Un salto nel buio

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Il giorno atteso era arrivato, Elisa si svegliò prestissimo, in realtà non aveva dormito granché; si infilò un pantalone nero, un maglione grigio a collo alto e uno stivaletto nero con un paio di centimetri di tacco.
Ripasso' mentalmente il suo piano d'azione, nella consapevolezza che non sarebbe stato per nulla facile ottenere informazioni utili dal signor Ricciardi, considerando la gravità dei suoi disturbi che avevano condotto al ricovero a lunga degenza nella clinica.
Tuttavia, senza un motivo apparente, si sentì ottimista, confidando in quel minimo di lucidità appena sufficiente a farle ricordare sua figlia.
Si mise alla guida della macchina, determinata a raggiungere il suo obiettivo.
Quella mattina il traffico era più intenso del solito, le auto creavano file irregolari e i motorini sfrecciavano infilandosi tra gli spazi liberi; i clacson suonavano rumorosamente e incessantemente. Elisa riusciva persino a sentire la radio di un ragazzo che si trovava nella macchina accanto alla sua e che per giunta cantava a squarciagola, fissandola sfacciatamente con il finestrino abbassato e il gomito appoggiato sopra.
<<Cominciamo proprio bene!>> pensò fra sé Elisa, ignorandolo e sollevando il finestrino.
Finalmente, dopo circa due ore di traffico, si trovò davanti al cancello della clinica. Era un cancello imponente di colore nero con dei piccoli fiori color oro che formavano dei cerchi perfetti su entrambi i lati. Parcheggio' l'auto, scese e si guardò intorno; era ancora più bella di come la ricordasse, completamente immersa nel bosco, con una lunga fila di querce e ulivi che delimitavano il sentiero che conduceva all'ingresso principale.
Suono' il campanello e si presentò come la dottoressa Semprucci. Varcò l'ingresso e seguendo il sentiero, si trovò davanti alla clinica. La signorina alla reception la accolse con un ampio sorriso; era molto giovane, forse non aveva neanche venticinque anni, indossava un tailleur blu e aveva una spilla sulla quale compariva il suo nome e sotto quello della clinica. Elisa si rese conto che non si trattava della ragazza con la quale aveva parlato al telefono il giorno precedente, quindi le spiegò brevemente il motivo della visita e le porse il documento che l'autorizzava al consulto.
La signorina registrò i suoi dati, poi cercò nell'archivio alle sue spalle e le consegnò la cartella clinica del paziente <<Immagino che già conosca la situazione. Il signor Ricciardi non ha mai parlato granché e a volte i suoi discorsi non hanno molto senso. L'unica notizia certa è che ha perso un figlio giovane a causa di un terribile incidente stradale. Sembra si trovasse alla guida della sua auto quando un camion che percorreva la corsia opposta, a causa del maltempo, ha improvvisamente sbandato e li ha presi in pieno. Lui se l'è cavata con qualche minima escoriazione ma suo figlio è morto sul colpo.
Il medico che lo segue ormai da diverso tempo, ritiene che quella tragica perdita rappresenti l'evento scatenante della sua patologia.
È quasi un vegetale, l'unica differenza è che mangia e passeggia ma si rifiuta categoricamente di fare altro o di partecipare alle attività. Comunque Dottoressa troverà i dettagli nella cartella che le ho appena consegnato>>.
Elisa fu stupita di quante informazioni fossero in possesso della segretaria ma ricordò che quella clinica utilizzava metodi sperimentali cercando di creare una vera e propria comunità, senza troppi formalismi. Lo staff della clinica rappresentava l'unica famiglia che quei poveri pazienti avrebbero potuto avere per il resto della loro esistenza.
A quel punto, la segretaria le fece strada.
Le spiegò che il signor Ricciardi non era solito rimanere nella sua stanza ma preferiva restare all'aperto, perciò la condusse all'esterno dell'edificio, addentrandosi nel bosco.
Elisa ebbe così la possibilità di ammirare da vicino quel luogo, in tutto il suo splendore. C'erano pini, querce secolari, siepi, roseti, ulivi, addirittura delle sculture in marmo e un piccolo ruscello che scorreva sul lato destro del bosco. Non si udiva alcun rumore se non i suoni della natura: il cinguettio degli uccelli, lo scalpitio dei cavalli, il gorgoglio dell'acqua tra le rocce, il sottile sibilo del vento che correva tra i rami degli alberi.
C'era una quiete profonda, un'atmosfera tranquilla e la natura che circondava quel luogo infondeva una sensazione di solenne serenità.
A un certo punto la signorina le indicò un signore con un cappello, seduto su una panchina sistemata di fronte al ruscello <<È il suo posto preferito. Ci passa intere giornate ed entra all'interno della clinica solo per i pasti o per andare a dormire. Non ama molto la compagnia degli altri pazienti, così come le attività che organizziamo. Preferisce restarsene qui tutto il giorno ad ascoltare il silenzio, a guardare gli alberi, il ruscello, lontano da tutto e tutti. Ha avuto una vita difficile, lo raccontano i suoi occhi. Comunque è tutto suo, mi chiami nel caso avesse bisogno di qualcosa>>
<<La ringrazio, è stata davvero gentilissima>> le strinse la mano e si congedarono.
Elisa rimase assorta a fissarlo per qualche istante, una profonda inquietudine la pervase, non sapeva proprio cosa aspettarsi.
Lesse velocemente la cartella clinica ma i resoconti dei medici erano sintetici e stranamente non veniva identificata precisamente la diagnosi. Probabilmente non avevano molto da scrivere perché il paziente, da quello che poté leggere frettolosamente, aveva fatto progressi minimi durante gli anni del ricovero. Si leggeva del suo completo disinteresse verso il mondo circostante, le relazioni sociali, verso qualunque interazione, stimolo o attività. Niente sembrava destare il suo interesse, all'infuori del paesaggio che osservava ripetutamente, ogni giorno. Cercava ed amava quella infinita solitudine, come un uomo che non ha più nulla da perdere perché non ha più una ragione per vivere.
Elisa si avvicinò cautamente e quando si trovò di fronte al signor Ricciardi rimase visibilmente stupita. Dimostrava perlomeno settant'anni <<Com'era possibile?>> rifletté fra sé e sé <<Sara ha solo sette anni e sua madre neanche arriva ai cinquanta>>.
Il signor Ricciardi non sembrava far caso alla sua presenza e non si voltò neanche a guardarla.
Il suo viso era rugoso, la carnagione chiara, le labbra sottili e i suoi occhi piccoli erano di un blu intenso e profondo; era magrissimo e indossava un cappello perché probabilmente aveva perso i capelli. Sembrava guardare un punto fisso dal quale non distoglieva lo sguardo nemmeno per una frazione di secondo.
<<Buongiorno signor Ricciardi, mi chiamo Elisa, sono una psicologa e mi farebbe piacere scambiare qualche parola con lei. Le dispiace se mi siedo?>>
Il paziente non rispose e il suo sguardo continuò a vagare nel vuoto.
Elisa decise comunque di sistemarsi accanto a lui, tentando di stabilire un contatto.
<<Signor Ricciardi lei non mi conosce ma io conosco un po' la sua storia e la sua vita. Non sono qui per visitarla, né tantomeno per torturarla con argomentazioni che avrà sentito ripetersi milioni di volte. Il mio obiettivo è di tutt'altro genere>>.
Il paziente rimase impassibile, dai suoi occhi non traspariva alcuna emozione e il suo corpo restò altrettanto immobile.
Effettivamente sembrava vivere in un mondo tutto suo, un mondo parallelo nel quale forse aveva trovato un suo precario equilibrio. Sembrava quasi aspettare qualcuno o qualcosa; forse attendeva il sonno eterno, quella morte che finalmente avrebbe restituito la pace alla sua anima tormentata, liberandola da quei profondi sensi di colpa, che rendevano così insopportabile la sua esistenza.
Elisa sapeva di dover perseverare ma lo fece con delicatezza ed estrema cautela
<<Signor Ricciardi, come le spiegavo, io sono una psicanalista e mi occupo principalmente di bambini. Non sono qui a causa del mio lavoro o almeno non del tutto. Sono venuta fin qui perché devo parlarle di una cosa molto importante che riguarda la sua famiglia>>
Questa volta il signor Ricciardi distolse lo sguardo da ciò che stava fissando e lo rivolse dritto verso di lei. Sembrava che qualcosa l'avesse colpito nel profondo, i suoi occhi erano spalancati, sembravano spiritati e per un momento Elisa spero' in una sua qualsiasi reazione.
Finalmente si decise a parlare <<Famiglia? Quale famiglia, di cosa stai parlando? Chi sei tu? Un altro scherzo della mia mente? Tu non sei reale, non è vero?>>
La sua voce era roca, appena udibile, sofferente e quasi agonizzante.
