Quel giorno faceva un caldo soffocante, si faticava a respirare e si sudava anche restando immobili. Quando i bambini arrivarono da scuola videro Tata distesa sulla panca che si faceva aria con uno dei mille quaderni che teneva nella sua stanza.
«Bambini, prima di mangiare fatevi una bella doccia fresca».
Lo disse con un tono quasi sofferente, non riuscendo a capire come alcuni bambini si sentissero bene e non avessero il desiderio di buttarsi sotto un bel secchio d'acqua fredda.
«Tata cosa facciamo per cena?». Era Antoinette, che il lunedì mattina non trovava mai il menù per la settimana che Tata avrebbe dovuto scriverle la domenica.
«Non lo so Antu, mi piacerebbe molto un piatto di insalata di riso, con quei funghetti buoni, il mais fresco, magari un po' di quartirolo e qualche altra cosina buona».
Erano i vaneggi pomeridiani dei quaranta gradi a parlare. Spesso Tata nominava cibi che per Antoinette, e non solo per lei, erano sconosciuti. La cuoca, non capendo, non diede retta a Susanna e andò in giardino per vedere con quale pianta potesse preparare la salsa da mangiare insieme alla pâte, un piatto tradizionale togolese a base di farina di mais.
Djalilou, il giardiniere, era impegnato a raccogliere i peperoncini che quell'anno erano cresciuti in modo sorprendente.
«A volte Tata non la capisco proprio!», si confidò la cuoca, cercando un supporto nel giardiniere. «Parla di riso con mais e funghi. Ma non lo sa che non si mangiano insieme riso e mais? A volte è davvero strana!».
«Sarà il caldo. Oggi la vedo molto stanca. Che cosa sei venuta a fare nel mio regno?», le chiese il ragazzo, guardandola seriamente, anche se Antoinette sapeva bene che, dietro a quello sguardo, era pronto uno scherzo o una presa in giro.
«Devo fare una salsa per la pâte. Che cosa mi proponi?».
Mentre cuoca e giardiniere parlavano in giardino, un paio di occhi curiosi scrutavano attraverso la finestra del dormitorio delle femmine: era Honorine, che non si faceva mai i fatti suoi e quando sentì che quella sera avrebbero mangiato la pâte ne fu felicissima.
Honorine era una ragazza di quindici anni, sorella del piccolo Sèbastien. Quando il padre dei due bambini morì, la loro mamma venne accusata di stregoneria e di avere ucciso il marito. Il proprietario del piccolo appartamento in cui abitavano nella capitale, Lomé, decise di cacciare tutti via di casa. La magia nera purtroppo, ancora oggi, è in Togo un argomento molto delicato: la superstizione sopravvive nelle paure e nelle fantasie del popolo che, spesso, si fa condizionare da credenze infondate.
I due fratelli furono tra i primi ospiti della Maison sans Frontières.
«Didi, Didi!». Honorine andò vicino all'amica che stava cercando di riposarsi, distesa sul pavimento. «Didi! Hai sentito? Se Da Antu ti manda al mulino chiedile se posso venire anche io!». Da in togolese significa sorella: mettere questa parola davanti ad un nome proprio è una forma di rispetto verso una persona più grande.
«Perché? Non vorrai rivedere quella specie di ranocchio peloso?», la stuzzicò Dagan, che, avendo assistito a tutta la scena, si intromise e, ridendo, iniziò a prendere in giro Honorine. Lei si arrabbiò molto e iniziò a pronunciare parole di cui si sarebbe pentita, se Tata non fosse stata così stanca da ignorare completamente la loro conversazione.
Poco dopo Antoinette chiamò Didi e le chiese di andare al mulino per macinare il mais giallo come il sole di quel giorno.
«Posso portare anche Honorine con me?», domandò la ragazza.
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Storie di bambini senza confini
Художественная прозаQuesti racconti arrivano da lontano. Da un luogo magico, nato in un villaggio del Togo, in Africa. Queste sono le storie dei bambini della Maison, una casa d'accoglienza per bambini orfani e disagiati, ma anche piena di allegria e amore. è una let...