33 - Notte

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Io l'ho sempre detto che sei un masochista

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Io l'ho sempre detto che sei un masochista. Ma hai giocato con il fuoco, questa volta. Un azzardo, fuori dal tuo controllo.

-M


Un pugno.

Un pugno dalle nocche di ferro arriva allo stomaco, lo colpisce, lo rende viola, lo ammacca, lo fa morire.

Un pugno fatto di perdita di controllo e manie che non sono mai riuscito a tenere a bada. Loro, che hanno sempre tenuto a bada me.

Mentre ai polmoni toglie quel poco ossigeno rimasto in questa stanza, in cui le molecole sembrano prosciugarsi e sparire ad una ad una.

Ora i serpenti prendono il controllo, ma non lo fanno come al solito, come mi hanno sempre permesso di conoscerli.

Questa volta mi annebbiano la vista.

Ma non possono, non possono farlo.

Se n'è andata.

Supplico la mia mente di togliere la nebbia che mi sta uccidendo la vista, e nonostante non voglia ascoltarmi, lasciando i fogli ora sparsi per la scrivania e la finestra aperta, attraverso la stanza; con il respiro fermo in gola, raggiungo l'appendiabiti e mi trascino dietro il cappotto mentre mi infilo le scarpe.

La razionalità, quella che mi chiede di pensare che le mie sono solo paranoie, ora non ha più potere.

Sento l'attaccapanni cadere sulla moquette, ma il suono mi arriva lontano, perché l'udito sembra sentire solo suoni ovattati e perché ormai mi sono sbattuto la porta della camera alle spalle.

Prendo le scale e inizio a scendere incapace di contare i passi, stringendo il corrimano gelato alla mia sinistra e che mi impedisce di perdere l'equilibrio.

Aspettare in camera non avrebbe avuto senso.

Mi avrebbe reso un ratto chiuso in una trappola, in attesa di sapere se e quando qualcuno avrebbe aperto quella porta.

Quando esco dalla hall, l'aria è sempre più gelida, la sento pungermi la pelle, ma senza provocarmi brividi, senza farmi sentire davvero freddo.

E allora, senza meta, i serpenti mi obbligano a fermarmi, a guardami intorno, a ragionare, dicendomi che no, non avrei dovuto portarla in quel dannato ospedale, non avrei dovuto farle percorrere quei corridoi, farle vedere fino a che punto si spingono le mie ossessioni, ricordarle involontariamente cosa mi sono fatto sulla pelle a causa di quel fiocco celeste da cui non ho mai avuto il coraggio di separarmi.

Mi sono spinto troppo oltre.

Eppure, mentre loro parlano, le mie gambe hanno già iniziato a camminare, percorrono prima i portici che accompagnano l'hotel, incontro gli sguardi delle persone che escono dai negozi di lusso che si susseguono uno dopo l'altro.

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