UN DOMANI

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Sono passate tre settimane da quella notte fantastica. Dopo lo strano messaggio che mi ha fatto ben sperare, ho risposto chiedendogli di rivederci, ma l'ennesima buca dell'ultimo minuto mi ha fatto chinare la testa, arrendendomi per la seconda volta all'evidenza.

Non vuole niente da te. Facciamocene una ragione e concentriamoci su altro, su qualcun altro, se possibile!

Tre interminabili settimane, le stesse che ci ha dato la mia società come preavviso: ventuno giorni di lavoro inutile in ufficio, tra pianti e musi lunghi.

La società per cui lavoro sta fallendo, e nell'ultimo periodo non ha badato molto a noi. Oggi, però, l'amministratore delegato ci ha fatto un discorso di saluto che voleva essere d'impatto, immagino.

Ma l'unico impatto che si è percepito sono state le palle che mi sono cadute, anzi che sono cadute a tutti i dipendenti che ha.

Ha dipinto uno scenario catastrofico sull'andamento dell'economia mondiale, in questa delicatissima crisi economica: "fenici milanesi che risorgono con determinazione affrontando ogni avversità con gli strumenti giusti, loro; a noi augura di ricollocarci senza troppe pretese andate a fare anche le pulizie, voi. Domande?"

Assai!

Per la prima volta avrei voluto intervenire chiedendogli se il suo obiettivo fosse avvicinarsi ad un discorso di Steve Jobs, o se si stesse preparando per un TED show, ed alla fine confermargli che il suo discorso è stato una merdaccia, così come le sue strategie imprenditoriali.

Mi sarei buttata dalla tromba delle scale, giusto per slogarmi qualcosa pur di evitare quel delirio di onnipotenza e arroganza a cui abbiamo dovuto assistere per circa due ore.

Quanto meno ho altro a cui pensare, oltre a Nico...

Mentre sono giù a fumare in questo ultimo giorno di lavoro, mi godo una bellissima piazza Diaz trafficata, rumorosa ed ancora buia, nonostante siano le cinque di un timido aprile e mi arriva un WhatsApp davvero inaspettato:

---Non so come tu abbia fatto, ma sono settimane che ti cerco in ogni locale in cui vado, e mi auguro di incontrarti per invitarti casualmente a cena. Che fine hai fatto? ---

Chi sei?!

Non conosco questo numero, ma la speranza brucia viva come l'estremità della Camel Blu che porto alla bocca. La fantasia non fa in tempo a prendere il volo che ne arriva un secondo che la riporta al suo posto, ovvero sotto la suola delle mie scarpe di vernice.

---Che maleducato, scusami, sono Tommaso e tu domani sera esci con me. ---

Chi è Tommaso?... non ti conosco!

Rispondo per cortesia, magari un'altra è in attesa di questo invito così intrigante e merita la felicità che io non ho: ---mi dispiace, credo tu abbia sbagliato numero. ---

---Credo che la tua amica Veronica non mi faccia di questi scherzi, non ho affatto sbagliato. Sto cercando te e passo a prenderti alle nove. ---

Non è quello che desideravo, ma questi messaggi lusingano la mia autostima zingara che sento tornare un po' verso casa. Ora devo solo capire chi cavolo è questo ragazzo?

«Pronto amo, scusami se ti disturbo in ufficio, sì lo so che la tua capa è una stronza, ma è urgente! Chi cavolo è Tommaso?!»

Ora ho tutto più chiaro: quel tipo carino che non ha parlato quasi mai durante la serata a cui ho partecipato controvoglia, proprio con Vero e Simo, sempre tre settimane fa.

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Non sapevo a cosa andassi incontro quella sera, fino a quando non ho varcato la soglia di quella casa. Quando Paolo Russo mi è apparso nell'anticamera, per poco non mi è venuto un coccolone.

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