10 Sébastien, il batterista solitario

5 0 0
                                    


Non tutti i bambini giocano con gli altri bambini, non tutti fanno parte dello stesso mondo. Ci sono certi bambini che hanno un mondo a sé, un mondo in cui è difficile entrare, se non praticamente impossibile. Questi bambini non danno un nome al loro mondo, se non forse solo ai suoi personaggi. Preferiscono viverselo così, anche perché forse è il loro unico modo di vivere.

Alla Maison sans Frontières c'è un bambino proprio così: si chiama Sébastien, ha sei anni ed è il bambino più magro di tutta la casa, tanto magro che molte volte viene preso in giro. «Séba non correre che se cadi ti spezzi!», «Séba guarda! Quest'insetto ti assomiglia!». Sébastien, però, non dà molto peso alle prese in giro degli amici. Sa di essere magrolino e quando i suoi fratelli e le sue sorelle gli dicono queste cose lui ride o fa finta di non aver sentito. Ogni tanto gioca con gli altri maschietti della Maison, raramente insieme alle femmine e quando questo succede si scopre che Séba ha cercato di guardare le mutandine a tutte le bimbe e, allora, viene ripreso in tono scherzoso da Tata.

Un giorno si affezionò ad una macchinina nera, simile a quella di Batman, ma non proprio uguale. Andava ovunque con la sua macchinina, le faceva percorrere chilometri su chilometri senza mai fermarsi a mettere benzina. Quando Tata glielo fece notare, Sèbastien rispose: «In questa macchina non serve la benzina».

«E come fa ad andare avanti?», domandò Susanna incuriosita.

Séba ci pensò un po' su e poi disse: «Non serve la benzina».

Ora era tutto molto più chiaro si disse Tata sorridendo e continuò a lavare le lenzuola sporche della pipì di Julienne.

Ogni tanto al piccolo Séba veniva in mente che poteva diventare un guerriero forte, come quelli protagonisti dei cartoni animati che Tata faceva vedere il sabato sera. Allora andava sulla collinetta sopra alla Maison, per cercare qualcosa con cui costruire una spada oppure un arco e delle frecce. Se qualcuno desiderava giocare con lui, Sébastien era felicissimo e insieme vivevano grandi avventure. Purtroppo, però, tutti si stufavano del gioco prima di lui; nessuno aveva, infatti, la sua immaginazione e nessuno sembrava capirla del tutto.

A volte alcuni bambini andavano da Tata e le dicevano che Sébastien era strano e che ogni tanto lo vedevano parlare da solo per casa. Lei rispondeva che invece erano loro ad essere strani perché non riuscivano a comprenderlo.

«Sébastien non parla da solo, se parla vuol dire che c'è qualcuno o qualcosa con lui, no?», spiegava Susanna.

«Ma Tata, non c'è nessuno insieme a lui!».

«Sì, invece, ma noi non possiamo vederlo. A volte ci sono cose che non tutti riescono a vedere, sapete. Anche io quando ero piccola molte volte vivevo in un altro mondo».

«E com'era il tuo mondo?».

«Non potreste crederci nemmeno se lo vedeste con i vostri occhi!».

Da quel momento in poi Sébastien non venne più preso in giro per la sua solitudine e quando parlava tra sé e sé, gli altri bambini lo lasciavano in pace e non gli dicevano nulla di cattivo.

Un giorno Sèbastien sembrava essere sparito nel nulla. Era arrivata l'ora della doccia e nessuno riusciva a trovarlo. Tutti lo chiamarono, ma del piccolo e magro Sébastien non c'era traccia. Tata iniziò a preoccuparsi, disse a tutti di non perdere tempo e di farsi la doccia mentre lei andava a cercarlo. Nel frattempo il sole iniziava a lasciare il posto ai pipistrelli di Kuma che, tra le cinque e le sei, si alzano in volo e riempiono il cielo.

Tata salì sulla collina, dove nessun bimbo ancora era andato a cercare, si avvicinò alla roccia più alta, si arrampicò e guardò verso il basso dov'era la Maison sans Frontières. Osservò ogni angolo, ogni pezzo di superficie che con il tempo si era allargata fino ad arrivare alle palme da olio vicino al fiume.

I bambini si stavano facendo la doccia, si divertivano a lanciarsi l'acqua e la schiuma che il sapone formava sulle loro spugnette. I ragazzi più grandi sgridavano i più piccoli dimenticandosi di come erano loro a quell'età e a Tata venne da sorridere perché ogni tanto, anzi, molte volte, anche lei se ne dimenticava. Era in queste occasioni che si ritrovava a pensare di voler ritornare bambina, di tornare a fare parte di quel mondo di cui aveva perso la chiave.

