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I giorni successivi furono strani e surreali. Merope mi seguiva ovunque, il suo atteggiamento era quello di una donna intrappolata tra il dovere e la paura. Mi resi conto che lei era terrorizzata dalla magia, convinta che tutti i maghi fossero crudeli come suo fratellastro. "Perché lo servi?" le chiesi una sera, mentre eravamo sedute nel freddo salone della villa.

"Non ho scelta," rispose lei, lo sguardo perso nel vuoto. "Tom mi odia perché sono una babbana, ma sa che non posso scappare. Mi tiene qui come una prigioniera, proprio come te."

"Ma tu hai vissuto nel mondo babbano. Sai che non tutti i maghi sono come lui. Ci sono persone che lottano contro di lui."

Merope mi guardò con occhi colmi di tristezza. "Vorrei crederti, Iris. Ma la mia esperienza mi dice il contrario."

Quella sera, a cena, l'atmosfera era tesa. Voldemort sedeva a capotavola, il suo sguardo freddo e penetrante percorreva la stanza. Io cercavo di mantenere un'espressione neutra, mentre Merope, seduta di fronte a me, sembrava ancora più pallida e spaventata del solito.

"Com'è andata la giornata, Iris?" chiese Voldemort, la sua voce serpeggiante di minaccia. "Bene, mio signore," risposi con cautela, cercando di evitare il suo sguardo. Voldemort si girò verso Merope, il suo volto contorto da un sorriso crudele. "E tu, sorellastra? Come ti trovi nel tuo nuovo ruolo?"

Merope tremava leggermente, ma riuscì a rispondere. "Faccio quello che mi chiedi, Tom."

"Bene," disse Voldemort, il tono glaciale. "Ricordati che ogni tuo errore ricadrà su di lei." Puntò il dito verso di me, il significato della minaccia chiaro.

Non potei più trattenere la rabbia. "Perché, Tom?" chiesi, la voce più forte di quanto avessi voluto. "Perché tormenti la tua stessa famiglia?"

Voldemort si girò verso di me, gli occhi fiammeggianti di ira. "Non osare chiamarmi Tom! Non sai cosa significa essere traditi dai tuoi."

"Lei non ti ha tradito," dissi, indicando Merope. "Ha solo paura di te. Come tutti noi."

Un silenzio calò sulla stanza, pesante e minaccioso. Voldemort si alzò lentamente, la sua figura alta e magra sembrava ancora più imponente sotto la luce fioca. "Stai attenta, Iris," sibilò. "La tua posizione è già abbastanza precaria. Non peggiorarla ulteriormente."

Lasciò la stanza in un turbinio di mantello nero, e il silenzio che seguì fu opprimente. Merope mi guardava con occhi pieni di terrore e gratitudine. "Non dovevi farlo," sussurrò, la voce tremante. "Ora sarà ancora più crudele."

Mi ritirai nella mia stanza, il cuore pesante per le parole scambiate durante la cena. Sapevo che Voldemort non avrebbe lasciato passare la mia sfida senza una punizione. Non passò molto tempo prima che sentissi i passi pesanti nel corridoio. La porta si aprì con un fragore, e Voldemort entrò. "Iris," sibilò, la sua voce gelida e piena di disprezzo. "Hai osato sfidarmi davanti alla mia stessa tavola. Devi imparare il prezzo della disobbedienza."

Sentii un brivido di terrore attraversarmi la schiena mentre Voldemort sollevava la sua bacchetta. "Crucio," disse con voce calma e implacabile. Un dolore insopportabile esplose dentro di me, ogni fibra del mio corpo bruciava come se fosse in fiamme. Urlai, ma il suono sembrava venire da lontano, come se il mio stesso corpo non mi appartenesse più. Voldemort mi osservava con occhi senza pietà, godendo della mia sofferenza. Non so quanto durò, ma sembrò un'eternità. Quando finalmente il dolore si placò, crollai a terra, ansimando e tremante. Voldemort si chinò su di me, il suo volto così vicino al mio che potevo sentire il freddo del suo respiro. "Ricorda bene il dolore, perché sarà il tuo compagno finché continuerai a sfidarmi."

Si ritrasse, io rimasi lì, distesa sul pavimento, incapace di muovermi, il corpo ancora scosso dai tremiti. Dopo un tempo che sembrò infinito, sentii una presenza accanto a me. Merope era lì, i suoi occhi pieni di lacrime e di compassione. "Iris..." sussurrò, aiutandomi a sollevarmi. "Sto bene," mentii, la voce rotta. Merope mi guardò con occhi pieni di preoccupazione, ma non insistette oltre.

Ci sdraiammo sul letto, accanto l'una all'altra, il silenzio ci avvolse, ma non c'era nulla di opprimente in esso. Era un silenzio confortante, che ci avvolgeva come una coperta di pace dopo la tempesta. "Grazie, Merope," sussurrai nel buio, la mia voce appena udibile. "Non c'è bisogno," rispose lei dolcemente. "Siamo nella stessa barca."

Aveva ragione, siamo sulla stessa barca, peccato che ci troviamo entrambe sul Titanic e non manca molto alla nostra fine.

Sotto il Regno delle Tenebre Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora