Capitolo 28

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Si era messo a studiare, ma nulla sembrava funzionare. Alla fine, pensò che forse una doccia potesse aiutarlo. Prima aveva optato per l'acqua calda, bollente, ma serviva. Non avendo ottenuto risultati, passò all'acqua gelida; anche in quel caso, però, non ci fu alcun miglioramento. Allora provò con la musica. Prese le cuffie e fece partire la prima canzone della playlist a tutto volume, quasi temendo di spaccarsi i timpani. Ma i suoi pensieri continuavano a sovrastare la musica, come fossero sintonizzati su una nota troppo alta per essere ignorata. Bakugou avanzava e indietreggiava per la stanza come una belva in gabbia, i passi pesanti sul pavimento a scandire il ritmo della sua agitazione. Aveva già scaricato la frustrazione su un povero armadio, ma i pensieri continuavano a martellargli nella testa come un martello pneumatico.

Kira.

Quel nome era diventato un mantra ossessivo, un ritornello che non riusciva a scacciare. L'immagine di lei e Haruki, fianco a fianco, lo faceva impazzire. Come poteva essere così calma, così tranquilla, mentre lui stava esplodendo dall'interno?

"Allenarmi," mormorò tra sé e sé, come se quella parola potesse magicamente risolvere tutti i suoi problemi. Indossò una felpa e uscì di casa. Allenarsi sarebbe stata la sua salvezza; un po' di corsa, qualche esercizio fisico, niente di esagerato. Doveva liberare la mente da quel continuo ronzio, dall'ossessione che lo attanagliava: Kira.
Mentre correva, la brezza fresca gli accarezzava il viso, ma non riusciva a placare la tempesta interiore. Ogni respiro era un affanno, ogni passo un tentativo di scappare dai suoi pensieri.

Era solo da poco tempo che era arrivata nella sua classe insieme ad Haruki, ma riusciva già a infastidirlo come nessun altro. Non era solo il suo comportamento spavaldo o il suo sorriso che sembrava sfidarlo; c'era qualcosa di intricato in lei che lo attirava, ma al contempo lo faceva infuriare. Era come se stesse lottando con un uragano di emozioni contrastanti, un vortice di voglia di avvicinarsi e il desiderio di allontanarla.
Kira era lì, nella sua camera, a vedere un film con Haruki. La sola idea lo sconcertava. Gelosia? "Cazzate!" grugnì.
Ma bastava chiudere gli occhi per ritrovarsi a immaginarli insieme, ridendo e chiacchierando mentre lui rimaneva all'esterno. Era impossibile non pensare a quel momento; la vita sembrava aver scelto per lui di renderlo un completo idiota, bloccato a impazzire per una perfetta estranea.
Eppure, per quanto cercasse di distogliere il pensiero, la mente tornava sempre a lei. Quelle occhiate indifferenti, quel modo di sfidarlo con la sola presenza, lo costringevano a riconoscere che non era solo una questione di semplice attrazione. C'era un legame strano, un'energia che lo sconvolgeva e lo affascinava.
«È TUTTO INUTILE, CAZZO!» urlò, ansimando e piegandosi a metà, mentre la sua voce risuonava nel cortile. Ci aveva provato in tutti i modi a non pensarci, a svuotare la testa. Si era perfino trovato ad invidiare Kaminari, che, per quanto fosse stupido, aveva la capacità di diventare ancora più stupido quando usava il suo quirk. 

Ma nulla aveva funzionato, lei era ancora nella sua testa. Tornato in stanza, spossato ma non meno confuso, si lasciò cadere sul letto. Guardò il soffitto, cercando di trovare una qualche spiegazione razionale a tutto questo. Ma non c'era nulla. Solo un groviglio di emozioni contrastanti: rabbia, gelosia, attrazione. Si stava convincendo sempre di più  di odiarla, la odiava per averlo fatto sentire così. Non aveva mai provato nulla di simile, e non sapeva come gestire questi sentimenti.
"La odio, sono sicuro di odiarla." Eppure ogni volta che si trovava a chiudere gli occhi, incontrava i suoi e quel calore nel petto tornava a farsi sentire.




Intanto, Kira era distesa a pancia in giù sul letto, le braccia rannicchiate sotto il viso e i capelli scuri che ricadevano morbidamente sui toni chiari del copriletto. Gli occhi, grandi e brillanti, seguivano attentamente le immagini che scorrevano sullo schermo del televisore, mentre un leggero sorriso giocava sulle sue labbra. L'unica fonte di luce era quella pulsante del film, creando un gioco di ombre che danzava sul suo viso, mettendo in risalto la curva delicata delle sue guance e la scintilla intrigante nel suo sguardo.

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