Un cielo grigio

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La giornata in ospedale fu abbastanza tranquilla ed Elisa riuscì a pranzare con Valentina che si trovava lì per un controllo di routine.
<<Sai Vale, ho conosciuto una bambina che di tanto in tanto viene a giocare nel mio giardino. Credo sia la figlia dei miei vicini>>
<<Hai dei vicini di casa? Non credevo ci fossero altre case nei paraggi>>
<<Si' effettivamente è completamente nascosta dalle siepi che costeggiano il vialetto. In ogni caso, l'ho vista solo poche volte ma c'è qualcosa nel suo sguardo che mi turba e mi preoccupa>>
<<Eli ti prego, perché trasformi ogni nuova conoscenza in un caso clinico?>>
<<Lo so, Filippo mi ha detto la stessa cosa. Ma questa volta è diverso, credimi. Mi sembra profondamente triste e sola. Ha vissuto qualcosa di terribile ne sono certa>>
<<Io ti credo tesoro, ma lo sai che finisci sempre per prendere a cuore le storie di ogni bambino e inevitabilmente poi ne soffri. Immagino quanto possa essere difficile ma devi riuscire a mantenere le giuste distanze, evitando ogni coinvolgimento personale>>
<<Lo so, hai ragione, ma so anche che il loro benessere e la loro serenità dipendono da me ed è una responsabilità che mi sento sulle spalle ogni giorno. Inizio a credere seriamente di avere bisogno di un po' di riposo. È stato un anno davvero pesante tra i lavori di casa, il lavoro in ospedale e le terapie private; non ho avuto il tempo di rilassarmi e non sono riuscita neanche ad andare in vacanza. Ma quest'anno due belle settimane di relax su una spiaggia esotica non me le toglie nessuno, che ne dici?>>
<<Dico che è un'ottima idea, anzi pensavo proprio la stessa cosa!>>
Così sorridendo si salutarono, dovevano tornare entrambe a lavoro, la giornata era ancora lunga. Nel tardo pomeriggio Elisa si incamminò verso casa perché doveva vedere un paziente.
Appena arrivata Pepe le corse incontro scodinzolando; era arrivata l'ora della pappa, quindi gli fece un po' di coccole, gli preparò la ciotola e nel frattempo ne approfittò per fare una doccia.
Mentre sceglieva l'abito da indossare, intravide nuovamente dalla finestra la bambina che la stava cercando con lo sguardo, quindi Elisa aprì la finestra, la salutò con la mano e lei ricambiò.
Aveva ancora un po' di tempo prima che arrivasse il suo paziente, così decise di scendere. 
<<Ciao piccola, come stai?>>
Seguì il silenzio ma questa volta almeno accennò un sorriso.
La sensazione di Elisa fu ancora la stessa delle volte precedenti; il sangue sembrava raggelarsi alla vista di quello sguardo quasi assente, perso in chissà quali pensieri.
<<Senti tesoro ti piace disegnare?>>
La piccola fece un cenno affermativo con la testa.
<<Ottimo! Ho dei fogli grandi e tanti pennarelli colorati, che ne dici di entrare e fare un bel disegno per me?>>
La bambina annuì e così entrarono in casa. Mentre prendeva dal piano di sopra tutto l'occorrente, rifletteva su quello che stava facendo. Non sarebbe stato un semplice disegno, in verità voleva comprendere ciò che la piccola non riusciva ad esprimere attraverso il linguaggio.
Non era più soltanto la figlia dei vicini, da quel preciso momento sarebbe diventata la paziente più impegnativa, il suo cruccio più grande.
<<Ecco i fogli e i pennarelli, così mentre tu fai un bel disegno io vado a preparare due belle tazze di cioccolata calda>>
Dopo poco tornò con la cioccolata e dei pasticcini, la bambina aveva già finito il suo disegno e quando Elisa lo vide rimase di stucco. La piccola aveva colorato il cielo di grigio, completamente buio e vuoto, senza il sole, o nuvole o uccelli. Sotto il cielo aveva disegnato un albero spoglio con accanto due figure femminili, una di fianco all'altra ma distaccate, tra loro non c'era alcun contatto fisico.
Erano delle sagome anonime, tracciate con un contorno nero ma all'interno vuote e prive di qualsiasi sostanza.
La prima raffigurava una bambina con in mano una bambola, mentre l'altra rappresentava un'adulta con delle lacrime enormi che scendevano dal viso fino a terra.
Elisa si sentì pervadere da una profonda inquietudine.
<<Tesoro chi è questa bambina? Sei tu?>>
La piccola annuì ma non ebbe alcuna particolare espressione sul volto, sembrava completamente assorta nel suo mondo.
Elisa riprovò <<Questa è la tua mamma?>>
La piccola annuì nuovamente.
<<La tua mamma sta piangendo?>>
La piccola questa volta non rispose, prese un nuovo foglio e cominciò a disegnare.
Era ovvio che non avesse nessuna voglia di parlarne, almeno per il momento, quindi non volle insistere e la lasciò disegnare ancora.
Questa volta lo sfondo fu del tutto diverso.
Non c'erano più i colori scuri e tetri del cielo oppure quelle sagome anonime e sofferenti.
La bambina, questa volta, aveva utilizzato molti colori diversi, cominciando dal turchese per il cielo e il giallo intenso per un sole grande e luminoso; poi aveva preso il rosa per colorare una casa e il verde scuro per le porte e le finestre. Infine completò il paesaggio con una distesa di verde intenso e dei grandi alberi con tronchi marroni e con foglie appese a rami robusti.
Passò poi a disegnare un'altra figura femminile, ma diametralmente opposta a quelle precedenti. Con l'arancione aveva colorato i capelli lunghi e mossi, con l'azzurro aveva riempito il centro degli occhi, con il rosso aveva disegnato la bocca e delle piccole lentiggini sulle guance e usò il rosa per il viso, le braccia e le gambe. L'aveva rappresentata con un vestitino nero e le scarpe con i tacchi, con degli orecchini pendenti e un orologio al polso. Accanto a questa donna aveva poi disegnato un animale.
Elisa riconobbe chiaramente se stessa nel disegno, la sua casa con il giardino e il suo fedele amico Pepe. Appena finito il disegno la bambina lo prese, si alzò dalla sedia e glielo porse <<È per te>> disse con una voce timida ed impacciata.
Elisa rimase senza parole ma un flusso incessante di pensieri le affollarono la testa. Il suo primo impulso fu quello di rivolgerle tutte le domande possibili, approfittando di quel breve momento di fiducia che le aveva concesso.
<<Allora era in grado di parlare>> pensò fra sé e sé <<ma come mai non l'aveva fatto fino a quel momento? Perché aveva disegnato se stessa e la madre in quel modo? Perché sua madre era così sofferente? E perché non c'erano figure maschili? Non aveva mai conosciuto suo padre, oppure l'aveva abbandonata? Che cosa aveva visto di così terribile da spaventarla tanto e da impedirle di fidarsi di nuovo di qualcuno?>>.
Non ebbe il tempo di dire nulla perché la bambina fuggì di corsa verso il giardino e mentre si allontanava dalla sua vista, riuscì a gridarle soltanto un <<grazie del bellissimo disegno, a presto!>>.
Rimase per un po' immobile e pensierosa, ebbe la conferma che le sue preoccupazioni erano fondate e concrete.
Osservò ripetutamente e attentamente entrambi i disegni; il primo descriveva una realtà troppo cupa per una bambina così piccola, sola in un mondo triste e grigio, con una madre sofferente e forse del tutto assente e probabilmente senza un padre accanto.
Il secondo, completamente opposto, rappresentava una richiesta di aiuto verso quella sconosciuta della quale forse aveva deciso di fidarsi.
Elisa rimase sconvolta per tutto il resto della giornata ma di una cosa era ormai certa, avrebbe provato con tutte le sue capacità e la sua esperienza ad aiutare quella bambina indifesa e fragile a superare il suo dolore.
Elisa era consapevole che quella bambina le ricordava se stessa e la sua infanzia. I disagi che lei stessa aveva vissuto come la profonda solitudine, il senso di abbandono e di perenne conflitto, le avevano inflitto delle ferite profonde, tuttora aperte e doloranti.
Elisa, dunque, conosceva quell'atroce sofferenza, la stessa che leggeva negli occhi di quella bambina e per questo decise che l'avrebbe aiutata a qualunque costo.

Cari lettori/lettrici,
cos'è accaduto di così terribile a questa bambina? E quali sofferenze si celano nel passato di Elisa? Lo scopriremo presto...

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