Elisa tento' di calmarlo e rassicurarlo <<Edoardo non sono affatto una creazione della sua mente>>, le prese la mano e gliela strinse <<Sono reale e sono qui accanto a lei. Mi crede adesso?>>
Lui la ritrasse istintivamente, sembrava spaventato, probabilmente soffriva di allucinazioni e credeva di averne una proprio davanti a lui. Tuttavia Elisa era riuscita a destarlo dal suo stato di torpore e doveva approfittarne, prima che corresse a rifugiarsi nel suo mondo fittizio.
Decise di andare dritta al punto <<Edoardo le chiedo soltanto di concedermi qualche minuto per spiegarle il motivo della mia visita. Da qualche mese mi sono trasferita in una nuova casa, vicino Roma. Quando l'ho acquistata era completamente da ristrutturare, ma dopo diversi mesi i lavori sono terminati.
Poco tempo dopo il mio trasferimento, ho conosciuto la figlia dei miei vicini di casa.
Ero affacciata alla finestra quando la vidi giocare per la prima volta proprio lì nel mio giardino e poi inaspettatamente ho avuto modo di rivederla nei giorni successivi e finalmente sono riuscita a parlarle. Ciò che mi ha colpito profondamente, fin dal primo istante, è stata la tristezza infinita che leggevo nei suoi occhi. La bambina si chiama Sara>>.
Elisa si fermò un istante prima di proseguire, voleva osservarlo per captare ogni possibile sua reazione. Eppure nulla, nonostante avesse pronunciato il nome di sua figlia, il suo sguardo si rifugiò nuovamente nel vuoto.
Elisa non si perse d'animo e decise di proseguire il suo racconto.
<<Sara e' una bambina davvero bellissima, somiglia a una bambola di porcellana, con i suoi lunghi boccoli biondi e degli occhi blu e luminosi. Sa, mi ricordano tanto i suoi>>
Elisa si fermò di nuovo. Era sconfortata, quell'uomo non ricordava più la sua famiglia e tantomeno sua figlia.
Si voltò a guardarlo ma questa volta rimase colpita. Il volto del signor Ricciardi era rigato di lacrime, forse ricordava qualcosa, forse non tutto era perduto.
Elisa le parlò con dolcezza <<Edoardo, le sto parlando di Sara, riesce a ricordare?>>
Lui si girò e le rispose con rabbia <<Io non conosco nessuna Sara, lo vuole capire? Perché dovrei conoscerla? Dimmi la verità, chi sei e cosa vuoi da me? Sei un fantasma che ha deciso di torturarmi?>> continuava a farneticare e urlare, ma Elisa sentiva che qualcosa le stava sfuggendo <<Perché aveva pianto quando le aveva descritto sua figlia? Era realmente impazzito del tutto o qualcosa nella sua mente funzionava ancora?>>
Ora doveva andare fino in fondo, per scoprire la verità una volta per tutte.
<<Edoardo si calmi e mi dica cosa succede. Sono qui esclusivamente per aiutare sua figlia che sta soffrendo moltissimo. Riesce a raccontarmi cosa è successo realmente alla sua famiglia? Comprende cosa le sto dicendo?>>
<<È lei che deve capire! Io non ho nessuna famiglia, non ho più nessuno al mondo. Mi hanno abbandonato per sempre ed è solo colpa mia! Avevo una moglie, avevo due figli bellissimi ma ora sono solo al mondo, sono solo e sto impazzendo giorno dopo giorno!!!>> cominciò a singhiozzare e piangere disperatamente.
Elisa penso' che l'unica spiegazione di quell'amnesia fosse il rifiuto dell'uomo di accettare la verità, la storia di un abbandono, la tragicità degli eventi che sconvolsero la sua famiglia e la sua vita.
Probabilmente tentava con tutte le sue forze di cancellare dalla sua mente, per sempre, il ricordo di sua figlia e di sua moglie, convincendosi della loro scomparsa. Forse era l'unico espediente che il suo inconscio aveva escogitato per sopportare il profondo dolore legato alla perdita di suo figlio e nello stesso tempo per soffocare i sensi di colpa causati dall'abbandono di sua figlia e di sua moglie nel momento di maggiore bisogno, condannandole così a un destino funesto.
Tuttavia si trattava solo di congetture che non avrebbero condotto a risultati utili.
Elisa, in quel momento, compì una scelta coraggiosa ma azzardata ed estremamente pericolosa. Se voleva aiutare Sara avrebbe dovuto rischiare tutto.
