Voldemort ordinò che mi preparassero per il ballo in maschera — un evento che, più che suscitare entusiasmo, mi gettò in uno stato di confuso terrore. Gli elfi domestici si affrettarono a compiere il loro dovere, muovendosi attorno a me come ombre silenziose, mentre mi vestivano e truccavano con cura quasi rituale.
L'abito scelto era sontuoso: un lungo vestito di seta nera, morbido come una carezza e scintillante alla luce tremolante delle candele. Il corpetto aderente era decorato da finissimi ricami argentati che si arrampicavano come rampicanti in fiore, mentre la gonna ampia cadeva con grazia regale. Le maniche, leggere come ali di nebbia, erano intessute di fili d'argento che creavano motivi intricati, simili a ragnatele luminose.
Con le mani tremanti, mi posai la maschera sul volto. Era elegante, misteriosa, e copriva i miei lineamenti con la stessa perfezione con cui il silenzio aveva imparato a coprire le mie urla. Nello specchio, il riflesso che mi restituiva lo sguardo era quello di un'estranea. Una creatura bellissima e spettrale, creata per sopravvivere.
Scendemmo le scale fianco a fianco, io e lui. Il suo braccio avvolto attorno al mio non era un gesto di galanteria, ma un guinzaglio. Il mio cuore martellava nel petto, il suono rimbombava nel vuoto della villa come un avvertimento.
«Sei bellissima stasera, Iris,» sussurrò Voldemort, la sua voce gelida che mi scivolò sulla pelle come ghiaccio.
Non risposi. Non servivano parole per sottolineare l'assurdità di quel complimento, rivolto a una prigioniera mascherata da regina.
La sala da ballo si aprì davanti a noi come un palcoscenico d'ombre e fiamme. Le candele, incastonate in alti candelabri, proiettavano riflessi tremolanti sulle pareti ornate, mentre figure mascherate si muovevano con eleganza, tra sussurri e passi felpati. Al nostro ingresso, ogni sguardo si voltò.
Voldemort mi strinse il braccio con più forza. Era una dichiarazione silenziosa: questa è mia.
Mi guidò al centro della sala. La musica cominciò, un valzer antico e ipnotico. Mi prese la mano con un gesto perfetto, teatrale. Ma non era un invito. Era un ordine. Le sue dita fredde come marmo strinsero le mie, ed io dovetti piegarmi al suo ritmo, danzando sotto il suo sguardo attento, ogni passo una gabbia dorata.
Eppure, in quel momento così perfetto e innaturale, qualcosa cambiò. Una voce limpida spezzò l'incantesimo.
«Iris!»
Mi voltai, sorpresa. E lì, tra la folla mascherata, vidi Sirius. Il suo sorriso luminoso contrastava con l'oscurità del luogo, e nei suoi occhi brillava l'innocenza che credevo perduta.
Con un gesto improvviso e audace, mi staccai da Voldemort e corsi verso di lui. Lo abbracciai con forza, come se potessi assorbirne il calore, come se potesse davvero salvarmi.
«Sirius... come stai, piccolo cavaliere?» sussurrai, cercando di trattenere le lacrime.
«Hai visto il mio costume?» rise, fiero. «Sono un vero cavaliere oggi!»
«Lo sei davvero. Il più coraggioso che conosca,» risposi, accarezzandogli i capelli.
Per un istante, il mondo intero svanì. C'eravamo solo noi due: una ragazza stanca, con il cuore a pezzi, e un bambino pieno di sogni.
Fuggimmo insieme dal salone, attraversando i corridoi in silenzio, fino ad aprire la porta su una notte profumata di fiori e libertà. Sirius corse subito nel giardino, la sua risata limpida che si mescolava al fruscio dell'erba e al vento.
Mi tolsi le scarpe, lasciando che i piedi nudi affondassero nella terra umida. Risi, davvero, per la prima volta da mesi, e mi unii a lui in una corsa spensierata sotto le stelle. Il suono di un pallone che rimbalzava tra i fiori, il profumo dell'estate, la luna che ci osservava silenziosa: tutto sembrava appartenere a un altro mondo.
Mentre giocavamo a calcio nel giardino della Villa Riddle, il pallone sembrava animarsi sotto i nostri piedi, leggero e scattante sull'erba umida. Sirius correva ridendo, gli occhi brillanti di gioia, e io lo seguivo, contagiata da quella felicità semplice e pura che avevo quasi dimenticato. Per un attimo, eravamo solo due anime libere sotto le stelle, lontani da tutto ciò che ci opprimeva.
«Guarda che tiro!» gridò lui con entusiasmo, colpendo la palla con tutta la forza che aveva.
Il pallone si sollevò con energia, sfrecciando nell'aria come un fulmine e andando a colpire una delle alte siepi che circondavano il giardino. Un tonfo sordo e un fruscio di foglie segnarono il punto d'impatto. Il pallone scomparve tra i rami, lasciando dietro di sé un buco tra il fogliame, i rami spezzati come dita frantumate.
«Ops!» esclamai, interrompendo la corsa e avvicinandomi al punto danneggiato.
Sirius si fermò accanto a me, gli occhi allargati dalla preoccupazione. «Mi dispiace, Iris... non volevo fare danni.»
Posai con dolcezza una mano sulla sua spalla. «Non preoccuparti, piccolo mio. È solo una siepe. Le piante hanno il dono di ricrescere.»
Rimanemmo lì per qualche secondo, osservando il varco nella barriera verde come se celasse un altro mondo. Poi un elfo domestico comparve correndo, agitato, con gli occhi spalancati e le mani tremanti.
«Signori... è ora di rientrare!» disse in tono urgente, lanciando occhiate ansiose verso la villa.
Stringendo la mano di Sirius, annuii. «Andiamo. Ci penseremo dopo alla siepe.»
Rientrammo nell'edificio, le risate appena svanite lasciavano spazio a un silenzio denso. Appena varcata la soglia, sentii lo sguardo tagliente di Voldemort trafiggermi. Il suo volto era impassibile, ma i suoi occhi erano fessure di ghiaccio.
«Che cosa hai combinato stavolta?» domandò, la voce sottile ma tagliente come una lama.
Mi costrinsi a mantenere la calma. «Avevamo solo bisogno di un po' d'aria... niente di più.»
Per un attimo, sembrò studiarmi, come se volesse leggere ogni angolo della mia mente. Poi si voltò, si fece avanti e, con tono solenne, parlò al gruppo riunito nella sala.
«È giunto il momento di ristabilire la nostra supremazia,» proclamò, la sua voce fredda che rimbombava tra le pareti come un'eco di morte. «Non tollereremo più dissenso. Non solo i mezzosangue, ma anche i purosangue che osano opporsi al nostro potere saranno puniti. Severamente.»
Un brivido mi attraversò la schiena. Quelle parole, pronunciate con tanta calma, avevano il peso di una condanna. Il mio stomaco si contorse, colmo di disgusto, ma il volto doveva rimanere impassibile.
Dovevo resistere. Dovevo essere silenziosa. Il minimo cedimento poteva costare caro. Eppure, dentro di me, il cuore gridava. Gridava contro l'orrore, contro l'ingiustizia, contro quell'uomo che si credeva un dio e usava la paura come catena.
Rimasi al suo fianco. Immobile. Muta. Ma dentro, un fuoco si stava accendendo.

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Sotto il Regno delle Tenebre
FanfictionIris, figlia di Lucius e Narcissa Malfoy, è stata costretta a sposare il Signore Oscuro, Voldemort. Tra intrighi, tradimenti e oscure magie, Iris cerca di trovare la sua strada mentre affronta le sfide della famiglia e del potere, fino alla tragica...