Prologo

230 9 6
                                    

Eva se ne stava imbambolata davanti alla sua immagine riflessa nel lungo specchio della sua camera, quando sentì qualcuno bussare alla sua porta. Aveva indossato un vestito colorato, stretto in vita, che valorizzava la sua figura a clessidra, di cui lei però non si sentiva particolarmente orgogliosa e che addirittura in quel momento trovava orrenda. Come se quello non fosse bastato, il vestito che aveva addosso era decisamente più adatto ad un colloquio di lavoro che ad un appuntamento galante.

«Entra pure, Ro'.» disse, senza smettere di guardarsi allo specchio.
Attraverso di esso, Eva guardò la sua migliore amica e, da poco, coinquilina entrare in camera con aria perplessa.
«Pensavo che mettessi il vestito nero longuette.» disse Romina.
«Si vede troppo con quel vestito.»
«Se fossimo nel milleottocento sarei d'accordo con te."
«Ha le bretelline,»  protestò Eva un po' seccata dal sarcasmo dell'amica «mi si vedono le braccia e le spalle. E poi sembro un salamino insaccato con quel vestito!»

A Romina scappò una risata e Eva la fulminò con lo sguardo, guardandola direttamente e non più attraverso lo specchio.
«Scusa, scusa!»
Romina si avvicinò e si posizionò dietro di lei, poi avvolse le braccia intorno alla sua vita e poggiò il mento sulla sua spalla.
«Mi ha fatto ridere il salamino insaccato, ma non perché ci somigli.»
«A me sembra di sì.»
«Senti,»  continuò la ragazza senza muoversi di un millimetro «se vuoi uscire con questo vestito, perché pensi sia più bello, va bene. Ma se indossi questo perché pensi che quello nero ti stia male, beh non è così! Ero sincera al negozio quando ti ho detto che eri sexy.»

Eva si sottrasse all'abbraccio dell'amica e andò verso il suo armadio.
«È che non c'è niente qua dentro che non mi faccia sembrare una balena.» disse mentre uno ad uno, in maniera brusca, passava in rassegna i vestiti appesi.
«Eva, tesoro,avere un po' di seno e un po' di fianchi, non fa di te una persona brutta.»
«Quello che tu chiami un po' di seno è una terza abbondante, e poi non si tratta solo di questo. Le mie braccia sono grosse....»
«Sono delle braccia normalissime."
«.....vogliamo parlare dei rotolini sulla pancia!»
«Solo i bodybuilder non ce li hanno.»
«Il mio sedere....»
"Oddio, vorrei avere un sedere tondo come il tuo!» sbottò Romina mettendo le mani sulle spalle di Eva per costringerla a voltarsi.
«Lo dici tanto per dire.»
L'amica scosse energicamente la testa.
«È la verità, giuro.»
E poi, con uno di quei sorrisi capaci di scaldare il cuore di Eva, aggiunse:
«Vorrei ti potessi vedere con i miei occhi.»

Alla fine, la sua migliore amica aveva vinto e Eva per la serata indossò il vestito nero che aveva comprato di recente.
Era piuttosto nervosa, non era un esperta quando si trattava di appuntamenti e questo la rendeva parecchio impacciata.
All'età di diciannove anni, poteva contare i ragazzi con cui era uscita sulle dita di una mano e nessuno di loro le era mai piaciuto sul serio. A parte, quindi, il suo primo fidanzato con il quale era stata due mesi quando era in secondo liceo, Eva non aveva mai frequentato nessuno per più di una manciata di appuntamenti che avevano sempre ricoperto un arco temporale che non andava oltre una settimana.

Inoltre, per quanto detestasse ammetterlo, la sua esperienza in ambito di relazioni intime era pressoché irrisoria se paragonata a quella delle sue coetanee. Non si era, infatti, mai spinta oltre effusioni che richiedessero qualcosa di più dello strusciarsi addosso o di un timido uso delle mani. Non era in cerca del principe azzurro, non era così ingenua, ma il sesso vero e proprio richiedeva un certo livello di sicurezza che lei non aveva sperimentato ancora con nessuno.
D'altronde, non era facile sentirsi a proprio agio quando lo specchio ti restituiva un'immagine che aveva più difetti che pregi.

Arrivati al primo anno di università, però, la mancanza di esperienza stava diventando un fardello di cui Eva non vedeva l'ora di liberarsi e, perciò, da qualche tempo, aveva iniziato una ricerca spasmodica e frettolosa di un ragazzo idoneo, decidendo, così, di uscire con chiunque si mostrasse interessato. Spesso diceva, e Romina la rimproverava per questo, che dati la sua età e il suo aspetto, forse non si poteva permettere di essere troppo puntigliosa.

E questo era il motivo per cui Eva aveva accettato di uscire a cena con Michele, ragazzo molto carino ma non altrettanto simpatico. Anche Michele, come lei e Romina, veniva da un paese fuori Padova e si era trasferito nel capoluogo per studiare. I due si erano conosciuti una settimana prima, quando la ragazza era tornata a Loreggia per il fine settimana.

Quel sabato, appena entrata in casa aveva trovato la madre in cucina che chiacchierava con una amica che non conosceva. La ragazza si era unita a loro e, presto, l'ospite, che con il marito abitava a Piombino Dese, aveva incominciato a tessere le lodi del figlio, Michele appunto, che frequentava il secondo anno di università e che a suo dire era adorabile.
Eva aveva preso con le pinze tutti quei complimenti, credeva che fossero poche le madri che quando guardavano i propri figli (soprattutto se si trattava di maschi) non avevano addosso un filtro deformante, comunque aveva accettato di segnarsi il suo numero di telefono con la promessa che presto gli avrebbe scritto.

Michele, però , l'aveva anticipata e l'aveva trovata su Facebook quella sera stessa. La madre aveva preso sul serio il suo ruolo di cupido e aveva convinto il figlio ad approfittare del fatto che quel fine settimana si trovavano entrambi a casa dei genitori, presumibilmente annoiati e senza grandi piani. Il ragazzo aveva proposto, quindi, un giro in auto che lei aveva accettato.
Non era stata un'uscita entusiasmante, Eva non si era divertita, tuttavia aveva concesso a Michele una seconda occasione e aveva accettato di vederlo il fine settimana successivo per cena.

Adesso, mentre si recava all'appuntamento, Eva cominciava a rimpiangere di non aver indossato l'abito colorato. Il tempo era ancora troppo mite per mettere il cappotto e aveva, perciò, indossato una giacca leggera, capo che però non nascondeva completamente quello che c'era sotto. Si sentiva come se tutte le persone che incrociava per strada la guardassero e la giudicassero, sensazione accentuata, inoltre, dalla poca disinvoltura con cui camminava sui tacchi. Così, quando finalmente arrivò di fronte al ristorante, dove Michele l'aspettava, tirò un sospiro di sollievo. Non sapeva spiegarne il motivo, ma c'era qualcosa di rassicurante nell'essere in compagnia quando non ti senti a tuo agio nei panni che indossi, come se gli altri ti facessero da scudo.

Con il senno di poi, avrebbe trovato ridicolo quel pensiero e si sarebbe pentita di non aver dato peso alle sue insicurezze che l'avevano spinta più di una volta durante il tragitto a tornare indietro perché, appena varcata la soglia del ristorante, che forse nessuno dei due si poteva permettere, Eva smise di essere al sicuro










Nelle mie bracciaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora