5.

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La luce del mattino filtrava appena attraverso le tende spesse della mia stanza, gettando ombre languide sul pavimento di pietra. Ero seduta sul bordo del letto, con le mani intrecciate in grembo e lo sguardo perso in un punto indefinito. Ogni respiro era un atto di volontà. Sopravvivere era diventata un'abitudine, non una scelta.

Merope entrò in silenzio, portando con sé un vassoio d'argento. Il profumo del tè si disperse nell'aria, sottile e gentile, come se volesse placare la ferita invisibile che mi dilaniava dentro. «Iris, devi mangiare qualcosa,» mormorò, posando il vassoio accanto a me con delicatezza. «Così non puoi andare avanti.»

Sollevai lo sguardo verso di lei. I miei occhi erano spenti, privi di luce. «Non ho fame,» sussurrai. Ero un corpo vuoto, un guscio che respirava per inerzia. Il cibo aveva perso sapore, i giorni avevano smesso di avere un senso.

Merope si sedette accanto a me. I suoi occhi cercavano i miei con una dolcezza che mi faceva male più di qualsiasi maledizione. «Ti prego,» disse, la voce incrinata. «Se ci arrendiamo anche dentro, lui ha già vinto.»

Volevo risponderle, dirle che capivo, che le credevo... ma prima che potessi aprire bocca, un fruscio di magia spezzò il momento. Un elfo domestico apparve nella stanza con un lieve schiocco. La sua pelle era grigia, gli occhi grandi e lucidi, colmi di un'angoscia silenziosa.

«Padrona Iris,» disse con voce tremante, abbassando il capo. «Il Signore Oscuro desidera vedervi.»

Un gelo mi attraversò la schiena. Ogni fibra del mio corpo si irrigidì, come se fosse stato pronunciato un incantesimo silenzioso. Merope afferrò la mia mano, forte. Io non dissi nulla. Non c'era bisogno.

Mi alzai. Ogni gesto era lento, pesante, come se la paura mi trascinasse verso il basso. Seguii l'elfo fuori dalla stanza. I corridoi della villa erano immersi in una penombra perenne, le pareti impregnate di un freddo che non veniva dall'inverno ma da qualcosa di più antico, più crudele.

Ad ogni passo, il terrore cresceva.

Arrivammo davanti a una porta che non avevo mai notato prima. L'elfo aprì con una leggera spinta e mi indicò di entrare. "Il Signore Oscuro è nel bagno," sussurrò, quasi scusandosi per ciò che stava per accadere.

Varcai la soglia con riluttanza, il cuore martellante nel petto. La stanza era illuminata da candele sparse, e il vapore riempiva l'aria. Voldemort era immerso in una grande vasca, la sua figura pallida e magra parzialmente nascosta dall'acqua. Mi guardò con occhi freddi e inespressivi. "Vieni qui, Iris," ordinò, la sua voce come un veleno che si infiltrava nella mia mente.

Mi fermai, il corpo rigido per la paura e il disgusto. "Mio Signore..." cominciai, ma lui mi interruppe con un gesto impaziente della mano. "Entra nella vasca."disse con voce tagliente.

Con mani tremanti, iniziai a togliere i vestiti, ogni pezzo che cadeva a terra era un altro frammento della mia dignità che veniva distrutto. Entrai nella vasca, l'acqua calda che contrastava con il freddo del terrore che provavo.

Voldemort mi guardò con disprezzo. "Avvicinati," comandò, e io obbedii, avvicinandomi a lui con riluttanza. Sentii la sua mano afferrarmi per il braccio, tirandomi più vicino fino a che i nostri corpi non si toccarono sotto l'acqua.

Con un gesto brusco, mi fece poggiare la testa sul suo petto. L'odore di incenso e di sapone si intrecciava nell'aria, mescolandosi con il mio terrore. Sentii il battito del suo cuore, un ritmo freddo e regolare, e il contatto della sua pelle sulla mia mi fece rabbrividire.

"Devi imparare a fidarti di me, Iris," sussurrò, la sua voce un sibilo nel mio orecchio. "Solo allora potremo essere veramente uniti."

Chiuse gli occhi, eppure potevo sentire la sua tensione, il suo controllo assoluto su di me. Ero come una marionetta nelle sue mani, impotente e vulnerabile.

Sotto il Regno delle Tenebre Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora