9.

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Nei giorni seguenti, un silenzio opprimente calò su Villa Riddle. L'atmosfera era carica di tensione, come se l'aria stessa avesse paura di muoversi. Voldemort non aveva dimenticato l'incidente nel giardino, e ogni mio passo sembrava scrutato, ogni parola pesata. Camminavo sulle uova, cercando disperatamente di non attirare la sua attenzione.

Ma la tregua fu breve.

Una sera, mentre cercavo un momento di quiete nella mia stanza, un elfo domestico apparve all'improvviso. Aveva gli occhi spalancati dal terrore e le mani tremanti. «La Signora deve venire subito,» disse con voce rotta. «Il Signore Oscuro desidera vederla.»

Un brivido gelido mi percorse la schiena. Mi alzai in silenzio, seguendo l'elfo lungo i corridoi oscuri fino alla grande sala.

Lì, in piedi accanto alla finestra, c'era Voldemort. Il suo volto era una maschera di fredda determinazione. Al suo fianco, Merope tremava visibilmente, lo sguardo smarrito e le mani strette al petto.

«Iris,» disse Voldemort, con una calma agghiacciante, «è giunto il momento di eliminare una debolezza nella nostra casa.»

Il sangue mi si gelò. «Cosa intendi dire?»

Lui non distolse lo sguardo da Merope. «Ha dimostrato più volte di essere inutile. È fragile, esitante. Non possiamo permetterci esitazioni nel nostro cerchio più stretto.»

«No!» urlai, prima ancora di pensare. «È tua sorella! Non puoi—»

Voldemort si voltò lentamente verso di me. Il suo sguardo era di ghiaccio, la voce tagliente come un coltello. «E chi sei tu per decidere cosa posso o non posso fare?»

Mi avvicinai, la voce spezzata dall'angoscia. «Ti prego... Merope non è una minaccia. È leale. Può cambiare. Non deve morire.»

Il suo silenzio fu peggiore di qualsiasi parola. Poi, con una lentezza studiata, sollevò la bacchetta e la puntò verso sua sorella. I suoi occhi non tradivano alcuna emozione.

«Avada Kedavra.»

Il lampo verde esplose nella sala, accecante e mortale. Merope crollò al suolo come una bambola di porcellana spezzata, gli occhi spalancati in un'espressione di terrore eterno.

Un urlo mi sfuggì dalla gola, crudo e disperato. Mi inginocchiai accanto a lei, stringendole le mani ormai fredde. Le lacrime scorrevano senza freni, il cuore infranto in mille schegge.

«Alzati.» La voce di Voldemort era dura come l'acciaio. Mi afferrò per il braccio e mi trascinò via dal corpo senza vita di Merope. «Non ti è concesso piangere per la debolezza.»

«Ti supplico... lasciami stare con lei un momento,» implorai tra i singhiozzi, ma le mie parole furono ignorate. Mi spinse con forza contro un muro, lo sguardo che bruciava di freddezza.

«Non dimenticare mai a chi appartieni,» sibilò. «Merope era una minaccia per tutto ciò che stiamo costruendo. Io non tollero la fragilità. E nemmeno la disobbedienza.»

Il gelo della sua presa mi attraversò le ossa. Annuii, incapace di ribattere, soffocata dal dolore e dal terrore.

«Portatela via,» ordinò a due Mangiamorte alle sue spalle.

Mi sollevarono con delicatezza, quasi con rispetto, ma io non riuscivo a smettere di guardare indietro. Lo sguardo fisso sul corpo immobile di Merope.

Una volta lontana dallo sguardo gelido di Voldemort, la maschera che avevo faticosamente indossato crollò. Le lacrime, silenziose e brucianti, iniziarono a scorrere senza sosta. I Mangiamorte mi condussero nella mia stanza senza dire una parola, e appena la porta si chiuse alle mie spalle, crollai sul letto come un corpo privo di forza. Il dolore nel petto era un nodo stretto, insopportabile, e la mia mente girava vorticosa tra immagini di Merope e il lampo verde che l'aveva spenta per sempre.

Poi, un cigolio.

La porta si aprì lentamente, e un brivido mi attraversò la schiena. Voldemort entrò con passo silenzioso ma deciso. I suoi occhi, freddi e imperscrutabili, si posarono su di me come una condanna.

«Iris,» disse. Il suono del mio nome pronunciato dalla sua voce era come un serpente che mi si avvolgeva intorno al collo.

Mi sollevai lentamente, ogni fibra del mio corpo ancora scossa. «Mio Signore,» risposi, con un filo di voce spezzata.

Lui si avvicinò al letto, senza fretta. Il suo sguardo non tremava, non mostrava rimorso. Solo il gelo implacabile del controllo. «Devi comprendere che ogni debolezza è un rischio. E i rischi... si eliminano.»

Ogni parola era un colpo, preciso e crudele. Mi sentii lacerata, impotente.

«Non posso dimenticare quello che hai fatto a tua sorella,» sussurrai. Le parole mi si spezzarono in gola, ma dovevano uscire. «Non posso dimenticare Merope.»

Voldemort si chinò fino a essere a pochi centimetri dal mio volto. Il suo respiro era freddo, il suo sguardo come una lama che cercava di scavare dentro di me. «Tu sei mia moglie,» disse lentamente. «E come mia moglie, devi vivere secondo le mie regole. Non c'è spazio per la debolezza. Né in te. Né in chi ti circonda.»

Mi prese il polso, e le sue dita, sottili e gelide, si strinsero con forza. Non per farmi male — non fisicamente — ma per ricordarmi chi comandava. Chi mi possedeva.

«Hai capito?» domandò. La sua voce era bassa, letale. Non era una domanda. Era un ultimatum.

Deglutii a fatica. Ogni fibra del mio essere urlava, ma non avevo più voce. Solo un debole cenno del capo. «Sì, mio Signore.»

Per un momento, rimanemmo immobili. Poi mi lasciò andare con uno scatto secco, come se il mio tocco lo infastidisse. «Bene,» disse, voltandosi. «Riposa. I prossimi giorni saranno impegnativi.»

Il suo mantello si mosse come un'ombra viva mentre usciva dalla stanza. La porta si richiuse dietro di lui con un tonfo sordo.

Rimasi sola.

E fu allora che il silenzio mi crollò addosso.

Mi rannicchiai su me stessa, tremando, il viso nascosto tra le braccia. L'eco delle sue parole rimbombava nella mia mente, confondendosi con il volto senza vita di Merope. Avrei voluto urlare, ma non ne avevo più la forza. Solo lacrime, solo dolore.

E una promessa.

Avrei resistito. Avrei trovato un modo per sopravvivere. Per onorare la memoria di Merope.

E un giorno — un giorno — gli avrei fatto pagare tutto.

Sotto il Regno delle Tenebre Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora