14. Bruciare

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Macarena

"Desideriamo solo d'esser restituite alle nostre fiamme".

Lo sguardo spento di Zulema torna ad infrangersi nel mio, ormai privo di qualsiasi tipo d'emozione.

"Proprio tu mi parli di consapevolezza?"

Nel sentire le parole lasciare incaute le mie labbra si alza, arrivando quasi a condividere il mio respiro.

"Cosa vorresti insinuare, Macarena?"

Non c'è la minima parvenza di calma nella sua voce, solo l'inequivocabile rabbia mista a tensione tipica dell'autodifesa.

Serra la mascella a tal punto da perdere anche l'ultimo briciolo di umanità che le era rimasta, mentre sembra convinta di potermi intimidire assottigliando lo sguardo come suo solito.

Non avessi l'intenzione di metterla di fronte alla verità che sembra così incapace anche solo di realizzare, probabilmente le riderei in faccia.

"Continui a mentire a te stessa, ti vesti di un'illusione in cui neanche tu credi realmente"

La vedo inclinare la testa di lato mentre sembra alterarsi ancora di più, tuttavia resta in silenzio per cui non esito a proseguire.

"Entrambe bruciamo di un'apatia infestante, quasi trovassimo nel fuoco l'appartenenza al vuoto. Siamo condannate alla disperata ricerca di un qualcosa che possa finalmente scottarci, entrarci sotto pelle per costringerci fuori dal gelo e dalle ombre che ignoriamo di continuo. Per questo alimentiamo illusioni di emozioni inesistenti, ormai ossessivamente attratte da un dolore del quale siamo inevitabilmente dipendenti"

Nei suoi occhi leggo un'irrequietezza senza paragoni, quasi si stesse logorando nel tentativo di ignorare completamente ciascuna delle parole che le sto praticamente gridando contro.

Quando prova a parlare la interrompo, guadagnandomi un'occhiata ancora più lacerante.

"Sai qual è la differenza tra me e te?"

Sospira accennando una risata del tutto ironica, mentre mi guarda vestita della più impenetrabile delle corazze.

"Illuminami"

Mi concedo un momento per studiarle i lineamenti, finemente volti ad un'espressione tutt'altro che pacifica.

Come ogni singola volta in cui si sente messa con le spalle al muro, è pronta ad attaccare.

"Per me l'apatia è una condanna, mi perseguita da sempre e mi impedisce di vivere, ma al contempo anche di morire. Esisto con il solo desiderio di liberarmene, di trovare quella scintilla in grado di restituirmi alle fiamme di un fuoco con il quale non ho mai avuto la possibilità di venire a contatto. Per quanto la razionalità sia padrona anche del più insignificante dei pensieri che mi tormentano, sarei pronta a mettermi in gioco andando contro ogni mio interesse, se nel farlo avessi anche solo la possibilità di scottarmi. Tra il non sentire niente ed il sentire troppo, preferisco decisamente il rischio di bruciarmi irreparabilmente, fino a diventare cenere"

Riprendo aria prima di continuare, consapevole del fatto che quello che sto per dirle scatenerà sicuramente una reazione.

Che si tratti di rabbia o dell'ennesima dimostrazione di un'imperturbabile indifferenza, non potrebbe interessarmi meno.

"Tu invece ti illudi di essere costretta ad un'apatia che in realtà sei consapevole di non voler lasciare, perché è solo in essa che trovi protezione. Non hai alcuna intenzione di liberartene, perché senza ti sentiresti vulnerabile. Credi di volerti bruciare, ma non sei disposta neanche a rischiare di scottarti. Hai paura di farlo, anche solo il pensiero di poter provare qualcosa che non saresti in grado di controllare ti soffoca. Tra il provare troppo ed il provare niente, tu sceglierai sempre di nasconderti dietro la più ignifuga delle corazze. Per questo menti a te stessa: bruciare non ti ossessiona, ti terrorizza a tal punto da farti prendere qualsiasi decisione ti impedisca di farlo veramente"

Non sono neanche sicura del fatto che Zulema stia respirando, mentre il suo sguardo si fa più tendente al nero di quanto non lo sia mai stato.

Dopo interminabili secondi che portano il peso del silenzio la vedo chiudere gli occhi, per poi concedersi un sospiro che sembra darle tutto ad eccezione dell'aria di cui ha bisogno.

"Hai finito di annoiarmi con le tue stronzate?"

Non trattengo l'ennesimo sorriso amareggiato, consapevole del fatto che lei è decisamente il meno interessante dei libri che abbia mai letto.

I personaggi migliori sono quelli che subiscono un'evoluzione, di qualunque tipo o spessore essa sia.

Ma lei si ostina a restare ferma nella sua condanna autoindotta, mostrandosi del tutto incapace di andare avanti.

"Sì, ho finito"

Stando attenta a guardare tutt'altro che me, non perde tempo prima di spalancare la porta del suo ufficio.

"Molto bene. Fuori adesso"

Me ne vado finalmente libera da un peso che sentivo da troppo tempo, senza guardarmi indietro.

-

Quando rientro nella mia stanza, non esito prima di spogliarmi ed entrare in doccia.

Non ho bisogno d'altro che rilassarmi.

Conoscendomi, probabilmente più tardi approfitterò della notte per allenarmi in accademia.

L'acqua scorre sul mio corpo al ritmo dei pensieri che sembrano in competizione con il tempo, mentre mi godo il calore di un vapore del tutto incapace di calmarmi i nervi.

Da sempre rubo respiri che spezzo nel petto, mentre esisto senza aria né sonno.

La verità è che a malapena sostento.

Mi lascio sedurre dal dolore di un'anima che si lamenta, nell'apatica condanna di una mente guasta.

Tra silenzi di grida e paranoie stremanti, mi strazio a tal punto da riuscire a sentire i pensieri sanguinarmi nella testa.

Mi rendo conto di aver passato davvero troppo tempo sotto la doccia quando noto la pelle dei polpastrelli raggrinzita fino all'eccesso, affrettandomi ad uscire.

Indosso l'accappatoio come farebbe un'automa, mentre mi concedo qualche istante per guardarmi allo specchio.

Mi ritrovo ad apprezzare il riflesso di un'apparenza infestante, perfettamente abile nell'eludere l'assenza di tutto quel che servirebbe a rendermi viva.

Esco dal bagno quasi fuggendo da una tale consapevolezza, affrettandomi a cercare il reggiseno sportivo e i pantaloncini che uso sempre per allenarmi nel cuore della notte.

Niente per me è catartico come l'eccessivo stress fisico, al quale mi ostino a sottopormi da sempre.

Forse solo il silenzio.

Il silenzio è più me di quanto io stessa lo sia.

Mi costringe ad ascoltare l'assordanza di quel che non riesco o forse non voglio pronunciare, condannandomi alla più completa rassegnazione nei suoi confronti.

Sono ossessionata dalla mia peggiore condanna.

Mi concedo un'amara risata mentre finisco di allacciarmi le scarpe, per poi dirigermi verso la porta.

Faccio scattare la serratura in maniera del tutto automatica mentre la apro quasi frettolosamente, ritrovandomi di fronte al lato opposto della mia stessa medaglia.

Impeccabilmente vestita del suo cappotto in pelle, con un'espressione sul viso che mai l'avevo vista indossare.

Ci ritroviamo a coesistere nella più assurda contraddizione del silenzio, ed è nel farlo che forse, bruciamo.

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