta che i raggi del sole penetravano quella tela attraverso dei buchi ch'erano stati fatti per non far morire Hatori. Il ragazzo si concentrò, cercando di trovare un'uscita, ma appena si voltò dall'altro lato, ebbe un altro sussulto.

"Yoko non è morta. Lo so." Quella voce aveva parlato di nuovo e proveniva dal fondo dell'imbarcazione. Man mano, Hatori vide un essere volatile, luminoso e fatto d'aria, come un fantasma o uno spirito: Tohma.

"Ah, sei tu! Perché sei qui?" Gli domandò piuttosto contento di vederlo, tranquillizzandosi immediatamente.

"Ho visto dall'alto che venivi portato via dal palazzo, verso le porte della città, così ho decido si seguirti. Ti stanno portando nella Terra Rossa. Sono dei soldati del generale..." Gli spiegò il fantasma. Hatori, sempre più tranquillo, sospirò profondamente e stette in silenzio per un po'. Era bello poter avere qualcuno con cui parlare, in quella situazione. Alzò lo sguardo verso Tohma: lo stava fissando, quindi si voltò subito a guardare davanti a sé, evitando gli occhi del vivo. Era affascinante: non era del tutto trasparente, ma era biancastro, bluastro... era luminoso e fatto di gas, di aura e di spirito... Era davvero affascinante. Gli occhi erano anch'essi bianchi, ma non gli facevano impressione, semplicemente, li trovò unici.

Sotto mille ciliegiDove le storie prendono vita. Scoprilo ora