SALLY

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Secondo voi, quando si dovrebbe iniziare a perdere le speranze?

Guardo le luci accese degli appartamenti che si susseguono lungo la via del ritorno. Ogni finestra è una storia che si potrebbe raccontare; una vita piena di sogni che ha ceduto il passo al quotidiano.

Dietro a queste mura potrebbe nascondersi il mio principe azzurro?

Sono Rossana Pirovano, laureata fuori corso, alla ricerca di un contratto a tempo indeterminato. Cammino per arrivare ovunque, sempre con gli occhi che viaggiano e la fantasia che corre. Camminare mi rilassa. Vago, anche quando conosco la strada. Fingo di perdermi per ritrovare me stessa.

Ho fatto nuovamente la scelta sbagliata...Ma perché non ne azzecco una?! Mi domando, mentre alterno fantasie sulle sagome che intravedo dentro le case.

Questa mattina ero convinta che stavo per vivere un giorno speciale! Il mio contratto a tempo determinato era in scadenza e le valutazioni ricevute in questo anno sono state tutte super positive. Ero certa che oggi si sarebbe realizzato un progetto importante. Ero felice di esserci riuscita nonostante la pigrizia negli studi; avevo un bellissimo ufficio incentro, un responsabile che mi stimava e dei colleghi giovani che sembravano usciti dalla copertina di Vogue.

Se erano tutti così fighi, dovevo esserlo pure io, no?

Ricordo che il giorno del colloquio di gruppo pensai di essere capitata nel posto sbagliato. Troppi fenomeni in competizione per una posizione che fin dall'inizio prometteva l'assunzione certa: stage, contratto a tempo determinato e se la collaborazione è positiva, tempo indeterminato. Una previsione di crescita assicurata con valutazione delle performance cicliche, bonus sui contratti chiusi ed eventi di prestigio.

Non mi avrebbero mai preso.

Otto ore di test scritti, prove di gruppo e colloquio individuale.

Un'esperienza intensa e terribile. Un esame durato un'intera giornata.

Quella stessa sera, a casa, tra le coperte, ho pregato nonna. Le ho chiesto di farmi superare quel colloquio, l'ho scongiurata di farmi avere quella possibilità, per dare una svolta alla mia vita lavorativa, ma anche alla mia stima personale. Avevo fatto un altro colloquio il giorno prima, in una multinazionale all'estremo sud di Milano. Un caseggiato in mezzo ad altre aziende, vista tangenziale esterna. Un contratto di sei mesi senza certezza di assunzione.

Non c'era gara!

Quando ho avuto esito positivo da ambo le aziende non avevo alcun dubbio. Sarei diventata una consulente HR, un head hunter che gestiva le selezioni del personale per conto di aziende clienti.

Avevo scelto male... Ancora una volta... con convinzione ed entusiasmo.

Non eravamo altro che commerciali, che rompevano le palle alle aziende per vendere il nostro servizio di consulenza. Quando avevamo la fortuna di chiudere un contratto iniziava il lavoro per cui avevamo studiato. Purtroppo, capitava poche volte in un mese. Ho capito dopo un paio di settimane che il mio lavoro era una "marchetta" in tailleur. Avevo comunque bisogno di ricevere quel poco di stipendio e volevo entrare in un'azienda con un ruolo nelle risorse umane, per cui avrei dato il massimo per conoscere ed incontrare responsabili e direttori disposti a collaborare e poi magari ad assumermi direttamente. Con il tempo mi abituai a quelle routine: al telemarketing, alle riunioni all'americana per pomparti, agli eventi in cui fungevi da tappezzeria. Ed eccomi a macinar strada, a rivivere momenti e a tirar conclusioni: Che giornata di merda! Ma perché me la prendo tanto?

Non era il lavoro che volevo...Era l'unico lavoro che avevo però! Un biglietto da visita per puntare altrove...Uff!

La mia mente che macina parole e disegna situazioni arriva a realizzare due cose importanti, che poi si possono sintetizzare in una soltanto: Il mio istinto fa schifo! La mia capacità di scegliere la cosa sbagliata è un talento che non vorrei avere e con cui devo iniziare a fare i conti.

Basta! Con oggi abbiamo chiuso due disastri che si sono annunciati tali fin da principio!

