Capitolo 9

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La stanza era buia, illuminata solo da una luce al neon che lampeggiava debolmente, creando un'atmosfera inquietante e surreale. Le pareti di metallo fredde riflettevano il  mio stesso volto, pallido e confuso, mentre cercavo di comprendere la situazione in cui mi trovavo. Quel medico, un uomo di mezza età con un sorriso disturbante, mi aveva parlato di un posto in cui sarei riuscita a controllare il mio nuovo potere. Ma ora, mentre le porte si chiudevano pesantemente dietro di me con un suono di metallo stridente, capí che qualcosa non andava.
(Spoiler: fidarsi è bene, non fidarsi è meglio Rita!)
Una pesante porta di acciaio si chiuse dietro di me e il rumore di un lucchetto che scattava risuonò come un eco nel mio cuore.  Sono in trappola pensai. Ero sola in una cella, le pareti fredde e impenetrabili, il mio corpo tremava forse ancora scosso per la scoperta dei miei poteri. Il pensiero di essere stata ingannata mi travolgeva, mentre tentavo di ricordare i dettagli di quel colloquio. Le domande innocue del medico avevano nascondere l'avidità di scoprire di più su di me, mentre gli uomini che avrebbero dovuto aiutarmi stavano ora studiando la mia reazione in questo labirinto di isolamento.

La tortura non è stata fisica all'inizio, ma mentale. Una serie di esperimenti mi veniva somministrata, uno dopo l'altro. Mi incatenavano a una sedia, costringendomi a concentrarmi sui miei poteri mentre una serie di macchine emettevano suoni assordanti e luci accecanti. Mi sforzavo di mantenere la calma, di controllare l'energia che pulsava dentro di me, ma ogni impulso di potere che cercavo di esprimere si trasformava in una frustrazione insopportabile. Le loro voci si univano in un frastuono, incuriositi da ciò che ero capace di fare, ridendo dei miei sforzi disperati per non lasciare che il potere vivesse in me senza controllo.

Dopo giorni di questo tormento, gli uomini erano diventati più spietati. Mi privavano di sonno e cibo, facendomi credere che la mia libertà dipendesse dal mio successo. La luce fredda di una lampada si rifletteva nei loro occhi mentre mi osservavano con uno sguardo che non prometteva nulla di buono. La tortura fisica iniziò quando iniziarono a legarmi a una tavola di legno e a iniettarmi sostanze chimiche per studiarne gli effetti sul corpo. E mentre sentivo  il dolore crescente e l'energia che scorreva dentro di me come un torrente in piena, capivo che, indipendentemente da quanto forte fossi, la vera battaglia non era solo per sopravvivere, ma anche per non perdermi completamente in un labirinto di oscurità e sfruttamento.

«non ti disunire Rita» continuavo a ripetermi.

Da quanto tempo ero lì? Giorni? Forse settimane. Avevo perso il conto. Cercavo solo di non impazzire
Ogni volta che qualcuno tra quegli uomini mi veniva a prendere mi dimenavo, ma era inutile. Riuscivano sempre a trascinarmi davanti a quell'uomo, il Dr Ross, che con gli occhi pieni di sangue mi accoglieva con la solita frase «Eccolo qui il mio capolavoro!»
Non avevo mai pianto davanti a quegli uomini, no quella soddisfazione non gliel'avrei data, nemmeno quando mi torturavano iniettandomi chissà quale merda, nemmeno quando mi procuravano ustioni o tagli, nemmeno quando mi stupravano e mi lasciavano lì per terra come un oggetto rotto.
«Non ti disunire Rita» me lo ripetevo in continuazione.

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