Per questo penso' di portare Edoardo fuori dalla clinica per fargli incontrare sua figlia, almeno una volta, faccia a faccia.
Si trattava dell'ultima possibilità, dell'extrema ratio nella speranza che lo shock causato dal rivedere Sara dopo anni di lontananza avrebbe risvegliato quei ricordi sopiti, seppelliti con fatica in profondità.
Elisa lo guardò dritto negli occhi <<Edoardo, si deve fidare di me. Mi deve seguire fuori da qui e io le prometto che la porterò dalla sua famiglia. Le chiedo solo una possibilità, dopodiché la riporterò qui e la lascerò in pace per sempre>>.
Lui la stava fissando, agitato e confuso, la sua fronte era imperlata di goccioline di sudore; era spaventato e combattuto perché forse non riusciva più a distinguere la finzione dalla realtà, non capiva se di fronte a se' avesse soltanto l'ennesimo scherzo della sua follia, oppure uno scampolo di lucidità.
<<Edoardo, posso immaginare le sue perplessità in questo momento, ma in fondo anche se rappresentassi soltanto il frutto della sua immaginazione cambierebbe qualcosa? Lei mi ha appena raccontato di aver perso la sua famiglia, cosa potrebbe mai esserci di peggio? Cosa può rischiare se decidesse di seguirmi?>>
Per un istante Elisa si fermò a osservarlo, il signor Ricciardi aveva compreso perfettamente le sue parole e in quel momento appariva perfettamente lucido e vigile.
Le lacrime ricominciarono silenziose a rigarle il volto, una dopo l'altra, ininterrottamente.
Si trattava di un uomo che aveva attraversato l'inferno in completa solitudine, aveva patito un dolore talmente atroce da confinarlo nel suo subconscio insieme a ogni ricordo della sua famiglia, così da convincersi di avere perso non solo suo figlio, ma anche sua moglie e la sua bambina. Dal suo punto di vista, non aveva più alcuna ragione per continuare a vivere e probabilmente aveva più volte pensato di togliersi la vita ma senza mai averne il coraggio. In fondo era stato più facile accogliere il buio, l'oscurità dell'oblio, che convivere con una sofferenza divenuta insopportabile e ingestibile.
Elisa provò una grande compassione per quell'uomo che ormai viveva solo per attendere impaziente la morte. Comprendeva il suo dolore perché anche lei, a modo suo, aveva conosciuto la sofferenza. Sapeva quanto fosse facile assecondarla e perdersi in essa, senza trovare più alcuna via d'uscita. Lei ci era andata molto vicina ma, fortunatamente, aveva avuto delle persone accanto che la amavano, che non l'avevano mai abbandonata, al contrario l'avevano aiutata a superare i suoi drammi personali.
Elisa decise di fare un ultimo tentativo per convincere quell'uomo a seguirla.
<<Signor Ricciardi, non posso trattenermi ancora e non potrò tornare a trovarla. Peraltro, non otterrei neanche l'autorizzazione per farla uscire da qui. A questo punto, le lascio il mio biglietto da visita, con nome, indirizzo e i miei recapiti. Se vuole rivedere sua figlia e sua moglie deve venire lei a trovarmi e dovrà cercare un modo per uscire da qui, almeno per mezza giornata. Io ci spero davvero, ma è soprattutto sua figlia che mi ha chiesto di cercarla, vorrebbe tanto rivederla, mi ha detto di quanto lei l'abbia amata. Ora ha bisogno di lei più che mai, lo capisce non è vero?>>
Quell'uomo prese in mano il biglietto e lo lesse con attenzione.
Improvvisamente il suo volto cambiò espressione, sembrava sconvolto e sorpreso nello stesso tempo.
Probabilmente si convinse che Elisa fosse un'altra proiezione della sua mente.
Tuttavia, questa volta, sentì che c'era qualcosa di diverso, o semplicemente penso' fosse arrivato il momento di affrontare il suo passato, una volta per tutte.
Alzò il viso, guardò Elisa negli occhi e con determinazione le disse soltanto <<D'accordo, domani stesso sarò da lei>>.

Cari lettrici/lettori,
Sara riuscirà a realizzare il suo più grande desiderio, ovvero rivedere suo padre?
Edoardo sarà in grado di affrontare i fantasmi del suo passato per poter aiutare sua figlia?
Ma la vera domanda è: Sara potrà davvero essere salvata e in che modo?

....Lo scopriremo presto!

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