🌻~ 13 Occhi ~ 1° parte ~🌻

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Un urlo disumano squarciò l'aria.

Ero io?

Non avrei saputo dirlo.

Ma non volevo tornare al 27 giugno.

Non più.

E mentre le mie vene andavano a fuoco, sentivo voci intorno a me gridare il mio nome come fossi l'ospite d'onore di quel rito.

«Marchiata.»

«Presto.»

E poi il buio.

Di nuovo.


🌻

Mi risvegliai nel mio appartamento. Quello al piano terra. Le tende erano state tirate e con la brezza della sera che vi respirava attraverso, sembravano seguire il ritmo delle onde del mare che si infrangono sulla riva. E poi ricordai: il falco, il dolore e il suo artiglio sul mio avambraccio.

Una nuova scarica di dolore mi attraversò le tempie come fossi il prodotto di un esperimento che mi avrebbe fritto il cervello. Mi ripiegai sul letto in posizione fetale cercando asilo nel buio, chiudendo gli occhi in attesa di tornare a guardare i colori del deserto con l'armonia di un rumore bianco.

Urlai di nuovo, piangendo dolore. «BRUCIAAA!»

Il peso di un carro armato si precipitò alle mie spalle fondendosi con la mia agonia, stringendomi nel suo abbraccio. Ma l'umiliazione ricevuta su quel divano era ancora fresca. Perciò scalciai quella presenza come fossi ancora lì, dimenandomi nelle lenzuola per sfuggire al mio macellaio. «JAMAAR TI PREGO!» Urlai piangendo. «NON LA GAMBA! MI FAI MALE!»

«Sopdet» mi sussurrò, «sono io.»

Amos.

Col fiato corto mi bloccai in risposta al suono della sua voce. Come fosse l'incantatore dei miei pensieri.

«Sfiorati la gamba» disse a bassa voce.

Avevo paura.

E le mie dita tremanti cercarono assieme ai miei occhi sbarrati sul deserto, un conforto a quella paura, trovandolo.

Calore. Morbidezza. Sicurezza.

Era una fasciatura dal tessuto più pregiato che avessi mai sfiorato. Avevo paura di guardarla per non dovermi svegliare da quel sogno che sapeva di balsami e bagni caldi.

E la voce del mio incantatore tornò: «ti prometto che quella gamba non la toccherà mai più nessuno e che sarai padrona della tua lama e delle tue cicatrici.»

Mi destai da quello stato di quiete, sussurrando al cuscino caldo del mio sudore: «ho ferito un uomo.»

«Hai ferito una bestia.»

«T-tu...hai ucciso...» Le labbra mi tremavano.

«Lascia portare quel peso a me.»

Eravamo distesi, come fossimo una coppia dopo una notte d'amore.

«E io? Quale peso devo sopportare? Volevi gli spazi, perciò vat...» allungai una mano su di lui ma nuove scariche di dolore lo lasciarono avvicinare al mio viso.

꘡ᥨ کഠᥨ୧ ꘡ῃ۷ỉيỉⰓỉᥨ୧Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora