FELICITA' PUTTANA

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Sono le dieci passate di un qualsiasi giovedì sera di marzo, i miei coetanei si preparano ad andare a bere qualcosa, i più audaci andranno a qualche evento in qualche discoteca, ed io mi sento addosso settant'anni e sono pronta ad una full immersion di K-drama su Viki.

Sono avvolta in un'enorme tuta di ciniglia lilla, decisamente fuori moda e lontana da ogni ragionevole gusto estetico. Struccata male, più che spettinata, quasi spennacchiata e puzzo di fumo: il mio outfit della paranoia e tristezza.

La tuta l'ho comprata, a cinque euro, in una bancarella del mercato di via Papiniano, appositamente per segnalare il mio malessere interiore: era una mattina difficile, l'ennesima di un'adolescenza complessa vissuta a battere e levare. Non ho mai pensato di buttarla, è il mio costume da super sfigata, il mio modo di dire al mondo: mollatemi, non esisto, non esistete, fanculo!

Questa sera oltre al mood e al dress code che mi sono imposta, sono anche brilla.

Sono abituata a bere, ma, rispetto a tutti quelli che frequento, bevo decisamente meno e mai da sola. La verità è che l'alcool mi piace per divertirmi e colorare un po' le serate con le amiche o in comitiva, non lo trovo un gusto da accompagnare a cene di routine, a bagni caldi come nei film, o alla conclusione di un'intensa giornata lavorativa come ristoro per le papille e i nervi. 

Non vivo mica a Los Angeles, e neanche dentro una qualsiasi serie Netflix.

Al momento, però, mi sono scolata mezza bottiglia di Chianti, direttamente dal collo, mentre il ragazzo che non dovrebbe essere qui, ora, mi parla come se fossimo amici che si incontrano per caso.

«Scusami, io non so perché sono venuto stasera.»

Mi lancia un'eloquente occhiataccia che nasce dalle pantofole e muore ai capelli.

«Sicura che non sei arrabbiata? Mi sembri strana, mi dispiace vedere che sei distratta, se vuoi vado via.»

Con stupore concordo: «Sì, credo sia meglio che tu te ne vada.»

Certo che sono arrabbiata; sono molto più che distratta, sono impresentabile, cazzo!

Non posso far altro che pensare a come sono vestita e a come devo figurare ai suoi occhi. In tutto questo tempo non ho fatto altro che: oliarmi, truccarmi e vestirmi; svestirmi, specchiarmi e ricominciare da capo, indicendo interi referendum, anche da remoto, con tutte le amiche convocate a votare gli abbinamenti adeguati ad ogni uscita.

Perché l'abbigliamento non è solo qualcosa che indossi per coprirti, è quel qualcosa che parla di te, per te. La tua lettera di presentazione all'altro.

Ho studiato, in concerto con le ragazze, abbinamenti che fossero: casual ma non troppo; pensati ma non palesemente ricercati; sexy ma non da chi muore dalla voglia di dargliela!

Ora, ad esempio, sembro solo mia nonna! Mentre lui è di fronte a me in tutto il suo fottuto splendore!

Non si muove: siede all'estremità del divano, chino, mani giunte appoggiate sulle gambe più toniche e muscolose che abbia mai visto dal vivo. Da quando è entrato in casa è seduto sempre lì, immobile e rigido.

Non capisco perché sia improvvisamente comparso davanti alla mia porta. Lo guardo di sottecchi e mi sento agitata.

Niccolò Iannone mi sembra troppo bello per me, non mi sento realmente alla sua altezza: alto, snello e definito, una statua di marmo, non ha un filo di grasso, ogni muscolo è netto e liscio, le vene delle braccia emergono tanto che sembra si possa sentir pulsare dentro il sangue. Indossa sempre jeans ampi, scarpe grosse da skater, t-shirt colorate due taglie più grandi e qualche cappellino griffato. Capelli lunghi e neri, spesso raccolti in una cipolla spettinata, ora sciolti a coprire il viso spigoloso. Il suo sguardo mi mette in soggezione, sempre. Ha occhi verde scuro, sporco, leggermente allungati. Un'espressione cupa e tagliente, anche quando è sorridente, il suo sguardo resta immutato, gli occhi cambiano alla luce, ma rimangono felini, torbidi, mai dolci.

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