mi sento morire.

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Raccolgo velocemente delle bottiglie di birra, un pacchetto di sigarette, accendino ed un quadernetto nero sgualcito sul quale spesso scrivevamo tutti, qualsiasi cosa, e che dopo è rimasto a me perchè Leah non sopportava di vederlo. Voglio che sia proprio come l'anno scorso. Mia madre mi allunga una fetta di torta che potrebbe equivalere ad un quarto di essa e la incarta, vuole a tutti i costi che lei la mangi.
Lei mangia poco ultimamente e dubito che vorrà una fetta così grossa, ma la metto comunque nello zaino con il resto delle cose.
La saluto ed esco, probabilmente non tornerò nemmeno a casa questa notte.
Non mi sfiora minimamente la probabilità che lei non sia a casa, so bene che sarà proprio lì, a ricordare e a soffrire.
Ricordare e soffrire.
Ormai fa solo questo. Io non la voglio vedere così, non so perchè, ma vederla soffrire è un pugno allo stomaco non indifferente. Anzi il perchè lo so benissimo, la amo ancora. Dopo tutti questi anni, dalla prima volta che l'ho vista inveire contro Oliver.
E potrei anche addossare tutta la colpa di questo schifo a lui, ad Oliver, ma saprei comunque che la colpa non è sua. Si sentiva di voler tagliar la corda e l'ha fatto, ma si sapeva, si sapeva che sarebbe finita così.
Ed ora Leah, Leah è sempre più simile a lui: si trascura da un po'. Non si è nemmeno rifatta la tinta, ed ha una ricrescita di capelli neri che a momenti arriva alle sopracciglia, quasi a ricordare, quei capelli neri tanto simili ai suoi, che aveva voluto a tutti i costi tingere di biondo. Ed è sempre stata bellissima, bionda o meno.
Si veste con tutte le cose di Oliver, non si compra un paio di scarpe da quando l'anno scorso al suo compleanno io e lui le abbiamo regalato quelle che ancora porta, si trucca sempre con più nero, ma le occhiaie le vedo benissimo.
E poi fuma, fuma come un turco, ogni giorno di più, ed è la stessa identica cosa che faceva lui.
Prima di tagliare la corda.
Fumava per bruciarsi i polmoni, voleva andarsene.
Ed ora capisco, comprendo, ci arrivo: Leah sta facendo la sua stessa identica fine.
Cristo, io certamente non glielo permetterò; l'ho promesso, più a me che a lei, ma a qualcuno l'ho promesso, e dannazione io non sono pronto a stare anche senza di lei.

-Maledizione Leah, apri questa fottuta porta. So che sei in casa! Apri!- sto urlando, e ho paura, paura che abbia fatto qualche cazzata.
Non ce la faccio più e la scassino, quella casa ha le serrature più orrende e inutili del pianeta.
Un odore acre di fumo mi invade le narici, una piccola camera a gas letale, che mi fa tossire. Spalanco porte e finestre.
L'ho vista, è in mutande, raggomitolata sul pavimento, appoggiata ai piedi del divano, con le ginocchia al petto e fronte su di esse. È talmente fragile e debole che la sua spina dorsale spicca sulla schiena nuda, pallida. I suoi capelli sono sparsi su du lei, quasi a proteggerla, che toccano il pavimento. Una mano è appoggiata a terra, con un mozzicone di sigaretta tra le dita, vicino ad un cimitero di mozziconi, e non so se sono vecchi o se le ha fumate tutte ora. E spero vivamente nella prima opzione.
Non riesco neanche a guardarla, mi sale un nodo in gola amaro e talmente grande che quasi mi soffoca.
Lascio lo zaino a terra e vado vicino a lei, sedendomi a terra e appoggiandomi al divano.
Puzza incredibilmente di fumo e non la vedo alzare ed abbassare il torace. È immobile, una statua di marmo bianco.
Rabbrividisco e mi sento morire. Non può essere.
Non può proprio essere.
Lei non è morta.
Lei è ancora viva.
Lei respira.
Lei respira, vero?
Ed ora piango, in silenzio, e tutte le lacrime che credevo di aver pianto lo scorso anno non sono niente, niente, in confronto a quelle che sto piangendo ora.

January 15thDove le storie prendono vita. Scoprilo ora