YOUR EYES

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«Sono come voi non lo vedete?»

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«Sono come voi non lo vedete?»


L'anima di Aris era come una tela bianca, un libro ancora da scrivere, un giardino in attesa di essere coltivato. Sin dalla più tenera età, era stato un ragazzo educato e gentile, con occhi luminosi che brillavano di innocenza e speranza, ma il destino, capriccioso e imprevedibile, aveva in serbo per lui una strada tortuosa e pericolosa.

All'età di quindici anni, il suo cammino incrociò quello di compagni dubbiosi, le cui ombre si insinuarono nella sua vita come il fumo che si insinua nei polmoni. Aris, desideroso di tenersi stretti quegli amici, si lasciò trascinare lungo una strada oscura e peccaminosa. L'inizio fu quasi innocuo: fumare sigarette per sembrare più "cool", anche se nel profondo non amava quel vizio.

Ma ben presto il veleno della droga e dell'alcool si insinuò nelle sue vene, avvolgendolo come una nebbia tossica.

Le notti di Aris si riempivano di risate forzate e sensazioni effimere di euforia, mentre si abbandonava sempre più spesso al piacere falso delle sostanze illecite. Tra una fumata e un bicchiere, cercava di annegare nell'oblio il peso delle sue insicurezze e dei suoi timori. I suoi genitori, ignari di quanto stava accadendo nel cuore del loro amato figlio, guardavano impotenti mentre lentamente si allontanava da loro eppure, nelle loro menti risuonava ancora la notte in cui provarono a salvarlo.

Di fatti, un giorno lontano in cui la notte era già calata da un po', e il frastuono della festa si stava attenuando nel lontano eco della città addormentata. Aris, con la testa ancora annebbiata dall'alcool e dalla confusione, si avviò verso casa con passo incerto, i pensieri confusi che danzavano nella sua mente turbinante. Quando finalmente raggiunse la porta di casa, si fermò per un istante, incerto se varcarla o meno. Sentiva il peso delle sue azioni appesantirsi su di lui, un senso di colpa che gli stringeva il petto con una presa sempre più stretta, ma quando spalancò la porta e varcò la soglia, ciò che lo aspettava al di là era molto peggio di quanto avesse mai immaginato.

Sul divano del salotto, seduti in silenzio con l'espressione preoccupata stampata sul volto, c'erano i suoi genitori. Il cuore di Aris si strinse all'istante, sentendo il peso delle loro parole non ancora pronunciate appesantirsi su di lui come un macigno. «Aris» disse sua madre, alzandosi lentamente mentre lo guardava negli occhi, «dove sei stato? Ti aspettavamo». Lui, incapace di sostenere lo sguardo di sua madre, abbassò gli occhi verso il pavimento, sentendo il peso delle sue colpe pesare su di lui come un fardello insopportabile. «Mi dispiace», sussurrò, la voce spezzata dall'emozione, «mi dispiace tanto». I suoi genitori si scambiarono uno sguardo carico di preoccupazione, mentre cercavano di afferrare l'abisso che si era aperto tra loro e il loro amato figlio. «Aris, ci stai preoccupando» disse suo padre con voce rauca, cercando di nascondere la propria angoscia dietro un'apparenza di fermezza. «Non sei più lo stesso ragazzo che eri prima. Cosa sta succedendo?» Le parole di suo padre lo colpirono come un pugno nello stomaco, facendo emergere un vortice di emozioni contrastanti dentro di lui. La vergogna, il rimorso, la paura di deludere coloro che amava di più al mondo.

Ma soprattutto, una sensazione di vuoto implacabile che sembrava inghiottirlo dall'interno.

«Io...» iniziò, ma le parole si affogarono nel groviglio di emozioni che gli serravano la gola. Non sapeva cosa dire, come spiegare il caos che era diventata la sua vita, come chiedere aiuto senza sentirsi un fallito e nel frattempo che cercava disperatamente di trovare le parole giuste, una verità dolorosa cominciò a farsi strada nella sua mente annebbiata: era cambiato, sì, ma non per il meglio.

