7.

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La festa volgeva al termine, e uno a uno, gli ospiti lasciavano la sala in un sussurro di sete fruscianti e maschere abbassate. Rimasi lì, immobile, mentre la voce di Voldemort — quella dichiarazione di morte e dominio — continuava a rimbombarmi nella mente come un incubo che si rifiuta di svanire. Sentivo il peso delle sue parole gravarmi addosso, un macigno invisibile che mi schiacciava il respiro.

Non potevo tacere. Non più.

«Mio Signore...» La mia voce era un filo tremante, ma colma di un coraggio disperato. «Forse... forse c'è un altro modo. La violenza non è sempre la risposta. Potremmo—»

Mi fermai. O meglio, fu lui a fermarmi.

Il suo sguardo mi trafisse, gelido e implacabile, e la sua mano si chiuse attorno al mio braccio con una stretta brutale. Il dolore fu immediato, ma nulla in confronto a quello che seguì.

«La mia decisione non si discute,» sibilò. «La debolezza va recisa come la mala erba. La disobbedienza... punita.»

E senza un attimo di esitazione, pronunciò l'Anatema Crucio.

Un urlo mi lacerò la gola, e il mondo si ridusse a un'unica, insopportabile esplosione di dolore. Ogni nervo, ogni muscolo, ogni respiro si trasformò in fiamma viva. Ero fuoco e ferro e cenere. Non c'era pensiero, solo tormento. Solo lui.

Quando la maledizione cessò, crollai a terra come una marionetta a cui erano stati recisi i fili. Il dolore si ritirò come la marea, ma lasciò dietro sé un vuoto tremante, un corpo disfatto e uno spirito spezzato.

Mi sollevò con facilità tra le braccia, come si raccoglie un oggetto danneggiato, senza grazia, senza pietà. Ma nel suo gesto c'era una calma inquietante, una finta gentilezza che faceva più paura della crudeltà.

«Mio... mio Signore...» balbettai, il fiato rotto dal dolore.

«Silenzio,» ringhiò lui, la voce bassa e velenosa, un tuono trattenuto sotto pelle.

Mi strinse a sé con forza, il mio corpo tremante contro il suo. E mentre mi portava via dalla sala, attraversando corridoi avvolti nell'oscurità, il mio viso cercava rifugio contro il suo petto, anche sapendo che in lui non c'era rifugio — solo il gelo dell'abisso.

Ogni passo era un supplizio. Il mio cuore batteva a fatica, il dolore ancora fresco in ogni fibra del mio essere.

Poi, senza dire nulla, mi scagliò sul letto della nostra stanza come un oggetto inutile. Il mio corpo atterrò sul materasso freddo, ancora scosso dai tremiti. Lo guardai mentre si stagliava su di me come un'ombra immensa, divorante, una creatura fatta di silenzio e minaccia.

Il letto sembrava una tana oscura in cui mi trovavo prigioniera, mentre il peso del corpo di Voldemort si posava su di me con una pressione oppressiva. Sentivo il mio cuore battere furiosamente nel petto, il respiro affannoso che si mescolava con il suo mentre ci trovavamo lì, immobili, nel silenzio pesante della stanza.

Le sue mani scorrevano lungo i miei fianchi con una delicatezza che contrastava con la sua ferocia, mentre il suo sguardo penetrante bruciava nella mia anima come il fuoco. Un brivido di terrore mi scosse mentre cercavo di nascondere la mia paura dietro una maschera di rassegnazione. I suoi occhi brillarono di soddisfazione sadica, mentre si chinava verso di me, il suo respiro caldo che accarezzava il mio viso. "Imparerai a non mettere in discussione il mio potere," mormorò, la sua voce come un veleno che si insinuava nella mia mente.

Un brivido mi percorse la schiena, mentre mi dibattevo nel cuore di un incubo fatto di ombre e grida spezzate. Le voci del passato echeggiavano nella mia mente come lamenti lontani, richiamando ogni colpa, ogni paura mai confessata. Ero intrappolata in un vortice oscuro, senza via di fuga, senza fiato.

All'improvviso, come un lampo che squarcia una notte senza stelle, mi ridestai con un sussulto. Il respiro spezzato, il cuore martellava furioso contro le costole. Il volto di Voldemort era lì, a pochi centimetri dal mio, avvolto dalla penombra, gli occhi fissi su di me con quell'inquietante calma che precede sempre la tempesta.

«Cosa ti agita così?» chiese con voce bassa, quasi un sussurro, ma il tono era tagliente come vetro.

Mi sentii nuda sotto il suo sguardo, ogni mia emozione esposta, ogni tremito rivelato. Cercai di mascherare il panico con una calma forzata. «Nulla, mio Signore,» risposi piano, ma la voce mi tremò appena.

Lui inclinò la testa, studiandomi. Sapeva. Sapeva sempre.

«Un sogno?» domandò, con quella calma glaciale che non lasciava spazio a menzogne.

Abbassai lo sguardo. «Un incubo,» mormorai, quasi vergognandomene. «Mi dispiace.»

Voldemort non replicò subito. Poi, con un gesto sorprendentemente misurato, mi attirò contro di sé. Mi trovai rannicchiata sul suo petto freddo, stretta tra le sue braccia come un oggetto fragile ma prezioso. Il suo corpo era marmoreo, eppure quella morsa silenziosa mi diede un'illusione di sicurezza — crudele, ma inebriante.

Senza dire una parola, allungò la mano verso la mensola e prese un libro. Lo aprì con cura, sfogliando qualche pagina prima di iniziare a leggere.

«La Fonte della Buona Sorte,» annunciò, la sua voce divenuta morbida, incantatrice. «In un giardino segreto, nascosto da mura alte e impenetrabili, si celava una fontana magica...»

Le parole cominciarono a fluire, e con esse l'immagine delle tre streghe e del cavaliere prese forma nella mia mente. Ogni frase era una carezza sul mio animo scosso. Il suo tono era stranamente pacato, quasi cullante, come se stesse pronunciando un incantesimo per addormentarmi.

Mi rilassai lentamente, abbandonandomi a quella voce ipnotica. Il respiro rallentava, il tremore si placava.

«Le tre streghe si avvicinarono alla fontana, colme di speranza...»

Ogni tanto, alzava lo sguardo dal libro per osservare il mio volto. Nei suoi occhi, per un attimo appena, parve spegnersi il gelo abituale. Era come se volesse sincerarsi che stessi ancora lì, che stessi ascoltando davvero.

Le mie palpebre si facevano pesanti, la voce di lui diventava ovattata, distante, come il suono di una marea che si ritira.

«E alla fine,» concluse, richiudendo il libro con lentezza, «trovarono ciò che cercavano... anche se non era ciò che credevano di volere.»

Mi lasciai andare completamente. La testa poggiata sul suo petto immobile, mi addormentai col suono della sua voce ancora sospeso nell'aria. Per quella notte — solo per quella — il terrore sembrò dissolversi, e nel gelo della sua presenza trovai un barlume di pace.

Ma sapevo che al mattino, l'incanto si sarebbe spezzato.

Sotto il Regno delle Tenebre Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora