2 - Condanna

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Ti attribuisci una colpa che non hai, bambina.
Ma la tua condanna è reale, non posso mentirti.
- M.

Dicembre 2008

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Dicembre 2008

Questa sera il salone sembra più piccolo del solito. Forse per il grande albero che c'è in mezzo alla stanza.

Non mi ricordo come lo avevamo decorato l'anno scorso, ma quest'anno ci abbiamo messo tante palline rosse e bianche. E poi ci sono le luci. Mi piacciono molto, però quando le guardo mi bruciano un po' gli occhi.

Ogni volta che lo dico alla direttrice dell'istituto, lei mi guarda con quegli occhi fatti di ghiaccio che mi fanno paura e mi dice che saranno la mia condanna. Ho chiesto a Sylvie cos'è una condanna. Lei ha nove anni, tre in più di me. Sicuramente sa cos'è. Ma non ha saputo spiegarmelo. Ho solo capito che non è una bella cosa.

Quindi i miei occhi non sono una bella cosa, immagino.

A me, però, i miei occhi piacciono. Non sono bellissimi come quelli di Sylvie, azzurri come il cielo, però secondo me un po' sono belli. O forse no?

Cammino velocemente verso l'albero. Mi sono tolta le scarpe per non fare rumore, ora dovrei essere nel mio letto a dormire, ma non riesco.

Trascino lentamente le calze rosse sul parquet e arrivo fino ai pacchi regalo che ci sono sotto l'abete.

Ogni anno, ognuno di noi riceve un regalo dall'orfanotrofio. Li riconosco perché usano sempre la stessa carta: verde con dei pupazzi di neve disegnati sopra.

Quelli decorati diversamente sono quelli che gli altri bambini ricevono da qualche parente lontano che si ricorda di loro, oppure dalla loro nuova famiglia.

A gennaio Sylvie, insieme ad altri otto di noi, andrà via. Andrà a vivere con una famiglia vera, con una stanza tutta sua, una mamma che l'abbraccerà e un papà che la porterà a cavalluccio sulle spalle.

Senza spostarli, guardo tutti i pacchi. Qualcuno si è ricordato di me? Una nuova famiglia vorrà portarmi a casa con loro?

Se i miei occhi sono una condanna, non dirò mai loro che mi bruciano.

Il mio nome, però, è solo sul pacco confezionato dalla direttrice.

Guardo un'ultima volta l'albero e, appena sento uno scricchiolio alle mie spalle, corro nella mia stanza.

***

La felicità è un concetto astratto difficile da spiegare, eppure ce n'è uno che è ancora più difficile descrivere a parole. Quel senso di pace interiore, simile all'accettazione, ma diverso dalla rassegnazione. Quell'emozione che si prova davanti ad una tazza di tè nero, con un libro aperto sulle ginocchia pronto a raccontarti un mondo lontano che, per qualche ora al giorno, ti ingloba lasciando che i tuoi pensieri molesti e nostalgici ti abbandonino. È un concetto simile alla felicità, ma meno incisivo.

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