verde smeraldo.

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Mi gira la testa. Non capisco dove sono. Ma si può sapere che divolo sta succedendo?
Provo ad aprire gli occhi ma vedo tutto nero, un nero che mi avvolge, un nero che mi fa paura.
Sono spaventata, provo a tastare lo spazio che mi circonda ma non sento niente. Riesco a percepire un pavimento e capisco di essere sdraiata.
Provo ad alzarmi e mi sento ancora più persa, mi viene da piangere.
Io non posso piangere, sono troppo grande e non devo cedere.
Sento un peso opprimermi e vedo una specie di lucina, una lucciola da inseguire.
Mi metto a correre verso di quella, mentre qualche lacrima scorre sul mio viso, infrangendosi con l'aria.
La lucciola si ingrandisce mano a mano che la raggiungo.
Quando arrivo a questa scopro che è una porta di vetro opaco, che fa entrare la luce ma che non permette la vista dell'esterno.
La apro, speranzosa, e trovo una strada, deserta, priva di vita.
Mi ci fiondo, dapprima sorridendo, poi iniziando a ridere.
Ridere di gioia, rumorosamente.
Non mi accorgo di un camion che sta passando, mi suona ma non me ne preoccupo, ormai sono felice.
Lo vedo avvicinarsi, i fari, le urla del conducente e un grande schianto.

Mi sveglio di soprassalto, urlando, e mi rendo conto che quello era solo un sogno. E nemmeno tanto brutto, quella felicità, magari provarla veramente.
Stropiccio gli occhi e guardo che ore sono: le sei. Le sei!
Cazzo tra un'ora ho una festa in casa e non ho ancora preparato niente.
Mi alzo dal divano, dove mi ero addormentata scartando tutte le bibite e i bicchierini e trovo una sigaretta a metà. Ben venga.
La finisco mentre inizio a spostare i mobili ai lati per fare una specie di "pista". È una casa piccina non ci sta molto.
Sposto i mobili piccoli in camera da letto, e quelli grandi li lascio ammassati. Dato che la cucina e la sala sono nella stessa stanza, metto tutti gli alcolici, i bicchieri e le bibite sull'isola come una specie di piano bar.
Sistemo lo stereo e Dug poi mi porterà gli amplificatori e le casse.
Finisco di sistemare tutto a cinque alle sette e stanca mi butto sul divano, quando sento il campanello.

Sorrisi mentre facevo tintinnare le monetine da un quarto di dollaro in pile da dieci.
-Otto...nove e ... dieci! Mamma guarda ho finito.-
-Brava.- rispose fredda. Era sempre stata così, distaccata come. Decisi allora di riordinare i vari giornali sparsi sul tavolino del salotto e per terra vicino al divano.
Quello più vecchio era del tredici marzo 2006 e il più recente era del ventotto aprile 2006, ovvero il giorno stesso. Ero andata proprio io a comprlarlo, convincendo mia madre che nove anni erano abbastanza per non perdere cinque dollari in due vie. Così mi lasciò andare. Il giornale profumava ancora di carta stampata e a toccarlo rimaneva sulle dita una leggera patina nera di inchiostro.
Amavo alla follia quelle piccole cose.
Amavo alla follia un sacco di piccole cose.
Il suono del campanello mi distrasse dalle mie attività.
-Leah, vai ad aprire.- ordinò mia madre con tono serio.
Controvoglia mi alzai e arrivai alla porta aprendola. C'era un ragazzino sorridente poco più grande di me dai capelli neri, e con gli occhi ancora più neri dei capelli, come la mamma.
-Ciao, sono Oliver. Tu sei Leah, giusto?- chiese con un guizzo negli occhi scuri.
Ero bloccata, totalmente paralizzata, ancora con la mano sul pomello della porta. Uno sconosciuto era venuto a suonare al mio campanello e sapeva anche il mio nome.
-Mamma...- borbottai titubante, sperando che arrivasse come mai prima d'ora.
-Giuro su Dio che se mi hai fatto alzare per nulla questa volta le prendi davv... Oh, Oliver.-
Non saprei descrivere la sua faccia in quel momento. Era un misto tra incazzatura, scocciatura e anche un briciolo di sorpresa.
-Chi è?- chiesi curiosa di conoscere il motivo della sua espressione.
-Merda.- imprecò.
Fece un lungo sospiro e poi aggiunse -Quello è Oliver, tuo fratello.-

Il suono del campanello è insistente e mi risveglia dai miei ricordi.
Vado ad aprire e trovo Dug che armeggia con le casse.
-Mi faresti entrare che pesano?- domanda.
Mi scosto e lo guardo mentre collega i cavi. Ha caldo e delle goccioline di sudore gli colano sulle tempie. Un raggio di sole entra dalla finestra e fa sembrare i suoi occhi di un delicato vetro verde, limpido. Non mi ero mai resa conto che fosse così carino.
Lui si accorge del mio sguardo e alza il viso.
-Ehi bellissima, hai intenzione di presentarti vestita così alla tua festa?-
Dice squadrandomi con un'aria divertita e staccandomi un post-it dalla faccia con scritti sopra degli indirizzi.
Realizzo di essere messa peggio di un barbone quando corro in camera e allo specchio mi vedo con i pantaloni della tuta larga, una canotta macchiata e le calze con gli orsetti.
Ho una sottospecie di nido color paglia aggrovigliato in testa, con tanto di ciocche cadenti, e per completare il look, gli indirizzi che con il caldo della guancia mi sono rimasti come un alone bluastro di inchiostro sulla faccia.
Ho meno di cinque minuti e poi inizierà la festa per il mio diciassettesimo compleanno e sono un cesso vivente.
Viva me!

January 15thDove le storie prendono vita. Scoprilo ora