Capitolo 25

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• Capitolo 25 •
Convalescenza

1) Modo di dire "grazie" in giapponese che, aggiungendo il "gozaimasu", diventa formale.


Labbra contro labbra.
Entrambe non si schiusero per lasciar spazio ad una bacio più appassionato o violento. Erano solo lì, fermi, aspettando che uno di loro aprisse gli occhi e si staccasse, magari buttando a terra l'altro o opponendo resistenza.
Nulla di tutto ciò accadde.
Yoko poteva avvertire il confortevole calore del corpo del generale contro il suo, nella notte gelida, sebbene non fosse attaccato al suo. Quella situazione le infieriva calma ma insicurezza allo stesso tempo. Era certa di essere confusa, brevemente, ma almeno una piccola certezza campeggiava dentro di lei. Una certezza che nascondeva tanti punti interrogativi che si andarono a mescolare con i tanti altri che già le affollavano i pensieri, facendoli bruciare i brama di sapere.
Ma non in quel momento.
In quel momento Yoko non pensò a nulla, la sua mente si svuotò completamente, e con gli occhi chiusi, lei vedeva bianco, poi nero, vedeva prima luce e subito dopo eccola immersa nell'oscurità e nel caos. L'immagine di lei, che tanto cercava di fare, senza successo, per stare alla larga da quello, che all'improvviso si ritrovava le proprie labbra unite a quelle altre, senza una motivazione, tra l'altro.
Non se lo chiese subito, ma per quale motivo avrebbe dovuto farlo? Lui che l'aveva sempre bramata con gli occhi della lussuria e della violenza: perché un tale individuo avrebbe dovuto concedersi un gesto tanto timido, ma allo stesso tempo forte e gentile? Era atipicamente dolce.
Il corpo di Yoko non stava ad ascoltare i suoi pensieri, che ora le dicevano di sottrarsi a tale pazzia e ora le sussurravano di non muoversi per prima. No, le sue gambe si muovevano da sole, con la poca forza che rimaneva loro, per distaccarsi dal generale, come se quella carne avesse saputo che era tutto uno sbaglio. Uno sbaglio enorme che ora era stato commesso e che non doveva ripetersi mai più.
"Hm..." Mugolò Yoko, tentando di allontanarsi e, ancora una volta, il generale la sorprese, poiché la lasciò andare, senza fare resistenza, sebbene continuasse a guardarla come pieno d'ira e rancore che, probabilmente, non serbava per lei in particolare.
Le sue mani esili non fecero quindi fatica a toccare il petto del generale delicatamente, per poi allontanarsene.
I suoi occhi, si facevano stranamente sempre più pesanti, e la divisa dell'altro le sembrava bollente, non seppe per quale motivo. Tutte le preoccupazioni non le si presentarono in mente, si lasciò solamente andare, facendo lentamente crollare le sue gambe sotto il proprio peso e cadendo a terra senza far rumore. Una volta col viso a contatto con la gelida pietra sottostante, non riuscì ad avvertirne la temperatura, come fosse stata la stessa del suo corpo. Doveva essere preoccupata, ma invece, continuò a tenere gli occhi socchiusi per cercare la presenza del generale che era già scomparso tra i boschi sulla via di casa.
Quando le palpebre le si serrarono, non avvertì che qualcun altro era giunto per salvarla.
Passarono minuti e minuti apparentemente interminabili, poi, improvvisamente, iniziò a riacquistare i sensi.
Pur non vedendo nulla, poteva sentire un corpo caldo, morbido come una pelliccia, avvolgerla e portarla via. Sentiva il vento freddo della notte sui pochi punti che non le erano stati coperti, permettendo al gelo di infiltrarsi nell'umida divisa. Sentiva i passi veloci, quasi silenziosi di quella presenza che la stava salvando, ne sentiva il profumo e ne avvertiva la dolcezza e la determinazione. Si disse che doveva essere senza dubbio una donna, che forse l'aveva avvolta in qualche calda pelliccia per tenerla al caldo.
Sentì improvvisamente di essere immersa in dell'acqua tiepida, che al contatto sembrò bollente. Si lasciò andare, ancora svenuta, in quel liquido confortevole, che la avvolse interamente, fino all'ultimo capello, dopodiché, non ricordò più nulla.

Si sentiva ancora intorpidita, incapace di percepire completamente ciò che era attorno a lei. Come se fosse stata in una bolla, sentiva un suono impastato, confuso, lieve e disordinato, ma capì lo stesso che si trattava di una voce: la voce della foresta.
Sentiva il suono della natura, più nitidamente: sentiva gli uccelli, il vento che faceva suonare le foglie e quel dolce silenzio pacifico.
Pian piano, cominciò ad aprire gli occhi, vedendo annebbiato, poi i particolari cominciarono a farsi vedere un po' di secondi più tardi, quando le iridi nocciola potevano riconoscere che non si trovava in un luogo familiare: era mattino.
Si sentiva quasi nuda: indossava solamente un kimono che, dovutamente al suo recente passato, le sembrava ormai uno dei vestiti più osceni che avesse potuto mai indossare. Era verde, di seta, senza decorazioni, ma la teneva a caldo.
La prima cosa che vide fu un raggio di luce, che spostandosi leggermente per via dei movimenti terrestri, spariva e ricompariva tra le stecche di legno che costituivano un balconcino più in là. Era per terra, avvolta tra una pelliccia ed una coperta imbottita di seta, su un pavimento di legno più chiaro di quello del palazzo, coperto qua e là da tappeti color dei fiori di ciliegio. Si girò, per mettersi a pancia all'aria e guardare il soffitto, pur mettendoci un po', poiché essendo reduce da una sottospecie di congelamento, si sentiva ancora stordita e non ricordava bene cosa fosse successo.
Anzi, non ricordava nulla della notte precedente.
Il soffitto era fatto di quella che doveva essere paglia, mista a travi di legno, spiovente e rustico: doveva essere una piccola abitazione di qualche abitante del villaggio, pensò subito. Per qualche motivo, aveva dovuto soccorrerla e portarla in salvo in quel semplice luogo accogliente.
Tuttavia, non riusciva a ricordare il perché.
Improvvisamente, sentì il lieve rumore di quelli che dovevano essere passi. Passi calmi ma decisi, che non le incutevano timore, al contrario del suono terrificante dei tacchi degli stivali del generale che ora rimbombavano nella sua testa, con l'immagine di sfondo buia del corridoio del palazzo dov'era stata rinchiusa. Sentendo che si facevano più vicini, tentò di rimettersi le coperte addosso, per non infastidire il padrone di casa.
I passi si fermarono.
"So che sei sveglia."
Una voce dolce, una voce di una donna, dolce e composta. Non era per nulla familiare, ovviamente. Si scoprì la testa pian piano, mettendosi a sedere per avere una chiara visuale di colei che le era davanti: era abbastanza alta, tanto quanto il generale e doveva avere sui vent'anni. Indossava un kimono elaborato, bianco e decorato con fiori rosa e gialli, con una fascia del medesimo colore ed un cordone rosso sopra di essa. I lunghi capelli le coprivano la schiena, ricadendo davanti, folti, lisci, separati con una riga laterale e color castano ramato: un colore davvero inusuale per un abitante di Kintou, come il suo d'altronde. Le mani delicate si misero dei ciuffi dietro l'orecchio, per non permettere loro di coprirle il volto, mentre con l'altra reggeva un grande piatto con sopra quella che doveva essere una caraffa di tè e dei bicchieri con piattini. Aveva gli occhi grandi come i suoi, castani quasi color dell'oro, che brillavano sotto i raggi di luce che filtravano tra le assi di legno del soffitto. Sembrava quasi un angelo venuto in suo soccorso.
"Ecco, io..."
"Vuoi del tè?" Yoko non seppe cosa rispondere, essendo comunque in casa di un'estranea che non conosceva neppure. Non sapendo che fare, annuì, confusa.
La donna le si sedette accanto, in ginocchio, poggiando il piatto col tè per terra e versandone un po' in entrambe le tazze, nel silenzio generale, in cui la curiosità di Yoko non faceva che fissarla di scatto ogni tanto. Lei sembrava averlo notato, ma non per questo ebbe una reazione brusca: sorrise e continuò ciò che stava facendo.
"Arigatou gozaimasu1..."
Dopo pochi minuti di silenzio, in cui la ragazza bevve qualche sorso, mentre Yoko mostrava sempre più curiosità nei suoi confronti, l'altra cominciò a parlare.
"Ti trovi qui perché un ragazzo fantasma che ho salvato da alcuni spetti maligni, mi ha chiesto di aiutarti implorandomi. Ho sentito la tua anima e ti o trovata semi svenuta a terra, su un picco di roccia della Laguna di Cristallo. Ti ho portato qui perché riposassi e riprendessi le forze." La guardò dolcemente, mentre nella mente di Yoko balenò, appena aver sentito la sua descrizione, l'immagine di Tohma che veniva aggredito dagli spettri e la sua espressione si fece molto preoccupata...