Fanculo il lavoro; fanculo Iannone! Per lui non sono abbastanza figa...

Forse avrei dovuto mostrarmi più indifferente...

Forse avrei dovuto semplicemente cambiare strada appena ho capito che era un vicolo cieco...

Prendo il telefono e guardo la galleria di immagini che lo ritrae nella sua vita da ragazzo ribelle. Lo stomaco che mi salta nella pancia e si chiude in un pugno duro mi comunica che anche stasera salterò la cena. Non sono mai stata così magra come da quando conosco Niccolò. Nessuna gioia, nessuna soddisfazione, se non vedere le taglie dei jeans diminuire. Ha questa capacità di mettere in standby tutti i piaceri della vita: mangiare, dormire, divertirsi. La cosa che mi stupisce dipiù, in realtà, è che a causa sua ho iniziato a mentire. Le mie amiche sanno bene quanto mi piaccia, ma non quanto mi senta rotta dentro. Non sanno quanto dolore fa nascere il suo mancato interesse, quanta speranza mi danno i suoi pochi messaggi; non sanno quanto mi stacco da terra quando guardo per ore le sue foto.

--Dove sei amore?-- Mi scrive la mia migliore amica, consapevole delle ultime pessime notizie.

--Resto fuori con i colleghi stasera. Non ti preoccupare, ci pensano loro a tirarmi su. Beviamo, balliamo emi faccio riportare a casa-- rispondo subito.

--Ok, guardati un po'attorno, sia mai che trovi un bel figo da portarti dietro -- mi scrive inviandomi la Gif di un Rocco Siffredi giovane e ammiccante.

Menzogne che non fanno altro che alimentare la mia solitudine.

Non solo non posso avere lui; evito anche loro, per non scoprire cosa ho dentro, per non smascherare la mia follia.

Ma forse Sally è proprio questo il senso,

il senso...Del tuo vagare,

Forse davvero ci si deve sentire

Alla fine un po' male.

Forse alla fine ci si deve sentire davvero un po' male...

Cammino e mi concentro su Vasco, sentendomi come la sua Sally, fino alla fine della canzone, quando riacquisto le forze che ho coltivato in anni di delusioni e mi ricordo che amo questo equilibrio sopra alla follia, che ho il coraggio per affrontare tutto e che passo dopo passo, devo concentrarmi solo sul viaggio.

Ho iniziato a camminare quando avevo circa nove anni, quando ho letto nel volto di mia madre la sofferenza che la nostra famiglia le infliggeva: l'indifferenza di mio padre ed il mio carattere solitario e timido. Lei in cucina a cantare, mio padre che non c'è mai ed io chiusa in cameretta con le mie barbie e la mia fantasia. Nessuno con cui stonare i ritornelli, nessuno che seguiva i suoi piedi nudi che volteggiavano anziché camminare. Mai una sorpresa o uno slancio, niente che facesse ridere, o rumore, che sapesse di famiglia e vita, solo momenti di calma alternati allo scompiglio. Una figlia chiusa negli angoli ad assistere a litigi, a tapparsi le orecchie egli occhi. Le porte che sbattono, oggetti che si rompono. La penombra di una casa che passa dal silenzio al caos senza avvisare, come in un terremoto che scuote la terra e ricopre di macerie la voglia di ricominciare.

Quando ho iniziato ad avere l'età per poterlo fare mamma mi disse «vai a prenderti una merenda e fai un giro» ed io non smisi più.

Crescevo e andavo sempre più spesso fuori. Crescevo e la mia famiglia si sgretolava mentre io camminavo per la città, prima da sola, poi con le ragazze che oggi fanno parte della mia nuova casa. Passeggio quasi sempre in silenzio, anche se sono in compagnia. Guardo tutto e non vedo nessuno. Ascolto la città e ogni tanto viaggio con un sottofondo di musica alle orecchie. Avanzo come se fossi ai titoli di coda di un film.

Come oggi, mi sento alla fine di un racconto dolce amaro; osservo le luci del centro storico, il traffico che impazza all'ora di punta, ancora Vasco in una playlist prettamente strappalacrime e respiro profondamente.

Inizia sempre qualcos'altro dopo... e io ce la farò.

Cosa vuoi che ti dica?... Senti che bel rumore...

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