La foresta, un tempo lussureggiante e vibrante di vita, ora presentava un aspetto straniante e minaccioso. Le foglie degli alberi, che avrebbero dovuto essere di un verde brillante, viravano invece verso una tonalità di rosso cupo, quasi come se fossero state bruciate dall'interno. I tronchi erano segnati da cicatrici nere e il terreno sotto di loro era cosparso di foglie morte che formavano sul terreno come un tappeto, il cui colore ricordava il sangue rappreso. Comunemente, quel fenomeno veniva chiamato ruggine, il risultato di una malattia delle piante che si stava diffondendo nelle foreste della Nigeria.
Il rosso di tutta quella vegetazione sembró a Momo quasi un presagio sinistro, il quale guardava sbigottito quel paesaggio irreale. Non aveva mai visto in vita sua una foresta equatoriale, ma il panorama che si stava stagliando davanti ai suoi occhi era lontano da qualsiasi immagine la sua mente avrebbe mai potuto partorire.
Il camion coperto su cui stava viaggiando, diretto verso il campo base, percorreva una strada sterrata e sconnessa, facendo dondolare lui e le altre reclute ad ogni buca e ad ogni pietra incontrate lungo il cammino. L'atmosfera era pesante, l'aria carica di un odore ferroso e dolciastro, come di fogliame in decomposizione. Il cielo sopra la loro testa era coperto da un velo grigio che prometteva pioggia imminente e rendeva il rosso della vegetazione ancora più spento.
Ogni tanto, il veicolo superava piccoli gruppi di persone che si muovevano a piedi o su scalcagnate biciclette ai lati estremi del sentiero. Alcuni di loro si fermavano a guardare quel convoglio pieno di soldati, i loro sguardi curiosi e al tempo stesso impauriti andavano incrociandosi con quello di Momo.
Lui, seduto su una scomoda panca di legno, il corpo scosso dagli impatti e la camicia zuppa di sudore a causa dell'umidità opprimente, sentiva adosso tutto il peso dei chilometri percorsi. Per distrarsi un po' da quelle sensazioni sgradevoli, si soffermó allora a guardare le facce degli altri commilitoni seduti attorno lui. Tutti loro rappresentavano una geografia di origini variegata, un mosaico di storie non dette.
Alcuni avevano lo sguardo spento, forse svuotato dal distacco necessario per sopravvivere a quel genere di vita. Altri erano chiaramente euforici, di sicuro galvanizzati dall'adrenalina del pericolo o dall'attrattiva di una paga che prometteva più di quanto avrebbero potuto guadagnare altrove.
Infine c'erano quelli come lui che avevano la paura dell'ignoto incistita addosso, una tensione quasi palpabile nei loro movimenti nervosi.Momo rifletté allora su cosa avesse spinto ciascuno di loro su quella strada. Solo la povertà? Il desiderio di riscatto? Oppure qualche ideale da inseguire romanticamente? Lui, da parte sua, non avrebbe saputo dire con esattezza il motivo del suo arruolamento. Nel suo caso specifico, i confini tra la scelta, la necessità e il semplice ricatto erano infatti confusi e frastagliati.
La sua vicenda ebbe inizio quando venne preso in flagranza di reato durante una delle sue lezioni clandestine, tenute in un seminterrato polveroso di Sonnenallee, nel distretto di Neukölln a Berlino. Quella notte, mentre spiegava la Seconda Intifada palestinese, la polizia irruppe, arrestando lui e tutta la sua classe.
Le accuse mosse furono pesanti: detenzione illegale di materiale analogico, diffusione di notizie false e, la più grave, istigazione all'estremismo a causa della diffusione di materiale sedizioso. Il processo per lui fu rapido e la sentenza, per le autorità, esemplare: venticinque anni di carcere.Finì così a passare i suoi giorni in una cella angusta e soffocante che traboccava di uomini disperati e distrutti, ciascuno con la propria storia di rovina. Tuttavia, lui lì non era un detenuto qualsiasi. Era un potenziale propagandista di visioni pericolose, una minaccia silenziosa ma devastante per l'assetto che le guardie carcerarie erano incaricate di mantenere.
L'ordine che arrivó ai secondini fu quindi di marcarlo stretto, perché le parole di Momo avrebbero potuto incendiare le coscienze più vulnerabili tra quelle mura consunte.
Venne quindi isolato sistematicamente, rendendogli impossibile ogni possibile influenza, ogni scambio di parole, anche il più innocuo agli occhi di un osservatore esterno. Durante l'ora d'aria, ad esempio, una figura in uniforme lo seguiva con lo sguardo di un falco impedendogli qualsiasi socializzazione.
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Un mondo alla fine del mondo
Science Fiction"Esiste un mondo alla fine di questo mondo e noi lo troveremo" 04/09/24 🥉 classificato Contest Estivo di @maidireteam categoria fantascienza In un mondo devastato dai cambiamenti climatici e dal caos derivante dalle guerre per le risorse scarse, l...