Cap. 12 - Lavoro, lavoro, lavoro...

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Una settimana dopo

Debbie era seduta alla sua scrivania, una tazza di caffè fumante accanto al computer, immancabile per cominciare le sue lunghe giornate di lavoro. La luce del mattino filtrava attraverso le grandi finestre del suo studio, illuminando le piante e i disegni sparsi sul tavolo.
Debbie era un architetto della Inches' Way, tra le più rinomate aziende di architettura e design d'America.
Capitava che per i meeting più importanti si recasse ancora in sede centrale, dove aveva lavorato fino a pochi mesi prima, in centro a New York, ma per la maggior parte del tempo ora lavorava da casa, sostenuta da una cultura aziendale che valorizzava la flessibilità e l'innovazione.
Con un sospiro, accese il computer e aprì i file del progetto su cui stava lavorando. Si trattava di un edificio residenziale innovativo, che combinava design sostenibile e comfort abitativo. Le piaceva questo progetto: le dava l'opportunità di mettere in pratica le sue idee più creative e di avere un impatto positivo sull'ambiente.
Debbie si concentrò sui dettagli del disegno, modificando le linee e aggiungendo piccole annotazioni. Amava il modo in cui ogni tratto del pennino o del mouse poteva trasformarsi in una struttura reale, tangibile.
E no, non l'aveva buttata, la rosa.
Era lì. In un piccolo vaso di vetro sulla scrivania. I petali un po' più scuri di quando Lou glie l'aveva portata, ma ancora bella.
La sua mente era completamente immersa nel lavoro, ma ogni tanto un pensiero su Lou si insinuava, distrandola momentaneamente.
'Ti abbandoneranno tutti, Debbie.' - echeggiava nelle tempie.
"Oh, vaffanculo."- sospirò, facendo scivolare le dita tra i capelli.
Scosse la testa, cercando di riportare la sua attenzione ai disegni. Aveva bisogno di concentrarsi. Non c'era ancora moltissimo da fare prima della scadenza del progetto, ma non poteva concedersi il lusso di perdere tempo.
Così, trovando conforto nel caffè, dedicò l'intera mattinata alla progettazione della disposizione degli interni, immaginando come ogni spazio potesse essere funzionale e accogliente.
Lavorò duramente e senza pause, e nonostante la stanchezza, fu più che soddisfatta del risultato.
Prima che se ne rendesse conto, si erano fatte già le tre di pomeriggio.
Decise allora di fare una pausa, la prima da quella mattina, per pranzare, dato che, anche se lei se lo era dimenticata, il suo stomaco implorava pietà.
Raccolse i capelli in una coda e si avviò verso la cucina.
"Oh, ben. Fantastico."- sospirò, ironica, accorgendosi di essere rimasta senza cibo.
Tutto ciò che aveva a disposizione erano due pomodori e mezza mela, ma il brontolio alla pancia era l'evidenza che il suo corpo necessitasse di un pasto completo.
Non era raro che, quando si immergeva nel lavoro, si dimenticasse delle tue esigenze, come dormire o mangiare. L'ultimo vero e proprio pasto infatti risaliva alla cena di due giorni prima. Le ultime otto ore di sonno filate... beh, bella domanda.
Si preparò velocemente, indossò una maglietta aderente a maniche lunghe, dei vecchi jeans scuri e degli stivaletti. Applicò un leggero filo di trucco, si profumò, prese la borsa ed uscì di casa.
Optò per un piccolo bar, l'unico che serviva primi piatti a quell'ora, non troppo lontano da casa sua, così decise di approfittarne per fare una passeggiata, scaldata dai raggi primaverili di fine febbraio, quell'anno pazzamente tiepido.
Prese posto ad un tavolino all'interno, nel centro della sala, ed ordinò subito una bottiglia d'acqua ed un piatto di pasta con le zucchine, senza nemmeno il bisogno di consultare il menù.
Nell'attesa, controllò il telefono e lesse i messaggi di Tammy, tutti risalenti a quella mattina.

Tam, ore 8:04
«Buongiorno raggio di sole. Sei riuscita a dormire sta notte? Mi auguro di sì.»

Tam, ore 8:06
«Visto che oggi è domenica (sì, anche per te!), ti va di andare a fare un po' di shopping insieme, nel tardo pomeriggio?
Possiamo anche uscire per un drink o un gelato... basta che ci vediamo!»

Debbie sorrise.

Tam, ore 10:28
«Fammi sapere, ok? Buona giornata, baci.»

Tam, ore 13:45
«Deb!!!!!!!!!!!!!!!!»

Tam, ore 13:46
«Mi annoio, mi rispondi?»

Tam, ore 14:02
«Lavori? Mi sto preoccupando!!!!»

Debbie decise di chiamarla per tranquillizzarla un po'.
"Pronto?! Debbie?!"- era più che allarmata.
"Hai già chiamato la polizia locale?"- scherzò la mora.
"Oh Dio!"- tirò un drammatico sospiro di sollievo.
"Tam..."- ridacchiò.
"Debbie! Ti costa tanto guardare il telefono ogni 2 ore, dannazione?"-
"Tammy, stavo lavorando, non volevo distrarmi, tutto qui. Va tutto bene, non preoccuparti."-
La bionda rimase in silenzio qualche secondo.
"Menomale."-
"Ti va ancora di uscire con me? Anche se ti faccio spaventare?"- finalmente sentì l'amica ridacchiare.
"Non esco da tre giorni se non per andare a lavoro, Deb, sono disperata. Anche se non volessi, ti obbligherei a farmi compagnia."-
"Tre giorni? Wow. Da quanto non succedeva? Dieci anni?"-
"Sei."-
Debbie rise.
"Ho voglia di gelato, comunque. Il tuo messaggio me ne ha fatto venire voglia. Ti va se più tardi facciamo un giro in centro e ne prendiamo uno?"
"Ti prego, sì."- rispose Tammy, sollevata. "Ti passo a prendere? Sei a casa?"-
"Oh, sto pranzando ora al bar vicino casa mia."-
"Debbie..."-
"Lo so, è tardi. Ma mi stavo dimenticando di mangiare."- rispose la mora, stringendo i denti.
Preparati alla lezione di vita tra 3, 2, 1...
"Prendersi cura di sé, testolina vuota, devi capire che non è un lusso, ma una necessità. Smettila di mettere sempre qualcos'altro prima di te, che sia il lavoro o altro."-
Shakespeare - pensò Debbie, sorridendo.
"Lo so, Tam. Lo so."-
"Vuoi che ti raggiunga lì?"-
"Devo rientrare un momento per definire degli ultimi appunti, riscrivere qualche nota sui disegni e poi sono tutta tua."- guardò l'ora sul telefono. "Direi che se mi passi a prendere per le sei e mezza a casa è perfetto."-
"Ottimo."- Tammy fece una piccola pausa. "Fatti trovare giù per le sei e trenta minuti in punto, Debbie. Sarò lì."-
"Come sei minacciosa..."- ridacchiò Debbie.
"Se non ti trovo giù ti giuro che inizio a strombazzare."-
La mora rise, ma cavolo... Tammy lo fece davvero.

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