XI La Ricerca di una Risposta

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Prima del sorgere del sole, Iano sgattaioló di casa senza fare rumore. Si recó nel garage e si mise così al volante della sua auto, attraversando le strade deserte di fronte a lui come se si trattasse di un corridoio silenzioso che si dipanava lungo tutta la città addormentata.

Non c'era nessun altro in giro; ogni semaforo lampeggiante sull'arancione era il promemoria solitario di una vita quotidiana ancora sospesa.

La risolutezza illuminava il volto di Iano. Guidava con un senso di misurata urgenza, il suo pensiero era fisso su ció che Farah gli aveva rivelato sul suo compagno. La sua vicenda gli pesava sul cuore e si muoveva così, con addosso un senso di risolutezza e angoscia. Da una parte era spinto dalla volontà di alleviare il dolore di Farah; dall'altra era consapevole che forse stava solo andando in cerca di un'ombra. Tuttavia, Iano non voleva lasciare nulla di intentato perché pensava, chissà, qualche piccola notizia su Momo era lì ad attendere solo di essere colta.

L'auto continuava a correre attraverso le strade vuote, l'unico suono percepibile era il morbido ronzio del suo motore e il lieve fruscio degli pneumatici sull'asfalto. La città sembrava diversa in quel momento di transizione tra l'oggi e il domani, segretamente viva sotto il velo della notte che di lì a poco si sarebbe sollevato.

***
Per i pochissimi ancora in grado di ricordarlo in quel tempo, la Rotonda Maria Occhipinti era un luogo della città dedicato ad una prominente figura ragusana, assurta a simbolo di resistenza al dispotismo perché si oppose all'ennesima coscrizione militare imposta dal regime fascista.

Tale luogo si ergeva come punto di osservazione emblematico al culmine della Via Roma, offrendo una vista panoramica sulle colline che circondavano la città.
Un tempo, quell'area era un trionfo della natura: valli rigogliose, vestite di una ricca varietà di alberi e di un tappeto verde che si estendeva a perdita d'occhio, simbolo di una terra generosa.

Con il tempo peró, il paesaggio circostante era drammaticamente mutato. Le colline poste innanzi alla rotonda erano ormai desolate: la vegetazione era stata decimata dagli incendi e il verde era stato sostituito da estese aree brulle, rinsecchite, dove la terra crepata sembrava chiedere invano soccorso.

Quello spiazzale, dove un tempo la comunità si radunava per socializzare o godere di quel lussureggiante panorama, ora era il teatro in cui si svolgeva la lotta quotidiana per la sopravvivenza di coloro i quali la fortuna aveva dimenticato o respinto.

Quando le luci dell'alba iniziavano ad infrangere l'oscurità della notte, migranti clandestini e lavoratori occasionali italiani emergevano come ombre dalle case abbandonate dei vicoli stretti e tortuosi del centro storico, trascinando con sé l'ansia di accaparrarasi anche per quel giorno un po' di soldi che potessero garantire loro un minimo di sopravvivenza.
Si posizionavano lungo i marciapiedi e nei pressi della rotonda, formando gruppi silenziosi e attenti. Ognuno di loro era mosso dalla speranza di essere scelto dai caporali che, arrivando con i loro veicoli, offrivano l'opportunità di un lavoretto nei campi o nei cantieri della zona.

Iano parcheggió la sua auto a discreta distanza dalla Rotonda Maria Occhipinti. Con un sospiro profondo, scese dalla vettura e si preparó per quello che sta per affrontare. Chiuse allora la portiera con un gesto deciso e inizió a camminare verso la folla già radunata. La sua andatura era controllata e guardinga: per quanto quella gente fosse solo alla ricerca di un modo per sbarcare il lunario, quello era sempre un mondo di mezzo, conteso tra disperazione e delinquenza. Iano non voleva quindi in alcun modo attirare nessuna attenzione sgradita su di sè.

Mentre si avvicinava, inizió ad osservare la gente lì raccolta: volti segnati dalla fatica e dalle difficoltà, corpi stanchi ma pur sempre pronti a scattare al minimo cenno di una ricompensa.

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