non la lascio sola.

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Inspiro.
Espiro.
Faccio un tiro.
Inspiro.
Espiro.
La mia mente è vuota, immersa e impegnata a guardare il bianco soffitto. Finisco la sigaretta e mi alzo.
Mi stiracchio le gambe e le braccia ed esco sul balconcino della mia stanza, nonostante sia novembre inoltrato. Più precisamente il 28 novembre e fra quattordici giorni esatti, ovvero il 12 dicembre, compirò i fatidici e tanto desiderati da tutti diciotto anni. A mio parere non sono che un numero, un numero che ti fa cadere addosso tutte le responsabilità delle azioni che fai, al posto di farle cadere sui genitori. Cosa che tanto in casa mia è già così.

Inizio a sentire un po' freddo perchè sono in calzini, tuta e maniche corte, ma non importa, mi piace il clima così. Una leggera coltre di nebbiolina ricopre le strade dell'Upper West Side stamattina, facendo scomparire lentamente i grandi grattacieli. Abbassando lo sguardo posso notare la strada, con un signore che cammina svelto e con una faccia scocciata, probabilmente perchè il taxy è arrivato in ritardo. Poco più in là c'è una vecchietta dall'aria felice che passeggia col suo cagnolino e che trascina dietro di sè quei carrellini per la spesa fatti con la stoffa a quadretti, rosso e verde. Mi fa pensare con malinconia a quando da piccolo andavo con mia nonna al supermercato, mi faceva sempre portare il suo cagnolino, Belly, e poi alla fine mi comprava immancabilmente le caramelle o la cioccolata. Quanto mi manca.

Sento un urlo provenire dalla cucina e mi precipito lì. Trovo mia madre che sventola la mano lacrimando e una pentola con la pasta rovesciata a terra. Vado un secondo nel panico, ma poi mi riprendo e mi avvicino a mia madre.

-Mamma, stai bene?- chiedo.

Lei annuisce
-Sisi, tranquillo amore, non è niente.- fa un sorriso forzato.

-Mamma dammi la mano.- allungo il palmo aperto per fargliela poggiare sopra.

-Davvero Dug, non è nie..-

-Mamma!- il mio tono è uscito più minaccioso di quanto volessi, ma lei fa finalmente quello che le avevo chiesto. Ha la mano molto rossa e gonfia, non si è scottata in modo leggero.

-Dai, andiamo, ti accompagno al prontosoccorso, devi farla vedere a qualcuno.-

-Ma non è necessario, davvero.- cerca di sorridermi. Scuoto la testa -Mamma per favore, fallo per me. Okay?-

-Va bene, andiamo.-

Vado in camera mia e velocemente mi infilo le scarpe, una felpa a caso e il giubbino.

Saliamo in macchina e guido io, anche se non ho precisamente la patente, ma solo il foglio rosa. Tanto mia madre è adulta. La accompagno in un viaggio di dieci minuti nel quale non ha proferito parola.

Entriamo e ci sediamo in sala d'aspetto.

Sarà una lunga giornata, ma starò qui con lei, non la lascio sola come ha fatto mio padre.
Come ho fatto ieri pomeriggio con Leah.
Leah.
E ancora Leah.
Quel nome non mi ha mai lasciato la testa. Mai.

-Oh cazzo!- si mise a ridere, e la sua risata era il suono più bello che avessi mai sentito.
-Okay, riproviamo.- si alzò dal letto, camminando a piedi nudi per la stanza, verso il comodino. Prese un elastico e si raccolse i capelli, poi tornò a sedersi a gambe incrociate sul letto.
-Vai Oli, sono pronta!-
Oliver iniziò a suonare piano la chitarra, accordi dolci e bassi, poi fece un cenno a Leah.
Lei si mordicchiò il labbro e poi iniziò a cantare, una voce particolare, rude per essere da ragazza, ma soffice e morbida al contempo.
Lui suonava e lei cantava.
Loro.
La loro canzone.
I quasi gemelli, identici, separati, l'unica differenza negli occhi.
E lì, in quel momento li capii, capii loro, il loro legame e amore, quanto lei ci fosse affezionata, e quanto lui la volesse difendere, sempre, e compresi.
Compresi che qualsiasi cosa avrei fatto per farmi amare sarebbe stata vana, poichè loro sono inesorabilmente uniti.
Leah ed Oliver.
Oliver e Leah.
Sempre, qualunque cosa succeda, in qualsiasi momento. Ogni azione che faranno si rifletterà sull'altro, facendolo sorridere, piangere o spaccarsi, in frantumi.
Il loro specchiarsi e ritrovarsi guardandosi negli occhi. Neri e azzuri. Mare di notte e di giorno.
Non c'è uno senza l'altra.
E questo fa male, fottutamente male.
Ti amavo, ti amo e ti amerò sempre, Leah. Anche dopo Oliver, anche dopo tutto quel dolore.

-Mamma avverti John che sei qui, altrimenti si preoccupa.- le dico con freddezza, ancora penso a lei. Risulta inevitabile.
Vorrei solo che il tempo tornasse indietro, via dal male.
-Amore puoi farlo tu che ho dimenticato la borsa a casa?- mi chiede. Annuisco e avverto suo marito, al quale voglio molto bene, nonostante biologicamente non sia nessuno per me.

January 15thDove le storie prendono vita. Scoprilo ora