18. Senso d'inquietudine

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Macarena

Quando arriviamo a casa di Zulema è notte inoltrata.

La sua è una villa enorme, circondata dal verde e da nient'altro, in qualche modo restando distante non più di una decina di minuti da ogni tipo di servizio tipico della città.

Durante il tragitto ho scorto in lei una costante nota di tensione, mascherata dalla sua immancabile corazza di indifferenza, che però ho visto vacillare nei momenti in cui ho permesso alla pelle della mia mano di sfiorare quella della sua.

A quel punto il suo sguardo si soffermava qualche frammento di secondo su quel nostro contatto, per poi tornare a rivolgersi fuori dal finestrino o, alternativamente, verso il verde chiaro fin troppo vulnerabile dei miei occhi.

Non abbiamo fatto altro che condividere il silenzio.

Crogiolarci nell'assurda sensazione di poter rifiutare che insulse parole ci risparmino il terrore di essere scoperte, essere viste per quello che davvero siamo.

Perché è questo che cerchiamo nel parlare.

Una distrazione, un manipolatorio indirizzamento verso l'edulcorazione della nostra più vera natura.

Ne siamo del tutto consapevoli, eppure siamo troppo spaventati da noi stessi per lasciarci conoscere.

Il silenzio è la più brutale forma di coraggio.

Ed il nostro grida contorcendosi nell'intimità, nella nefasta sensazione di aver trovato complicità.

L'autista ci lascia nel momento stesso in cui ci chiudiamo la portiera alle spalle, e sento la mano di Zulema poggiarsi sul tessuto del cappotto scuro che mi copre la schiena.

Istintivamente cerco i suoi occhi, che vedo rilassarsi nei miei mentre il cancello della proprietà si chiude fendendo il buio della notte.

"Sei al sicuro qui"

Mi prendo qualche secondo per guardarmi attorno, ammirando la vastità del giardino che le appartiene, e che scopro ospitare anche un'ampia piscina circolare accompagnata da un elegante gazebo scuro.

"Al sicuro da tutto e tutti, ma non da me"

La sua voce mi riporta alla realtà del suo volto, che scorgo fin troppo serio seppur inverosimilmente etereo come sempre.

"Ironico no? Non faccio che scappare per poi ritrovarmi qui con te, che sei probabilmente l'unico pericolo degno d'esser temuto"

Zulema assottiglia lo sguardo mentre mi osserva, alzando il mento in maniera appena percettibile.

"Ti senti minacciata da me?"

"Non da te, ma da quello che siamo"

Per un attimo mi aspetto che reagisca imponendosi contraria al modo in cui mi sono permessa di parlare di un "noi", che sembra essere forse l'unica cosa in grado di spaventarla per davvero.

Invece, resta del tutto silente.

-

L'unica parola che mi viene in mente per descrivere l'interno della villa di Zulema, è il suo nome.

Ogni aspetto dell'arredamento riporta a lei: dai dipinti al colore dei mobili, tutto sembra far parte della sua infestante seppur dannatamente attraente veste da angelo dell'inferno.

Tutto perfettamente coerente, persino nel più insulso dei dettagli.

Ma più mi guardo attorno, e più mi assale quella che è forse la più pericolosa ma al contempo inevitabile delle condizioni umane.

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