"Io... Ecco... il ragazzo sta bene?" Chiese impaziente.
"Tranquilla: gli yurei non possono lasciare di nuovo il mondo dei vivi se non trovando la luce." Le scappò un pacato sorriso. "Tu come ti senti?"
"Ora mi sento meglio... posso chiedere se..."
"Prego!" La incoraggiò gentilmente la donna, mentre Yoko la guardò di scatto, sentendosi sempre più piccola e a disagio.
"Perché... ero su quella roccia? Non riescoa ricordare... potreste dirmi tutto quello che mi è successo, che voi sappiate... Ve ne sarei grata..."
"Oh, non c'è bisogno di tutta questa formalità, cara! Come ti chiami?" Yoko guardava basso, tanto che l'altra dovette abbassarsi un po' senza scomporsi, per incontrare i suoi occhi. Mortificata, alzò lo sguardo.
"I-io sono Kurai Yoko..."
"Yoko, io non so come tu sia arrivata su quella collina, io ti ho trovato che eri congelata, eri bianca e rigida. Ho dovuto trasportarti qui, o avresti potuto non farcela. Ti ho fatto fare un bagno d'acqua tiepida in modo che il corpo ritornasse alla temperatura normale... eri andata in ipotermia. Dopo, ti ho messo a letto con questa pelliccia e questa coperta per non farti prendere freddo... c'è mancato poco, ma ora stai bene, no?" La sua voce sembrava una melodia dolce, di quelle che le cantava la mamma prima di andare a letto, quando era ancora una bambina. Ciò rassicurava Yoko, che cercò di sembrare meno rigida, ma che allo stesso tempo, stava lentamente cominciando a ricordare cos'era successo su quella roccia.
Il generale...
"Vi ringrazio... davvero, io... devo tornare all'acc-"
No, non poteva rivelarle di essere un soldato. Anche se questo, forse l'aveva già intuito dai suoi vestiti... "... Devo tornare a casa, grazie, ma..."
"Puoi darmi del tu e guardarmi negli occhi, non preoccuparti: non ti mangio mica. Non puoi tornare a casa adesso, Yoko. Ti sei appena alzata dopo essere stata faccia a faccia con una morte per ipotermia... Tra qualche giorno ti lascerò andare, ma ora non puoi."
Yoko annuì sconfortata, guardando poi fuori dal balconcino, godendosi da lontano la vista degli alti alberi sempreverdi della foresta che con il loro smeraldo davano vita al paesaggio invernale. Voleva vedere il generale. Voleva ricordare in ogni minimo dettaglio quel momento di distrazione, quel calore, quell'affetto inaspettato. Voleva capire. Voleva delle risposte alle sue mille domande... Doveva andarsene al più presto. "Ad ogni modo, dobbiamo spostarci, questo è un rifugio momentaneo. Ti porto a casa mia." Le sorrise, alzandosi e sparecchiando le tazze da tè, con spirito e forza di volontà che le si leggevano negli occhi.
Passarono alcuni minuti di silenzio, durante i quali Yoko cercò i suoi abiti per spogliarsi del kimono verde, senza chiedere a quella donna di cui non sapeva nemmeno il nome. Tuttavia, non sarebbe mai stata abbastanza sicura da chiederglielo... dopotutto era una persona più grande di lei con la quale non sentiva di poter parlare come con un'amica. Trovò la divisa: era stata piegata, con tutto ciò che s'era portata con sé quella notte avvolto tra gli indumenti sistemati con cura. Yoko non credette che quella ragazza dovesse essere tanto stupida da non conoscere tale divisa. Sapeva che lei era a conoscenza del simbolo di Kintou Shuto, non poteva essere diversamente. Eppure, non le aveva fatto domande a riguardo, le sorrideva come si fa con un semplice ospite bisognoso d'aiuto, ignorando il suo passato o i suoi scopi. In poche parole, pensò che l'aveva accudita incondizionatamente. E questo solo perché gliel'aveva chiesto Tohma...?
"Ahm... Scusa...!" non seppe come rivolgersi nel migliore dei modi a quella ragazza, che però non se ne importò minimamente e venne da lei composta come sempre.
"Come posso aiutarti, Yoko?"
"Ehm... ecco... posso chiederti qual è il tuo nome...?" E dallo sguardo basso, s'alzarono solo le iridi, in uno sguardo al massimo dell'innocenza.
"Forse è meglio che questo tu non lo sappia..." Le sorrise, mettendole una mano sulla testa e guardandola negli occhi.
Che sapesse qualcosa che doveva rimanere all'oscuro di Yoko...?

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⏰ Ultimo aggiornamento: Sep 20, 2015 ⏰

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