E così, mentre i suoi genitori lo guardavano con occhi pieni di amore e preoccupazione, Aris si sentì sommerso dal peso delle sue stesse scelte sbagliate. Avrebbe voluto dir loro tutto, chiedere perdono per tutte le volte che li aveva delusi, promettere di cambiare e fare meglio. Ma sapeva che le parole da sole non sarebbero bastate a riparare il danno che aveva causato. Con un nodo stretto alla gola e il cuore pesante di rimorso, Aris si accasciò su una sedia vicina, lasciando che il silenzio avvolgesse la stanza come un sudario. Era arrivato il momento di affrontare le conseguenze delle sue azioni, di guardare dentro di sé e trovare la forza di risalire dall'abisso che lui stesso aveva scavato. E forse, solo forse, c'era ancora una speranza di redenzione per lui, una via d'uscita dalla spirale autodistruttiva in cui si era intrappolato.

Però, non tutte le storie hanno un lieto fine come nelle fiabe.

Un giorno, mentre Aris era seduto sul marciapiede fumando una sigaretta, i suoi amici si avvicinarono ridendo. «Ehi, amico dai, unisciti a noi!» esclamò Marco, uno dei suoi amici più stretti, mentre gli tendeva una bottiglia di birra. «Forse non ti piace, ma stai diventando noioso ultimamente», aggiunse ridendo. Lui annuì debolmente, prendendo la bottiglia e fingendo di essere d'accordo eppure, nel suo cuore sapeva che non era quello che voleva. «Sì, hai ragione, forse ho bisogno di rilassarmi un po'». rispose, cercando di nascondere la sua crescente insoddisfazione dietro un sorriso forzato.

Quella sera, la festa era in pieno svolgimento. La musica assordante e le risate fragorose riempivano l'aria, mentre Aris si trovava circondato dalla folla, come una foglia alla deriva in un fiume tumultuoso. Una mano invisibile sembrava spingerlo verso il bar, verso il bicchiere di vodka che Marco gli aveva appena offerto. E senza esitazione, prese il bicchiere e lo ingoiò in un sol boccone.

Le ore trascorsero veloci, quasi come se il tempo si fosse fermato per permettergli di dimenticare il peso del suo dolore interiore. Ma mentre il sole sorgeva all'orizzonte, la realtà cruda e implacabile tornò a farsi sentire. Aris, stanco e confuso, si ritrovò solo, seduto su una panchina in un parco deserto. La testa gli girava, le sue membra erano pesanti come il piombo, eppure una sensazione di vuoto lo avvolgeva come una morsa. Mentre cercava di raccogliere le sue forze per alzarsi e tornare a casa, un pensiero sinistro balenò nella sua mente annebbiata.

«Forse un altro bicchiere mi farà sentire meglio» mormorò, ignorando il debole richiamo della ragione che cercava di farsi strada attraverso il suo torpore.

Il destino, però, aveva in serbo per lui qualcosa di molto più oscuro e letale di una semplice bottiglia di alcool: mentre cercava di ritrovare la sua strada, la mano tremante di Aris afferrò una miscela letale di farmaci e droghe, come se cercasse la fuga definitiva dalla prigione della sua stessa mente. Il suo cuore, già logorato dall'uso eccessivo di sostanze, non riuscì a sopportare il carico, e si arrese sotto il peso dell'eccesso.

L'overdose, come un abbraccio di ghiaccio, lo avvolse, portandolo via nel sonno eterno.

La morte di Aris non fu un tragico incidente, né un destino scritto nelle stelle. Fu una lenta agonia, una marcia verso l'abisso che lui stesso aveva scelto di intraprendere. Il suo cervello, una volta sede di sogni e speranze, si spense lentamente, soffocato dalle tenebre della sua stessa autodistruzione.

E così, mentre le lacrime silenziose degli amici e dei familiari bagnavano il suo viso freddo, io, osservavo in silenzio il tragico epilogo di una vita spezzata prematuramente. Aris, una volta un ragazzo promettente, era diventato vittima delle sue stesse scelte errate, una stella cadente nel cielo notturno, destinata a spegnersi prima ancora di poter brillare pienamente.


♪|Toxic - La sad

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