Tornammo a Londra sotto cieli grigi e opprimenti, e la villa Riddle parve accoglierci con un silenzio carico di tensione. Voldemort era cambiato — più taciturno, più assorbito, quasi ossessionato. Passava ore chiuso nel suo studio, circondato da pergamene, libri antichi e sussurri di magia oscura. La profezia lo tormentava, e ogni giorno ordinava nuove missioni ai suoi Mangiamorte, bramoso di verità che sembravano sempre un passo più avanti di lui.
Io, intanto, affrontavo le ultime settimane della gravidanza. Il mio corpo era stanco, provato non solo dal peso della vita che portavo, ma anche dalla malattia che si faceva sentire ogni giorno di più. Avevo momenti di lucidità e forza, ma erano sempre più brevi. Mi muovevo lentamente tra le stanze della villa, spesso sorretta da Narcissa, che non mi lasciava mai sola. Lucius e lei si erano trasferiti da noi temporaneamente, e anche se non lo dicevano apertamente, sapevo che erano lì per me — per sorvegliare, forse, ma anche per aiutarmi a sopravvivere.
Orion era sempre al mio fianco. Mi leggeva storie, mi stringeva la mano, mi chiedeva quando sarebbe nata la sorellina. I suoi occhi erano pieni di amore e una maturità precoce, come se anche lui percepisse che qualcosa non andava.
Il giorno arrivò all'improvviso, durante una notte di pioggia incessante. Le contrazioni iniziarono deboli, poi divennero ondate feroci che mi tagliavano il fiato. Voldemort accorse immediatamente, il volto teso, pallido, gli occhi fissi su di me come se volesse dominare con lo sguardo il dolore che provavo. Non disse molto — non era nel suo carattere — ma la sua mano rimase nella mia, forte, per tutto il tempo.
Il parto fu lungo, estenuante. Il mio corpo, già fragile, lottava per resistere. Ricordo le urla spezzate, le lacrime di Narcissa, il viso serio di Lucius, e Orion che, tenuto a distanza, chiedeva ogni minuto se la mamma stava bene.
Poi, finalmente, un vagito. Forte, pieno. La bambina.
La mia bambina.
La portai al petto con mani tremanti, e le lacrime mi scesero calde sulle guance. Voldemort si chinò su di noi, e per un attimo il suo volto si distese in un'espressione che avevo visto raramente: stupore. Poi, con un tono più dolce del solito, mormorò: «Lyra.»
Mi aggrappai a quel nome come a un'ancora. Lyra. La nostra stella. La nostra luce.
Ma la felicità fu breve. Un gelo improvviso mi attraversò il corpo. Le gambe si fecero di pietra, il respiro si fece incerto. Le voci attorno a me sembrarono spegnersi, diventare ovattate, lontane. Sentii solo il battito debole del mio cuore, come un tamburo che si affievoliva.
«Tom...» sussurrai, le labbra a malapena in grado di muoversi.
Voldemort si voltò di scatto, gli occhi pieni di un panico che raramente si concedeva. «Iris? Che succede?»
Lo fissai, tentando di imprimere nel mio sguardo ogni cosa che volevo dirgli, tutto ciò che non avrei avuto tempo di spiegare. Le dita sfiorarono le sue, e in quell'ultimo gesto c'era tutto il mio amore, la mia fiducia... e la mia paura.
«Abbi cura di loro...» sussurrai, prima che la vista mi abbandonasse e il buio mi reclamasse, dolce e silenzioso come un sipario che cala alla fine di una lunga, bellissima tragedia.
Il buio fu lungo.
Non era fatto di paura, né di dolore. Era silenzio. Un silenzio così profondo che sembrava assorbire anche il ricordo di ciò che ero stata. Una luce lontana, una voce dolce, i piccoli occhi di mio figlio, la pelle calda della mia bambina sul petto, l'espressione incredula sul volto di un uomo che credeva di non saper amare.
Poi, lentamente, tornai a sentire.
Non il battito del mio cuore — quello si era fermato. Ma la vita continuava, al di là di me. Io ero diventata osservatrice. Un'ombra. Una memoria che ancora aleggiava tra le mura fredde della villa Riddle.
Mi vidi, distesa sul letto. Il mio volto pallido, le mani intrecciate sul grembo. E attorno a me, il mondo in frantumi.
Orion non capiva. Continuava a cercarmi nella casa, a chiedere a bassa voce: "Dov'è la mamma?" Ogni volta che sentivo quelle parole, qualcosa dentro di me si lacerava.
Lyra dormiva nella culla, ignara di tutto. Così fragile, così viva. Una piccola scintilla in mezzo al gelo.
E Voldemort. Lui non parlava. Non si disperava. Non versava lacrime. Ma lo vedevo camminare ogni notte per i corridoi come un fantasma senza pace. Lo vedevo sedersi al mio posto nella biblioteca, con il viso tra le mani. Sentivo le sue dita sfiorare ogni oggetto che mi era appartenuto. Ogni giorno lasciava una rosa nera sul mio cuscino.
Una notte, lo udii sussurrare:
«Mi avevi promesso che saresti rimasta.» E per la prima volta, vidi Voldemort spezzarsi. Non davanti agli altri. Mai davanti ai Mangiamorte. Ma in silenzio, tra le ombre, l'uomo che aveva sfidato la morte si piegava sotto il peso dell'amore perduto.Eppure, non cambiò.
Continuò a inseguire la profezia. A cercare il bambino che avrebbe potuto distruggerlo. Divenne più spietato, più deciso, più solo. Non per sete di potere... ma per rabbia. Per punire il mondo che mi aveva tolta a lui.
Orion crebbe con il cuore diviso tra la tenerezza che io gli avevo insegnato e la disciplina brutale del padre. Lyra fu coccolata, protetta, chiusa in una prigione d'oro, come se tenerla al sicuro potesse annullare la mia assenza.
E io rimasi lì. Invisibile, intangibile, ma presente. Una madre che vegliava. Una moglie che non aveva mai smesso di provarci, neanche la parte più oscura del suo uomo.

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Sotto il Regno delle Tenebre
FanfictionIris, figlia di Lucius e Narcissa Malfoy, è stata costretta a sposare il Signore Oscuro, Voldemort. Tra intrighi, tradimenti e oscure magie, Iris cerca di trovare la sua strada mentre affronta le sfide della famiglia e del potere, fino alla tragica...