Mi sono mangiata un cervo?!

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Giunte davanti a casa rimetto la macchina in garage, spengo i fanali, il motore e mi fermo un'attimo, mi domando se Rebecca cercherà di tornare sull'argomento ma, non lo fa. Conosce i suoi limiti e ancor di più è consapevole dei miei confini. Sa quando una battaglia è persa e quando ancora non è arrivato il momento di combatterla.

Scendiamo dall'auto senza dirci una parola.

Arrivate al bivio tra le nostre due abitazioni faccio un cenno con la testa accompagnato da un "Buonanotte" e mi accingo verso la porta d'ingresso.

Ho già le chiavi quasi inserite nella toppa, quando sento uno scalpiccio di passi veloci.

Mi giro e faccio appena in tempo a prenderla in braccio che mi salta addosso.

Traballo per un secondo, attutisco l'impatto con le braccia e infine ritrovo l'equilibrio, in parte grazie al fatto di appoggiarmi lievemente alla porta di legno dietro di me.

Rebecca infila la testa tra il mio braccio destro e il mio petto e inspira ed espira.

"Mh mh mh" questi sono gli unici suoni che sento provenire da lei. Dovrebbero essere parole ma, essendo la sua bocca premuta contro la mia maglietta, il tessuto attutisce il rumore.

"Vorrei poterti dire che hai ragione Pulce, ma non ho capito un'h di quello che hai detto" sulle labbra mi spunta un sorriso dolce, le accarezzo la schiena con piccoli movimenti ritmici, mentre con l'altra cerco di mantenere la presa sul suo sedere per non farla cadere. Cosa che grazie allo sviluppo delle mie ultime abilità, risulta incredibilmente facile.

Solleva la testa, giusto il necessario per far sì che la mia povera maglia non venga più riempita di saliva mentre parla.

"Ti voglio bene Tigre bianca".

Come faccio a non sciogliermi davanti a lei?

"Anche io ti voglio bene Pulce. Anche con la tua saliva sulla t-shirt pulita".

Salta giù dalle mie braccia e fa la faccia imbronciata.

"Così avrai sempre una parte di me con te" sbatte gli occhioni lei.

Scoppio a ridere. Rido talmente tanto che ad un certo punto mi piego in avanti tenendomi con entrambe le braccia la pancia.

"Si certo, non la laverò più".

Ci salutiamo. Entro in casa cercando di non emettere il più minimo rumore. Tutte le luci sono spente.

"Jackpot" mormoro piano.

Mi addentro in corridoio e con passo felpato salgo i gradini ad uno ad uno. Al piano superiore ci sono cinque porte. Dal lato sinistro del corridoio c'è quella del bagno e quella della camera degli ospiti, ora adibita per mia nonna. Dal lato destro invece, si trovano la camera dei miei genitori e la mia, le uniche due stanze ad avere il bagno annesso e non all'esterno. La quinta porta dà sullo sgabuzzino, abbastanza grande da contenere una scala a pioli, portante al sottotetto. All'interno del sottotetto vengono tenute vecchie cianfrusaglie.

Camera mia, naturalmente, è infondo al corridoio, poco prima del ripostiglio e esattamente parallela a quella di mia nonna.

" Ce la puoi fare Rose, non sveglierai nessuno e andrai finalmente a dormire".

Afferro la maniglia e l'abbasso.

Un cigolio e l'inconfondibile rumore di una porta che viene chiusa mi fanno arrestare.

Il suono proveniva dalle mie spalle.

Mi volto. "Nonna?" sussurro.

La casa rimane immobile... silente.

Prendo la decisione di non indagare oltre anzi, me lo sono immaginata, mi accordo con me stessa.

Finalmente posso infilarmi a letto e scivolare tra le braccia di Morfeo.

*************

Il mio corpo brucia. I mie arti sono attraversati da spasmi involontari e incontrollabili.

Gli occhi mi si aprono di scatto, ho il respiro irregolare e pesante.

Cerco di tirarmi su, il corpo fa troppo male. Sto sudando freddo. La testa mi scoppia.

Scendo dal letto ma le gambe sembrano fatte di gelatina e mi cedono.

Incasso la caduta portando avanti le braccia e mi trascino a fatica verso la porta del bagno.

Apro non senza un certo sforzo la porta, una volta all'interno della stanza continuo a spingermi fino al lavello.

Alzo le braccia, afferro il bordo di marmo e con i muscoli che mi tremano, mi isso su.

Quando vedo il mio riflesso allo specchio per poco non mi scappa un urlo.

Delle vene nere mi attraversano la pelle del viso, del collo e probabilmente se mi guardassi il resto del corpo le troverei ovunque.

I miei occhi sembrano due torce nell'oscurità, di un azzurro intensissimo.

La bocca, mi fanno male le gengive.

Con uno sforzo sovrumano, essendo il mio corpo ormai insensibile per tutto il dolore che sto provando, mi porto la mano destra alle labbra.

Alzo il labbro superiore e all'istante, presa dal panico, lo lascio andare.

Con mano tremante ricompio la stessa azione, sia con il labbro superiore, che con quello inferiore.

Il mio cervello non riesce a elaborare quello che i miei occhi stanno registrando.

Dalle mie gengive, in corrispondenza dei canini, spunta qualcosa di bianco ed appuntito.

Un dolore improvviso e più acuto degli altri rischia di farmi ribaltare sul lavabo.

Sembra che qualcosa mi stia squarciando l'interno della bocca.

Mi coglie un'altra fitta e sputo dentro al lavandino quattro denti insanguinati. Riapro immediatamente la bocca e al loro posto, ci sono delle zanne. Due sopra e due sotto.

Ci passo un dito sopra, per capire se siano reali o, se io non stia semplicemente sognando tutto ma, appena mi avvicino alla punta e applico una minima pressione, mi pungo.

L'ultimo briciolo di sanità che mi era rimasto mi abbandona all'improvviso e tutto si fa nero.

Mi sveglio la mattina dopo tutta indolenzita, mi sembra di aver corso per kilometri e kilometri e, forse è proprio quello che ho fatto visto dove mi ritrovo, nel cuore della foresta di Cold Town.

Un brivido mi attraversa la spina dorsale. In bocca sento un sapore ferroso, ci metto solo un secondo a realizzare che si tratta di sangue.

Il cuore inizia a battermi all'impazzata all'interno della cassa toracica.

Muovendo le mani le sento appiccicose. Le porto in avanti, abbasso lo sguardo e lo vedo, sono ricoperte di sangue.

Le mie unghie sembrano artigli.

Il vento si alza e porta la mio naso l'odore di ciò che mi ricopre.

Provo a seguire la sua traccia. Non devo percorrere molta strada prima di trovarne l'origine.

Lì, in mezzo all'erba, tra le foglie cadute d'autunno, c'è il corpo di un cervo. I suoi occhi sono inespressivi, senza anima, sul pelo del suo collo dilaga una macchia rossa, ma il suo ventre, quello è dilaniato.

Inorridisco. Mi porto un mano a tapparmi la bocca, sento i conati di vomito salirmi in gola, bruciarmi le pareti della trachea.

Corro verso un'albero e rimetto tutto ciò che avevo nello stomaco... il cervo.

- SPAZIO AUTORE-

Cari lettori, il corpo di Roselyn sta cambiando sempre di più e durante la notte soffre di un'attacco dovuto alla mutazione e si risveglia in mezzo alla foresta. Per quanto tempo ancora riuscirà a tenere nascosto a tutti quello che le sta accadendo?

Ci vediamo al prossimo capitolo!

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