20. Volevo solo essere carina

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Per questo capitolo serve quello che in inglese si chiama trigger warning (non mi viene in mente il corrispettivo in italiano, scusate) a causa del tema trattato. Quello che è successo alla mia protagonista è intuibile dalle frasi lasciate qua e là nei capitoli precendenti. Tuttavia, in questo capitolo entro nello specifico. Perciò, se qualcuno non avesse voglia di leggere può tranquillamente saltare il capitolo (o leggere solo la prima metà), non c'è nessun dettaglio fondamentale, infatti, che serve a capire lo sviluppo degli eventi che seguiranno. Sentitevi, perciò, liber* di ignorare questo capitolo.

Dal momento in cui aveva raggiunto una certa autonomia decisionale, Eva
tendeva a zittire le sensazioni che provenivano dalla pancia e preferiva  che fosse il suo cervello ad avere l'ultima parola. Come quando, all'età di dieci anni, il cane dei vicini l'aveva morsa. Eva, in quell'occasione, si trovava in in compagnia della madre la quale si era fermata a chiacchierare con la vicina di casa, padrona del piccolo Frenzy, nome che da piccola aveva sempre trovato buffo.
Anni dopo, quando con Romina per caso si sarebbe imbattuta nel film di Hitchcock che aveva lo stesso nome, Eva sarebbe scoppiata a ridere chiedendosi se l'allora vicina di casa avesse chiamato l'amico a quattro zampe Frenzy in onore del maestro del brivido o se semplicemente il sostantivo inglese si addiceva particolarmente all'animale.

Ad ogni modo, quando si era ritrovata di fronte allo schnauzer grigio, annoiata dalle chiacchere degli adulti,
Eva aveva deciso di accarezzarlo. Il pensiero la intimoriva, ma Frenzy era poco più di un cucciolo e, nonostante il suo faccino imbronciato, sembrava di indole piuttosto calma; inoltre se l'animale fosse stato pericoloso, Eva credeva, i suoi padroni gli avrebbero fatto indossare una museruola, che non aveva. Perciò, aveva concluso che non c'era alcun motivo logico per cui non dovesse tentare un amichevole approccio e, ignorando le sue paure, aveva allungato la mano verso Frenzy per dargli una piccola carezza sulla pelosa testolina.
Lo schnauzer, però, aveva disatteso i suoi pronostici e l'aveva morsa.
La ferita aveva richiesto una visita al pronto soccorso e, mentre le veniva iniettata una dose di antirabbica, poiché il piccolo Frenzy era parecchio indietro con le vaccinazioni, Eva pensava che avrebbe fatto meglio a fidarsi del suo istinto.
Era una lezione, però, che la ragazza faceva fatica ad imparare e, parecchi anni dopo quell'episodio, quando Michele le aveva chiesto di uscire, nonostante sentisse una lieve spinta repulsiva, aveva accettato perché semplicemente non c'erano argomentazioni abbastanza ragionevoli per non farlo.

Il giorno dell'appuntamento Eva aveva lasciato il suo appartamento portandosi dietro ansie e insicurezze e, una volta davanti al ristorante, dove era arrivata con largo anticipo, fu tentata di tornare indietro e annullare la serata.
Vedere Michele arrivare sorridente e a passo svelto la rassicurò in qualche modo, ma la sensazione non durò a lungo perché una volta seduti al tavolo, l'atteggiamento del ragazzo mutò da sicuro di sé in uno alquanto borioso.
«Vieni qui spesso?» chiese Eva, dopo che Michele ebbe fatto segno a una graziosa cameriera di avvicinarsi al tavolo.
«No, è la prima volta.»
Michele, però, stava dando l'impressione opposta. Si comportava, infatti, come se non facesse altro nella vita che partecipare a cene in posti eleganti come quello, a dispetto dei suoi vent'anni; i suoi modi erano affabili, ma c'era una nota di arroganza stonata nei suoi gesti, che Eva non aveva notato durante il loro primo incontro. Il ragazzo, che aveva chiamato la cameriera con un fare spocchioso, adesso stava ordinando in maniera sbrigativa, senza prendersi nemmeno la briga di chiedere a Eva se fosse d'accordo con la scelta che aveva fatto.

«Sei stupenda con questo vestito.» disse Michele quando la cameriera, la quale qualche secondo prima aveva alzato discretamente gli occhi al cielo invocando forse il dio della pazienza, si fu allontanata.
«Grazie.» rispose Eva timida.
«Onestamente non pensavo che fossi il tipo da mettere un vestito del genere.»
«Perché?»
Uno dei grandi dubbi di quella sera era stato proprio l'abbigliamento e se non fosse stato per l'intervento di Romina, Eva avrebbe optato per un altro vestito che avrebbe attirato meno l'attenzione, perciò l'opinione di Michele in proposito aveva un peso specifico non indifferente.
«Beh, ti sta molto bene, non fraintendermi, te l'ho detto sei bellissima, ma mi sarei aspettato di vederti addosso qualcosa di diverso. Di solito le ragazze come te tendono a indossare cose più larghe, sei stata molto coraggiosa a indossare questo vestito.»
Nella forma quello poteva sembrare un complimento, ma nel contenuto non lo era affatto. Quando qualcuno diceva "le ragazze come te" di solito non aveva abbastanza coraggio di dire "in sovrappeso", ma abbastanza sfacciataggine per sottointenderlo e Eva fu investita da un improvvisa sensazione di vergogna che le fece incrociare le braccia sopra il petto. Tuttavia, diede il beneficio del dubbio al ragazzo: Michele era sicuramente in buona fede, magari, non era bravo con le parole e, forse, quel complimento era venuto fuori peggio di come era stato formulato nella sua mente. Cose che succedono.

Nelle mie bracciaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora