Capitolo 26

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Oggi, quattordici aprile, è il mio compleanno!
Da oggi avrò ufficialmente diciannove anni.
Non so cosa farò, Elisabeth mi ha detto che avrebbe organizzato tutto lei.
Sarà una cosa a sorpresa, ecco.
Oggi è venerdì, quindi mi tocca la solita routine: sveglia, Mit, pranzo, lavoro.
Spero che oggi sia una giornata tranquilla e non di pericoli.
Sapete cosa intendo, no?
-Eccola qui la festeggiata!
Sento la voce di Daniel alle mie spalle.
Mi giro verso di lui e subito mi blocca nelle sue braccia per abbracciarmi.
-Auguri tu-sai-chi!
-Sta zitto! Poi non chiamarmi come Voldermort!
Non riesco a rispondergli per via dei suoi amici che cominciano a darmi gli auguri.
Alcuni neanche li conoscevo.
-Elisabeth?-  domando appena Josh, l'ultimo del gruppo, si stacca dall'abbraccio.
-Non poteva venire- dice velocemente.
-E' per il mio compleanno, giusto?
Subito il suo viso si irrigidisce e comincia a guardarsi intorno.
Daniel non sa mantenere i segreti.
-Si! Ma non dire a nessuno che te l'ho detto.
-Ma non mi hai detto nulla! Però, visto che siamo qui, qualche piccolo spoi...
-Io entro! Le lezioni stanno per iniziare!
Neanche il tempo di guardarlo che già si è allontanato da me come un razzo.
Entro nel College e mi avvio verso la classe di "antropologia".
Entro nell'aula e cerco un posto libero a sedere.
Subito ne vedo uno vicino ad un ragazzo mai visto prima.
Anche se è in fondo alla classe, mi siedo lo stesso.
-Scusami, posso?- chiedo al ragazzo misterioso.
Non so perchè, ma ho una strana sensazione.
Non da nessuna risposta.
Appena sento la voce della professoressa Smith, mi siedo lo stesso.
Esco velocemente l'Ipad dallo zainetto e comincio a prendere appunti.
Il ragazzo accanto a me sembra dormire, è immobile.
Lo guardo con la coda dell'occhio cercando di capire chi è, ma nulla.
L'enorme cappello della felpa verde militare copre tutto il viso.
Ritorno a concentrarmi sulla lezione.
Ad un tratto vedo la mano del ragazzo muoversi lentamente verso di me.
Succede tutto in meno di cinque secondi.
Quella mano diventa in un secondo nera.
Le dita sono artigliate.
In aula si scatena il panico.
Ragazzi che urlano e si alzano velocemente dal posto per correre verso la porta in fondo alla classe per scappare.
Sedie e banchi vengono rovesciati sul pavimento.
Sento quella mano fredda e viscida avvolgermi il collo.
Comincio a respirare a fatica.
Alzo gli occhi.
Vedo una figura aliena rossastra e nera davanti a me.
Sembra quella che mi ha salvata da Harry, solo che non è Peter.
Appena vede che la guardo, apre la bocca mostrando tutti i suoi denti aguzzi.
-Ophelia!
Vorrei rispondergli, ma non riesco.
La sua mano tiene ancora il mio collo.
-Ti sono mancato?
La sua voce è così profonda da far venire i brividi.
-Ah già, non riesci a parlare!
Subito molla la presa.
Cado a terra e comincio a tossire.
Finalmente riprendo a respirare come prima.
Provo ad alzarmi ma vengo colpita da quella creatura.
Vado a sbattere violentemente contro la cattedra dell'aula.
Sento schegge di legno conficcarsi nella pelle.
Sento dolori ovunque, ma mi alzo velocemente.
Ad un tratto l'allarme del College comincia a suonare in tutto l'edificio.
-A quanto pare non hai molto tempo, eh!- gli dico dall'altra parte della stanza.
Quella creatura aliena comincia di nuovo a ridere.
-Non ci vorrà molto per mandarti in ospedale in gravi condizioni.
-Ah davvero?- dico sarcastica.
Subito comincia a correre verso di me.
Istintivamente mi attacco sul soffitto.
Quell'essere salta velocemente sul muro con l'intendo di raggiungermi.
Lancio varie ragnatele e mi butto fuori dall'aula.
Sbatto la porta alle mie spalle e blocco la maniglia con le ragnatele.
Subito esco da sotto i vestiti la tuta di Spidergirl e mi preparo ad affrontare quella creatura.
A quanto pare oggi sarà un compleanno un bel po' movimentato.
Salto sopra gli armadietti e aspetto.
Solo ora mi rendo conto di alcune ferite sul collo che cominciano a sanguinare.
Nel corridoio regna il silenzio.
Nulla di buono.
Comincio a strisciare lentamente sul soffitto.
Mi affaccio nelle porte delle varie classi, visto che sono tutte collegate da delle porte.
Nulla.
Non c'è nessuna traccia di quell'essere.
Rimango attaccata al soffitto.
Forse è ancora nell'aula di "antropologia"?
Giro lentamente il viso.
Subito vedo una grande figura nera a circa tre metri da me.
Scendo velocemente dal soffitto e comincio a correre.
Sento l'alieno alle mie spalle farsi sempre più vicino.
Ad un tratto tiro una ragnatela verso la mensola dove ci sono varie coppe di non so cosa e la tiro giù.
Sento le coppe frantumarsi e solo i miei passi veloci.
Raggiungo finalmente l'entrata del College.
Mi fermo e cerco di riprendere fiato.
Tutta la struttura, fortunatamente, è vuota.
Ci siamo solo io e quella creatura.
Passano alcuni minuti, ma non succede nulla.
Sento che è ancora qui.
Mi avvicino con cautela verso l'arco che porta al corridoio principale.
Non c'è nulla, neanche un'ombra.
Mi avvicino verso le enormi finestre che danno sul giardino.
Tutti gli studenti, docenti e personale del College sono lì.
Sento il rumore di una sedia muoversi.
Neanche il tempo di girarmi che qualcosa, o meglio, quella creatura mi afferra da sopra.
Mi tiene di nuovo per il collo.
Si stacca dal soffitto e tutti e due cadiamo a terra.
Mentre mi sorride a modo suo, noto dei tentacoli minacciosi uscire dalla sua schiena.
Due di questi mi bloccano le mani e le gambe.
-Davvero non riesci a capire chi sono?
Rimango immobile, neanche provo a liberarmi.
La sua testa si apre in due e subito vedo la faccia di Andrew.
Brutto bastardo!
Sapevo che in lui c'era qualcosa che non andava poco prima di lasciarci.
Mi guarda con un finto dispiacere negli occhi neri.
-Non te lo aspettavi, eh!
-Brutto bastardo!
Subito uno dei suoi tentacoli mi colpisce il viso, procurandomi un taglio sulla guancia sinistra, nonostante la maschera.
-No Ophelia! Come osi rivolgerti così al ragazzo che ti ha salvata da quel ragazzetto geloso! Com'è che si chiamava? Pat? - dice ironico e con un tono di disprezzo.
-Non ti permettere a parlare di Peter in quel modo!- dico a denti stretti.
Subito scoppia a ridere.
-Ahh... l'amore, eh! Quello che c'era tra di noi.
-Non c'è mai stato nulla di vero tra di noi.
-Sicura?
-Lo pensavo.
-Esatto! Tu pensavi che tra di noi ci fosse l'amore, quello vero. Dove tutto sembrava rose e fiori. Uno come quello dei tuoi stupidi libri!
Rimango a guardarlo immobile, con uno sguardo pieno di odio e disprezzo.
La testa si richiude.
Mi libera le mani e le gambe dai suoi tentacoli e mi scaraventa contro una libreria.
Sento il legno rompersi sul mio corpo e i libri cadere a terra.
Perdo un attimo i sensi.
Subito sento uno di quei tentacoli avvolgermi il polso destro.
Prendo un libro accanto a me e lo sbatto sul tentacolo.
Mi alzo e lancio una ragnatela sul volto di quella creatura.
Mentre cerca di liberarsi, comincio a colpirla.
Prendo i libri caduti a terra con delle ragnatele e li lancio contro quell'alieno.
Ad un certo punto salta dall'altra parte della stanza e dalla sua bocca esce un suono fastidioso, come un urlo.
Le cose presenti nella stanza tremano anche dopo la fine di quel suono.
Improvvisamente le porte dell'entrata vengono spalancate di colpo.
Era la polizia.
Riconosco subito il capitano Stacy davanti al gruppo di poliziotti.
Sento per un attimo una sensazione di tranquillità.
Mi sposto dall'altra parte della stanza poco prima degli spari verso Andrew.
Subito quella creatura esce da una finestra che avevano aggiustato due giorni fa, dopo l'attacco della settimana scorsa.
-Stai bene?
Sento la voce anziana del padre di Gwen.
Annuisco leggermente prima di andare verso il corridoio dove avevo lasciato le mie cose.
Mi cambio velocemente e cerco di coprire i graffi sul collo e quello sulla guancia con i capelli.
Esco dalla porta della biblioteca e mi unisco agli studenti fuori dal College.
Vedo subito Daniel parlare al telefono vicino ai cancelli d'entrata.
Appena mi vede chiude subito la chiamata e corre ad abbracciarmi.
-Ophelia!
-Piano! Ho dolori ovunque!
-Scusami- dice mentre si stacca dall'abbraccio.
-Cosa è successo?
-Andrew- dico secca.
Subito i suoi occhi si spalancano.
C'è un misto di rabbia e confusione, ma c'è anche un po' di felicità.
Era comunque il suo migliore amico prima di tutto questo.
-Era tipo posseduto in un corpo di un alieno rosso, quasi nero- gli spiego.
-E ti ha procurato quei graffi sul collo e sulla guancia- mi dice spostandomi leggermente i capelli.
-Si.
Subito prendo delle ciocche di capelli e ritorno a nascondere quelle ferite.
-Andiamo a casa di Elisabeth. Mi ha chiamato prima. Ha detto che ha tutto lei per la festa di stasera.
-Quindi avete fatto una festa?
Era scontato, lo so, ma volevo prenderlo un po' in giro.
Subito il suo viso diventa rosso.
-Ops! Forse non dovevi dirlo!- lo prendo in giro.
-Zitta!
-Sto zitta- dico ridendo.
Cominciamo a camminare verso la casa della mia migliore amica.
-Come stai?- mi domanda, interrompendo il piccolo silenzio tra di noi.
-Un po' spezzata, ma sto bene! Ho passato di peggio.
-Hai iniziato questa giornata in bellezza, eh!
-Già. Stamattina, mentre venivo qui, stavo pensando, anzi, sperando, che oggi avrei passato una giornata tranquilla e non movimentata e piena di rischi- rido, anche se qui c'è da piangere e disperarsi.
-A quanto pare per certe persone, come nel tuo caso, non è così.
Annuisco con un filo di disperazione e ironia.
Mentre camminiamo, sento dal nulla le gambe cedermi leggermente.
Subito Daniel mi prende da sotto le braccia.
-Ehi Ophelia! Prendiamo un taxi?
Annuisco leggermente.
Mi sforzo a rimanere in piedi mentre il corvino prova a fermare un taxi.
Non appena la macchina si ferma in mezzo alla strada, subito apro la portiera e mi butto un po' a peso morto sul sedile.
Daniel si siede accanto a me.
Chiudo gli occhi e i rumori intorno a me e "back in black" degli "AC\CD" in sottofondo, diventano un suono lontano.

-Ophelia! Siamo arrivati!
Sento la voce di Daniel che cerca di svegliarmi mentre mi scuote leggermente.
Apro gli occhi e mi tiro su.
Scendo dall'auto e nel mentre Daniel paga l'autista.
Subito mi ritrovo davanti la piccola casa di Elisabeth.
Mi avvicino al campanello e suono sul piccolo pulsante.
La porta viene aperta da un Peter assonnato.
Appena mi vede spalanca gli occhi, si aggiusta velocemente i capelli con una mano e mi salta addosso.
-Auguri pasticcino mio!- dice euforico per poi baciarmi.
-Che cosaa?
"Pasticcino mio"?
-Elisabeth?- domanda subito Daniel mentre attraversa la porta.
-Dovrebbe tornare nel pomeriggio, aveva delle commissioni da fare.
-Commissioni per il mio compleanno- specifico io.
Peter mi guarda leggermente arrabbiato.
-Entra e sta zitta!- mi ordina.
Gli faccio la linguaccia mentre cerca di fare il finto arrabbiato.
Noto già alcuni palloncini nel piccolo salotto beige e bianco.
-Fila in cucina!- mi ordinano i due ragazzi.
Alzo le mani e raggiungo la cucina.
E' tutta piena di vari dolci e stuzzichini salati.
Ci sono varie teglie di focaccia ancora incomplete, coppe piene di patate tagliate a strisce, frutti tagliati a pezzi per fare non so cosa e vari sacchi di farina, zucchero e cioccolato sparsi per tutto il tavolo.
-Non toccate niente!- urla Peter appena vede la mano di Daniel allungarsi verso dei biscotti di cioccolato.
-Neanche uno?- domanda Daniel speranzoso.
-NO!
-Ok.
In tutto ciò sono ancora le dodici e mezza.
Ad un tratto Peter esce dalla dispensa della cucina con in mano un vassoio di pizzette con il pomodoro e la mozzarella.
-Oggi pranziamo con queste- ci dice mentre fa spazio sul tavolo.
Subito io e Daniel ci guardiamo e ci buttiamo sulle piccole focacce.
Sembra che non mangiamo da mesi.
-Cosa è successo stamattina?- domanda Peter mentre prende la terza pizzetta.
-Andrew.
Abbasso lo sguardo.
Anche se non lo vedo, riesco a sentire il suo cuore accelerare e i suoi muscoli irrigidirsi.
Mi avvicino a lui e poggio una mano sulla sua.
Alza lo sguardo verso di me e nota i graffi sul collo e sulla guancia.
-Te li ha fatti lui?- chiede rigido, anche se sa già la risposta.
-Peter...
Subito stacca le mani dal tavolo ed esce dalla cucina.
Daniel prova a seguirlo ma lo fermo.
Sentiamo la porta d'entrata sbattere.
Rimaniamo in silenzio.
Nessuno dei due dice nulla.
Faccio un respiro profondo e poi vado nella camera da letto di Elisabeth.
Chiudo la porta e mi butto a peso morto sul letto.
Mi giro a pancia in su e comincio a fissare il soffitto.
Sposto lo sguardo verso l'armadio accanto alla porta e noto due buste di vestiti.
Mi alzo con un po' di fatica e apro le buste.
Dentro ci sono dei vestiti da festa, due paia di scarpe e accessori rossi e neri.
Prendo uno dei due paia di scarpe e vedo un biglietto di carta sotto la suola.
" 39 e mezzo - Ophelia"
Forse sono per stasera?
Torno sul letto e chiudo gli occhi.
Una cosa che ho imparato sin da subito per risolvere i problemi, è dormire.
Ok si, non è proprio così, ma per tre o quattro ore ti da quell'idea.

-Dov'è Elisabeth?
-Non lo so, non risponde!
Vengo svegliata dalle voci allarmate di Peter e Daniel giù in cucina.
Prendo il cellulare sul comodino e lo accendo.
Sono quasi le venti.
Ho dormito tutto il pomeriggio... fantastico!
Mi do una veloce sistemata e poi scendo giù in cucina.
-Non risponde! Ha il cellulare spento!- sento Daniel urlare disperato.
-Forse si è scaricato- ipotizza Peter.
-Che succede?- domando mentre entro in cucina.
-Ophelia! Elisabeth è scomparsa! Non risponde al cellulare!
-Cosa?
Che giornata di merda!
-Sarebbe dovuta tornare già tre ore fa- dice il mio ragazzo.
-Vado a dare un'occhiata in giro?
-Si. Io e Peter andremo dalla polizia.
Salgo di nuovo in camera, esco la tuta di Spidergirl, apro la finestra della camera di Elisabeth e mi butto tra le strade di New York.
Ho intenzione di fare il giro di tutta Manhattan.

Sto girando da quasi un'ora ma di Elisabeth non c'è traccia.
Mi fermo sulla punta dell'Empire State, mi tolgo la maschera, prendo il cellulare e chiamo Peter.
-Ci sono novità?- domando io con una punta di speranza.
-No. Noi siamo ancora in centrale. Abbiamo già fatto denuncia.
-Solo questo? Non vi hanno detto nulla?
-Controlleranno tutte le telecamere delle strade di Manhattan. Se non troveranno nulla, non so come faranno.
-Va bene.
Chiudo la chiamata.
Scoppio a piangere.
Oggi doveva essere una giornata speciale, e invece è stata una di quelle giornate che vuoi dimenticare subito.
Una di quelle che speri che sia stato solo un brutto sogno.
Ma purtroppo non è così, è la realtà in cui ti tocca vivere.

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