Dopo pranzo, i bambini si riunirono nel loro dormitorio; era l'ora della siesta e Tata aveva controllato che tutti stessero riposando prima di andare a coricarsi a sua volta. Era all'oscuro del fatto che non sempre i bambini si addormentassero subito, rispettando così quella regola odiata da tutti. A volte si ritrovavano a bisbigliare tra di loro, raccontandosi storie e aneddoti, situazioni e episodi accaduti a scuola o durante la mattinata in casa, finché non arrivava Dagan, una bambina dodicenne addetta al controllo del riposo. Se i bambini più piccoli non restavano in silenzio aveva il compito di riprenderli e, nel caso in cui non avessero obbedito, andava a riferirlo a Tata e allora sarebbero stati guai. In Africa, infatti, a dodici anni si è già grandi e si è già investiti di una grande responsabilità nei confronti dei bambini più piccoli, nonché di un'autorevolezza quasi da adulti.
Quel giorno era bastato un suo sguardo per fare zittire tutti. Dagan rimase lì per altri due minuti e tornò nel suo dormitorio, quello delle bambine. Per terra, intente a colorare, c'erano Honorine e Didi, due quindicenni con caratteri completamente opposti: la prima pigra, spesso in cerca di attenzioni e molte volte aggressiva; la seconda, invece, responsabile, dolce e timida. Su un letto c'era Fulbert, il maschietto più grande del gruppo, concentrato nella lettura di un libro di animali, la sua passione.
Sdraiata su una stuoia sul pavimento per riposarsi e proteggersi dal caldo, c'era Antoinette, la cuoca della Maison.
«Vado a chiedere le carte a Tata» disse Dagan, che si sentiva sempre autorizzata a svegliare Tata in qualsiasi momento, anche se solo per prendere dei giochi.
«Lascialariposare! Non hai visto come era stanca questa mattina?» replicò Didi, semprecon la testa sul collo. Era una ragazza che osservava e sapeva sempre tutto di tutti, ma teneva i suoi pensieri per sé, facendoli uscire solo in caso di bisogno.
«Beh, la svegliamo, ci dà le carte e poi ritorna a dormire» rispose Honorine. A terminare quella discussione fu Antoinette che, con un semplice e perentorio «No», zittì le tre ragazzine, che continuarono nelle loro attività, chi a colorare e chi a leggere.
«Vi siete mai chieste perché Tata sia venuta a vivere qui insieme a noi?». Fu Fulbert a porre questa domanda; era sempre molto curioso.
«Non è lei che è venuta a vivere insieme a noi, semmai è il contrario».
«Secondo me è un angelo».
«Gli angeli hanno le ali, sciocca!».
«Forse perché non le piaceva il posto in cui abitava prima».
Ognuno aveva una propria idea. Nessuno poteva dire con certezza la ragione che aveva portato Tata in Togo; rimaneva un mistero. Averla sempre lì, insieme a loro, era strano e bello allo stesso tempo. Dagan, una volta, aveva detto che, secondo lei, Tata non era né bianca né nera, era Tata e basta.
Non sapevano definirla; comprendevano che era molto diversa dagli altri bianchi, ma forse solo perché lei si occupava di loro senza quasi mai ritornare nel suo Paese natale.
«Secondo me è solo perché qui c'è sempre il sole mentre a Iovodè non c'è mai», aggiunse Fulbert. Aveva una bassa opinione dell'Occidente, che i togolesi chiamano, appunto, Iovodè (il paese dei bianchi) e se lo immaginava freddo tutto l'anno.
«Tata, però, mi ha detto che da loro c'è una stagione dove fa caldo come qui», obiettò Dagan.
«Beh, ma sicuramente non durerà molto, poi la neve ritorna e nessuno può più uscire di casa».
«Fulbert, smettila di dire cose che nemmeno sai!». Honorine doveva sempre aggredire qualcuno in qualche modo, altrimenti non si sentiva soddisfatta della giornata.
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Storie di bambini senza confini
General FictionQuesti racconti arrivano da lontano. Da un luogo magico, nato in un villaggio del Togo, in Africa. Queste sono le storie dei bambini della Maison, una casa d'accoglienza per bambini orfani e disagiati, ma anche piena di allegria e amore. è una let...