I L'ultimo sospiro della Vallata Santa Domenica

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Iano, con i suoi occhi stanchi, scrutava la Vallata Santa Domenica da un punto panoramico elevato, il Ponte Nuovo. La scrutava con il vivido ricordo in testa di quando era un'oasi di verde rigoglioso, un fiume verde smeraldo che attraversava l'intera città di Ragusa, portando refrigerio e bellezza. Ora invece l'ombra dell'ultimo albero che custodiva i segreti di generazioni era sparita. L'aria, carica di una tristezza incommensurabile, sembrava raccontare una storia di perdita e desolazione.

La notizia infausta giunse la mattina stessa. Iano era nel suo ambulatorio, una novità rispetto alle ultime settimane di caldo intensissimo. Quando infatti la temperatura rischiava di aggirarsi sui cinquanta gradi, apriva l'ambulatorio solo dopo il tramonto. Era troppo alto il rischio di fare accalcare i suoi pazienti nella sala d'aspetto, con quell'aria che sembrava diventare ruggine in gola per gli incendi e l'afa implacabile.

Ed erano davvero in tanti a Ragusa a rivolgersi ogni giorno a lui, l'unico dottore che lavorava senza chiedere nulla in cambio o facendo la spia alle autorità. Poveri diavoli, vedove con figli a carico, anziani soli e migranti in fuga avevano solo Iano come punto fermo, un uomo di mezza età tornato ad un certo punto della sua vita nella sua città natia. Nessuno a Ragusa sapeva il reale motivo del suo ritorno e perché lavorasse in quel modo. Solo si poteva supporre dalla sua dedizione nel fare del bene che avesse un grosso peccato da espiare.

Il messaggero fu un suo vicino di casa, Massimiliano, il quale giunse correndo a perdifiato nel suo studio medico,  ansimante e in lacrime.
"Iano, devi vedere... l'ultimo albero della Vallata Santa Domenica è morto."
"Cosa stai dicendo?" rispose lano sconvolto.
"Si, siamo scesi giú dal Carmine a controllare... Gli incendi hanno fatto il loro lavoro..."

Lì per lì Iano non rispose. Stava auscultando il petto di un bambino sotto l'occhio preoccupato della madre, quando la notizia deflagró inattesa senza colpo ferire.
Serró allora i pugni, sentendo il peso della situazione. Era come se il cuore stesso della sua comunità, l'ultimo baluardo di una natura resistente si fosse arreso al caldo implacabile. La Vallata Santa Domenica, una volta fiorente, ora risuonava del gemito finale di un albero che aveva dato riparo e nutrimento per secoli.

"Io... non so cosa dire..." farfuglió con lo sguardo fisso nel vuoto.
"Noi abbiamo pensato di fargli un funerale, una cerimonia! Per ricordare..."
"No!" disse perentorio Iano, facendo sobbalzare tutti gli astanti. Resosi conto della gravità della sua esternazione, prese per la mano il suo vicino di casa e lo trascinó in bagno per parlargli a quattr'occhi.

"Sei matto che proponi un assembramento? Vuoi farti arrestare?" gli chiese sottovoce Iano, lanciandogli uno sguardo feroce.
"Ma di che parli? Non è una manifestazione! Ci sembrava... un modo per ricordare la Vallata..."
"Vallo a raccontare alla polizia che non state manifestando! Magari mente vi sta spaccando i reni in carcere!"
"Ma perché parli così, che cosa..."
"Lo so e basta!" lo interruppe Iano, stavolta ad alta voce.

Vide allora Massimilano ammutolirsi e iniziare a tremare, nel tentativo di imbrigliare le lacrime che stavano esondando dai suoi occhi. Iano capì cosa stesse avvenendo in lui e lo strinse a sé, affinché potesse soffocare il suo pianto tra le sue braccia.
"Mi dispiace... é una notizia terribile, lo so, lo so..." disse Iano cullandolo, mentre Massimiliano affondava la faccia sulla sua spalla e con essa un grido disperato.

Poi, quando Massimiliano si calmó, alzó di nuovo lo sguardo e guardó dritto negli occhi l'amico.
"Cosa ci sta rimandendo, Iano?"
Qualche decennio prima, da studente di medicina, gli avrebbe detto la speranza. Ora Iano riusciva solo ad abbassare la testa.
"Perdonami, io devo tornare al lavoro adesso..."
"Sì, scusami, non dovevo piombare così..."
"Non preoccuparti. Ho solo una richiesta da farti, Massimiliano..."
"Di cosa si tratta?"
"Non portate via l'albero. Appena finisco qui voglio scendere a vederlo..."

****
Dopo avere osservato la Vallata dal Ponte Nuovo, Iano si spostó verso Piazza Libertà. Aveva individuato dove si trovava l'ultimo tronco rimasto. Non era poco lontano da lì, era nella parte antistante il Parco Giovanni Paolo II. Avrebbe dovuto solo attraversare il Ponte e poi, al primo incrocio per Piazza Libertà, andare a destra e scendere fino alla Via Natalelli.

Si diresse velocemente verso la sua destinazione. Anche se era il tramonto, il cielo, più che tinto di rosso e arancio, era ingrigito dalla foschia degli ultimi incendi. Respirare dava ancora noie e così Iano decise di indossare una mascherina.

Camminando, cercava di sovrapporre alla desolazione che regnava sovrana i suoi ricordi felici. Là dove c'erano porte sbarrare e vetrine sfondate, lui ricordava tavolini colmi di gente all'ora dell'aperitivo. Là dove il fuoco aveva annerito i muri delle case abbandonate, lui ricordava le luci che provenivano dalle loro finestre. Là dove la polizia pattugliava le strade con degli enormi SUV dai vetri oscurati, lui ricordava i suoi primi giri nell'auto di suo padre, appena patentato.

Giunto infine in Via Natalelli, proprio sotto le arcate del Ponte Nuovo, Iano prese la scalinata che conduceva alla Vallata e attraversó ció che ne rimaneva. I segni dell'incendio erano ovunque: sterpaglie stecchite, polvere, terra carbonizzata, un paesaggio ormai lunare trasformato ancora una volta in inferno. Ragusa, la sua città, la sua unica comunità, già così piagata dalla siccità e dalle ondate di caldo, subiva un ennesimo colpo devastante.

Infine, trovó l'ultimo albero rimasto. Iano si inginocchiò davanti al ceppo, toccandone la corteccia carbonizzata con le mani ruvide.
"Quante, quante vite hai sostenuto..."mormorò, quasi come se volesse consolare il fantasma dell'albero defunto. La Vallata Santa Domenica, una volta una rigogliosa testimonianza della loro ricchezza, ora era solo un ricordo mummificato.

L'amarezza per tutta quella devastazione gli attanaglió il cuore come una morsa e Iano non poté fare a meno di piangere tutte le lacrime che aveva ancora in corpo. Era stanco di sentirsi in quel modo. Non c'era bastione capace di fermare tutto quel degrado che, come una macchia nera di olio, si infiltrava ovunque, lasciando solo distruzione dietro di sé.
Si sentiva da anni come sotto assedio, braccato dal male che, pezzo dopo pezzo, ogni giorno gli strappava un pezzo di vita.

Il sole era ormai tramontato, qualche stella riuscì a sbucare con la forza del suo splendore attraverso la cappa della foschia. Iano alzó allora gli occhi al cielo, mentre ancora le lacrime gli rigavano il volto. Lui non sapeva pregare, ma in quel momento manifestó con tutte le sue forze il sorgere di una speranza che potesse riscattare le loro vite.

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