18.

237 7 0
                                        

Voldemort appariva sempre più inquieto per la mia salute, un cambiamento sottile ma tangibile. La sua preoccupazione, di solito mascherata da distacco e controllo, stava lentamente affiorando in gesti e sguardi che raramente gli avevo visto rivolgere a qualcuno, figuriamoci a me.

Una sera, mentre eravamo seduti nella penombra ovattata della biblioteca, il fuoco crepitava piano nel camino e l'aria profumava di pergamene antiche. Voldemort chiuse con lentezza il libro che aveva tra le mani e si voltò verso di me. I suoi occhi, scuri e profondi, mi scrutavano con un'intensità che mi mise i brividi.

«Iris,» disse con voce quieta ma decisa. «Non posso più sopportare di vederti consumarti giorno dopo giorno. Ho preso una decisione.»

Sollevai lo sguardo, sorpresa. «Che genere di decisione?»

«Partiremo,» annunciò. «Tu, io, Orion e alcuni Mangiamorte fidati. Ho predisposto tutto per trasferirci per un po'.»

«Partire?» ripetei, sgranando gli occhi. «Ma... dove andremo?»

Un'ombra attraversò il suo volto. «In Albania. C'è un luogo, nascosto tra le foreste. È isolato, sicuro, e nessuno ci disturberà. Lì potrai riposare, lontana da tutto questo.»

Restai in silenzio per qualche istante, incerta.«E gli affari qui? I tuoi seguaci? Le riunioni, i piani...?»

«Non sono cieco, Iris.» La sua voce si abbassò, quasi un sussurro. «So che stai peggiorando. Nulla, neanche il potere, ha senso se ti perdo. Questo viene prima di tutto.»

Mi sentii mancare il fiato per un momento. Non era solo ciò che diceva, ma il modo in cui lo diceva. Non c'era la durezza del Signore Oscuro, ma la fragilità di un uomo che stava affrontando qualcosa che non poteva controllare.

Annuii lentamente, la voce tremante. «Va bene. Se è quello che vuoi... andiamo.»

Voldemort si alzò, accennando un lieve cenno del capo. «Preparati. Partiremo domani notte.»

Mentre lo osservavo allontanarsi in silenzio tra le ombre della biblioteca, sentii una strana inquietudine mescolata a gratitudine. Forse, nel luogo dove era nato il suo lato più oscuro, avremmo trovato una tregua. O forse, sarebbe stato l'inizio di qualcos'altro.
Quando giungemmo in Albania, un senso di irrealtà mi avvolse. Mi aspettavo oscurità e decadenza, e invece fui colpita dalla selvaggia bellezza del paesaggio. Le montagne si stagliavano alte e maestose contro un cielo limpido e terso, mentre la foresta antica si stendeva fitta e silenziosa fino all'orizzonte. Un vento gentile soffiava tra gli alberi, portando con sé il profumo del muschio e della terra umida. C'era una pace profonda in quel luogo, un silenzio vivo che sembrava voler guarire le ferite dell'anima.

La villa che ci avrebbe ospitati si ergeva su un'altura, nascosta tra faggi secolari e pareti di roccia. Un tempo, forse, era appartenuta a una nobile famiglia di maghi dell'Est, ora abbandonata e silenziosa, come un tempio dimenticato. L'edera ne abbracciava le mura con delicatezza, mentre le finestre, ampie e incorniciate da pietra scolpita, lasciavano entrare la luce dorata del tramonto.

I Mangiamorte più fidati si dispersero rapidamente nei dintorni, tracciando confini magici e barriere protettive. Apparivano come ombre silenziose tra gli alberi, le bacchette già pronte, gli occhi vigili. Avevano ricevuto ordini chiari: nessuno doveva avvicinarsi, e la villa sarebbe stata un santuario.

Voldemort mi prese la mano e mi guidò attraverso l'ingresso in pietra, sotto un arco coperto di rampicanti. Le sue dita erano fredde ma salde, e per un istante mi sembrò che in quel gesto ci fosse qualcosa di più della semplice protezione. Dentro, la casa profumava di legno antico e polvere, ma ogni stanza era ampia e luminosa, dominata da toni caldi e linee eleganti. Avevano già sistemato tutto: tappeti stesi, il letto preparato, libri ordinati sulle mensole.

Sotto il Regno delle Tenebre Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora