22 - Caos

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Non sarà per sempre caos

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Non sarà per sempre caos. Lascia che vi aiuti.

-M.



Ricordo ancora le scarpe da ginnastica che indossavo vent'anni fa, quando ho messo piede fuori da un incubo che non aveva soltanto i contorni del caos.

lo era, un caos.

Un caos capace di danneggiare la mente di un ragazzino e di un bambino che a mala pena si reggeva sulle proprie gambe.

Dentro quel caravan ha regnato per anni la confusione, negli oggetti, nella sporcizia e anche nella testa di chi ci ha vissuto. E mentre i lacci bianchi di scarpe troppo usurate per essere ancora utilizzate sbattevano sulla terra e sul fango di un campo al confine di Edimburgo, avevo giurato a me stesso di non rimettere più piede in quella confusione.

Finché, un pomeriggio di tredici anni fa, non ripresi dal comodino una vecchia lettera del comune. Un foglio di carta in una busta che era stata bagnata dalla pioggia autunnale e che avevo aperto con disgusto per poi richiudere e dimenticare per mesi.

Vorrei poter dare un senso logico al perché quella lettera tornò tra le mie mani, vorrei poter dire che era stato per McGregor, che per anni aveva insistito sul fatto che le radici di ogni disturbo vanno ricercate nel passato, ma la verità è che ancora oggi mi chiedo perché la mia mente, nei momenti più impensabili, riesca a diventare tanto masochista, a raschiare al fondo dei miei pensieri per tormentarli ancora di più.

Tredici anni fa avevo toccato il fondo, e mi ritrovai a leggere una serie di parole fredde e burocratiche che mi avvertivano che quel caravan, quello da cui ero fuggito e in cui non sarei più voluto tornare, ora era di mia proprietà.

E per quanto cinico e ancora arrabbiato per ciò che io e Adam avevamo dovuto soffrire, quella domanda me la posi: lei, mia madre, che fine ha fatto?

Non c'era risposta tra quelle righe, in cui veniva solo spiegato il perché lei non era più proprietaria di quel caos: "Stato di abbandono".

Giuro. Giuro che avrei voluto non essermi posto anche la seconda domanda che elaborò il mio cervello. Ma le parole si formarono e la mia mente razionale mi aveva messo di fronte a quella che avrebbe potuto essere una delle opzioni più probabili.

Mia madre poteva essere morta, chissà dove.

Non volli sapere se quella alternativa corrispondesse alla verità, e credo che non lo saprò mai. Ma tredici anni fa, una cosa la feci: salii in auto, senza dire niente a Adam, percorsi la A701 e parcheggiai vicino al castello di Craigmiller.

Quel giorno le nuvole appesantivano il cielo, ma mai quanto il macigno sconosciuto che premeva alla bocca del mio stomaco a digiuno.

Proseguii a piedi e mi asciugai la prima goccia di pioggia che cadde con la manica del cappotto, proprio quando mi ritrovai di fronte al caravan.

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