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Si, tutto molto triste e poetico, ma intanto era comunque tornato Frank.
Quella notte non dormii, ma quel breve stato di tranche in cui ero caduta venne interrotto dalle urla di Fiona. Quando uscii dalla stanza vidi Fiona distruggere la porta della sua camera, quindi confusa borbottai: "Cosa...stai facendo?" Lei rispose che Frank si era barricato in camera sua buttandola fuori. Io arricciai la fronte, ma poi lasciai stare non volendo impicciarmi in altri problemi, scendendo in cucina. Prima però mi raccomandò di non fare tardi a lavoro. Appena entrai in cucina e Carl mi vide mi guardò male, prese la sua fetta di pane dal tavolo e se ne andò sbattendo la porta sul retro. Intanto entrarono anche Kev e V, che mi salutarono sorridendo.
Dopo essermi vestita, poco dopo, andai a lavoro. Non quel lavoro, l'altro...Dovevo accuparmi di alcuni ragazzini che usavano il nome dei G Doggs per fare casino. Presi la moto e iniziai a fare un giro per l'isolato, chiedendo ad alcune persone che conoscevo se li avessero visti da qualche parte. Tutti sapevano chi erano, e alcuni mi raccontarono anche qualche fatto su di loro. Erano delinquenti, nulla di più, ma a G Dogg davano fastidio e dato che io non lavoravo per lui da un po' chiese a me. 
Grazie alle indicazioni dei passanti arrivai nella parte del south side posseduta da una babygang chiamata "Gli Alligatori". Erano tutti ragazzini della mia età e anche meno, quindi la gente non li prendeva molto sul serio, ma non si deve mai sottovalutare il nemico. Io una volta facevo parte di quella babygang, i primi anni del mio debutto nelle strade. Me lo assegnarono in quel periodo il nomignolo "The Black Becky", ma a quel tempo aveva un'altro significato. Come potete immaginare, comunque, ero stata bandita da quel territorio e appena mettevo piede là dentro non avevo più certezze. Si, ero forte e si poteva dire che molti mi temevano, ma la quantità in questo caso vince sulla qualità pultroppo. Comunque sia, mentre rallentavo la velocità della moto per osservare meglio i dintorni, notavo molte facce familiari osservarmi. Sapevano che stavo arrivando. Be', peggio per loro.
Stavo pper girare l'angolo, ma circa cinque ragazzini con la faccia coperta e varie cose nelle mani (come spranghe di ferro, tubi o piedi di porco) mi si parararono davanti.
"Black Becky, eh?" Disse quello che mi era più vicino. Riconobbi subito la voce, era il boss degli Alligatori, Alexei, un tipo polacco, 16 anni. Era un'immigrato, andavamo alle elementari insieme e avevamo iniziato ad entrare nei soliti giri insieme. In realtà, avevamo creato insieme quella che adesso è Gli Alligatori, ma io dopo poco mi avvicinai a G Dogg.
"In carne ed ossa. Non sei cambiato molto, Alex." Quello strinse i denti. "Sta zitta, traditrice. Cosa vuoi?" A quel punto spensi la moto e con calma scesi. "Sai..." Borbottai girandoci intorno "Ho sentito che alcuni dei tuoi usno il nome di G Dogg per coprirsi, dovresti insegnare ai tuoi bimbi come comportarsi, visto che questo posto è molto più simile a un asilo, no, maestra Alexei?" Dopo questa provocazione si arrabbiò molto, e con un cenno della testa  due dei suoi si avvicinarono a me, pronti per menarmi di brutto. Schivai la prima spranga di ferro abbassandomi, facendolo poi cadere con uno sgambetto, mentre all'altro, mentre mi stavo alzando, tirai un pugno sulle palle. Subito gli altri due intervenirono e questa volta uno mi colpì in faccia con un calcio a piede piatto facendomi perdere l'equilibro, essendo ancora accovacciata. Mi tirarono un calcio sulla pancia, facendomi sputare sangue, e mi colpirono con una mazza da baseball sepre sullo stomaco. Poi, con un movimento della mano, Alex gli fece segno di fermarsi. Mi guardavano dall'alto, con disprezzo, con quegli occhi che hanno gli alligatori mentre fissano la preda. Cercai di posare una mano per terra, ma Alex, avanzando verso di me, me la pestò con forza, probabilmente rompendomi qualche dito. Urlai dal dolore, ma lui si abbassò all'altezza della mia faccia, mi prese il mento tra le dita e mi sussurrò: "Patetica" Aveva ragione. Rimasero a fissarmi ancora un po', poi prima di andarsene due di loro, quelli che mi avevano preso a mazzate, presero a mazzate anche la mia moto. Spaccarono tutto, la buttarono a terra, la calpestarono...Di tutto.
"Ci parlerò. Non farti più vedere" Disse poi Alexei. Io, con fatica, riuscii ad alzarmi.
"Verranno a prenderti, Alexei. Sei proprio un idiota" Pochi secondi dopo, erano spariti.
Sentivo almeno tre costole rotte, e le dita che mi erano state pestate decisamente fratturate, e il braccio destro mi faceva un male cane. Avevo fatto una figura di merda, e sopratutto l'avevo fatta fare a G Dogg. Non si sarebbe mai più fidato di me. Mi sentivo ancora più una merda.
Ma come sarei tornata a casa? Ian era al lavoro, Fiona pure, Carl mi odiava, Debbie non aveva la patente...Mancava solo Lip.
Così lo chiamai, spiegandogli le mie condizioni, e lui si allarmò subito, arrivando dopo pochi quarti d'ora.

Scese dalla macchina catapultandosi verso di me, che mi ero seduta per terra appoggiando la schiena a un muro all'ombra.
"Cavolo, Beck! Sei messa di merda! Ti porto all'ospedale!" Disse lui aiutandomi ad alzarmi. Io gemetti dal dolore quando mi sfiorò il braccio, e lui ritrasse immediatamente la mano.
"No, no. Portami da G Dogg. Lui saprà cosa fare"
"Ma ti sei fumata qualcosa?! Non ti porterò da quel pazzo!"
Io lo guardai seria. "Lip. Io mi fido di te, però per favore portami da lui. Sono le regole..."
"Le rego..., non importa. Va bene, ma non ti lascerò sola un secondo e poi ti porterò in ospedale." Io sorrisi, poi mi aiutò ad entrare in macchina e gli facevo da navigatore per raggiungere i miei compagni.

Quando arrivammo davanti a una fabbrica gigante e apparentemente abbandonata, ci fermammo e scesimo dalla macchina. Io un po' zoppicante, però arrivammo all'entrata. C'erano due ragazzi a sorveglianza, che mi riconobbero e vedendo le mie condizioni mi fecero subito passare. Lip li squadrò, mentre continuava ad esaminare il luogo, come se fossimo arrivati su un altro pianeta.
Per i corridoi della fabbrica incontrai Jeremy, che squadrò con aria preoccupata, però non mi rivolse parola. Probabilmente per la mia continuata assenza.
Una volta arrivati davanti alla porta dello studio di G Dogg, bussammo, e non ricevendo alcuna risposta aprii la porta. Stava parlando al telefono, e sembrava una chiamata abbastanza seria, ma quando ci vide entrare sbarrò gli occhi notando il sangue che avevo in faccia. G Dogg per me era come un fratello maggiore, mi prese sotto la sua ala poco prima che entrassi in carcere e anche lì mi protesse, tramite alcuni della sua gang. Si era sempre messo in gioco per me, era parte della mia famiglia.
"Ehm...ti chiamo dopo, ho un emergenza" Borbottò, posando il telefono sulla scrivania e alzandosi di scatto dalla sua sedia per venire verso di me. Lip si era messo in disparte, si vedeva che era terrorizzato. Io ero imbarazzata, mi sentivo così debole.
Mi prese il viso tra le mani, continuando a girarmi la faccia per controllare ogni singolo graffio. "Che cazzo ti è successo!?" Poi mi lasciò e intuì subito cosa fosse accaduto. "Quei alligatori di merda" Mormorò. "Siediti, anche tu Lip. Mi servono tutti i dettagli. Subiranno il triplo delle cose che ti hanno fatto, te lo giuro"
Quindi mi sedetti, e iniziai a raccontare quanto accaduto.
"Però ha detto che parlerà ai ragazzini, quella questione è sistemata" Spiegai.
"Sono sei coglioni. Non c'era bisogno di ammazzarti di botte" Commentò Lip, e G Dogg annuì.
Tutto era preparato, la mia seconda famiglia mi avrebbe vendicato.

Rebecca Gallagher. SHAMELESS STORYDove le storie prendono vita. Scoprilo ora