Un rumore non troppo lontano la risvegliò dai suoi pensieri e si girò a guardare nella direzione da cui proveniva il suono. Non riuscendo a vedere nulla si avvicinò, scavalcò un altro grande masso e spostò una pianta che le copriva la visuale. Eccolo lì, Sébastien! Tata non poté fare a meno di sorridere. Come si poteva arrabbiare con lui anche se l'aveva fatta preoccupare? Il bambino era seduto su una latta tutta ammaccata e scolorita. Chissà dove l'aveva trovata. Aveva delle cuffiette senza il filo posizionate in maniera scomposta sulle orecchie, dei bastoncini recuperati in mezzo alla brousse, la steppa, e suonava la sua batteria immaginaria come se ci fosse solamente quello da fare al mondo. Aveva gli occhi chiusi e un'espressione concentrata.

A volte cantava parole incomprensibili persino per lui. Adesso Tata capiva perché quando i bambini lo chiamavano lui non sentiva: un po' era a causa del suo nascondiglio troppo lontano dalla casa e un po' a causa della musica rock che suonava nella sua testa.

«Séba... Séba...». Tata lo chiamò più volte prima che il bambino si accorgesse di lei. Poi finalmente Séba aprì gli occhi e interruppe il suo concerto solitario. Forse in realtà non era mai stato solo, pensò Tata.

«Séba, ti stavamo cercando. Tutti i bambini ti hanno chiamato. Eravamo preoccupati».

Lui assunse un'espressione dispiaciuta e colpevole. Sarebbe stato punito? Non gli piacevano le punizioni e gli piaceva ancora meno quando Tata si arrabbiava con lui. Però lei non sembrava esserlo, o meglio, non ancora! Si alzò dalla sua batteria e si tolse le cuffiette. Raccolse tutto con estrema cura porgendo il materiale a Tata.

«Perché la dai a me? È la tua batteria, no? Tienila, anzi nascondila qua, in un posto dove nessuno può trovarla. Sarà il nostro segreto, che ne dici?».

Sébastien non disse nulla, rise come solo lui riusciva a ridere; aveva una vocina debole e sembrava un topolino. Andò a nascondere tutto ai piedi dell'albero del pane. Tata l'aveva fatto piantare da François anche se Davi, l'educatrice della Maison, non era d'accordo. Infatti molte volte lei sradicava gli alberi del pane senza farsi vedere da nessuno e quando Tata chiedeva spiegazioni, Davi faceva finta di niente. Però quell'albero in cima alla collina era sopravvissuto perché François aveva trovato un posto più sicuro in cui piantarlo, un posto dove Davi non sarebbe mai arrivata. Infatti, a causa della sua corporatura robusta, pochissime volte riusciva a sormontare quella che per lei era una montagna altissima, anziché una semplice collinetta. Il vero motivo era che a Davi non piacevano quegli alberi perché in tutto il Togo venivano piantati e fatti crescere solamente nei cimiteri, probabilmente per il profumo dolce dei loro fiori a volte bianchi, a volte rosa.

«Che problema c'è?», aveva chiesto Tata quando lei aveva chiaramente rifiutato di piantare quell'albero all'interno della Maison.

«Questo non è un cimitero».

Tata rideva, continuando a non capire. «Sì, Davi, ma rimane sempre un albero, ed è molto bello come albero, se fosse brutto capirei forse. Fatto sta che è un albero, e a me piace molto. Quando fiorirà ci sarà un bel profumo in tutta la casa».

«Profumo di tomba!».

«Vorrà dire che sotto ad uno di questi alberi verrò seppellita, all'interno della Maison».

Davi non capiva Tata e Tata non capiva Davi, non c'era rimedio a questo.

Sulla collinetta, però, l'albero del pane cresceva e Sébastien l'aveva utilizzato come nascondiglio per la sua batteria solitaria.

«Dai Séba, andiamo a fare una bella doccia calda. Mi sa che ne hai proprio bisogno. Sento la puzza fino a qua», scherzò Tata. Detto questo, Susanna si mise a correre veloce giù per la collina, in direzione dei bagni, mentre Sébastien, già davanti a lei, rideva e gridava: «L'ultimo che arriva è un rospo!», e Tata, quella sera, divenne il rospo della Maison.

Storie di bambini senza confiniDove le storie prendono vita. Scoprilo ora