Rivelazioni nella Notte

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Tornai a casa tardi, stanco dopo una lunga giornata. Appena entrai, mi resi subito conto che qualcosa non andava. La casa, di solito ordinata e accogliente, era un disastro. Oggetti sparsi ovunque, piatti lasciati in bilico sul tavolo, vestiti abbandonati sul pavimento. Il cuore mi balzò in gola, e il mio primo pensiero fu per Flor.

La cercai con lo sguardo, e la trovai sdraiata sul divano, profondamente addormentata. Le sue mani erano strette in pugni, come se avesse combattuto con qualcosa anche nel sonno. Il suo viso era pallido, e i segni delle lacrime erano ancora evidenti sulle guance. Mi avvicinai piano, cercando di non svegliarla bruscamente, ma il bisogno di confortarla era troppo forte.

"Flor..." sussurrai, accarezzandole il viso. Non rispose subito, ma quando aprì gli occhi e mi vide, il suo sguardo si riempì di tristezza e sollievo insieme.
"Fede..." disse con voce spezzata, cercando di sedersi. La strinsi subito a me, sentendo la sua fragilità contro il mio petto. "Non ce la faccio più..."

Quelle parole mi colpirono come un pugno. Sentivo tutta la sua sofferenza, la sua stanchezza, e mi sentii impotente per non aver capito prima quanto fosse arrivata al limite. La sollevai con delicatezza, come se fosse di cristallo, e la portai a letto.

"Non ti preoccupare, amore. Sono qui. Andrà tutto bene," le dissi mentre la sistemavo sotto le coperte. La sua mano tremava leggermente quando la presi tra le mie, e cercai di trasmetterle tutta la calma e la sicurezza che avevo dentro. Non volevo che vedesse quanto ero preoccupato.

Flor chiuse gli occhi, e poco dopo iniziò a respirare più profondamente, segno che il sonno la stava finalmente avvolgendo. Rimasi accanto a lei finché non fu completamente addormentata, poi mi alzai piano, chiudendo la porta dietro di me.
C'era molto da fare. La casa era in condizioni pessime, e anche se sapevo che Flor aveva bisogno di me accanto a lei, dovevo rimettere tutto in ordine. Mi serviva anche come distrazione. Così mi misi a lavoro, raccogliendo i vestiti, lavando i piatti, cercando di riportare un po' di normalità in quel caos.

Verso mezzanotte, ero finalmente riuscito a sistemare tutto. Mi fermai un attimo per prendere fiato, quando un rumore improvviso mi fece gelare il sangue. Erano urla, provenivano dall'esterno. Riconobbi subito la voce. Era Luca, il mio migliore amico, ma c'era qualcosa di strano in lui.

"Flor! Flor, ti amo! Sei la mia donna! lo vedo una vita con te!" gridava, con un tono sbronzo e disperato. Sentii un'ondata di rabbia travolgermi. Non potevo credere alle mie orecchie. Come poteva dire una cosa simile? E proprio davanti a casa mia? Non riuscivo a capire cosa stesse succedendo.Andai ad aprire la porta, e lì lo trovai, barcollante, con lo sguardo perso. "Che cazzo stai facendo, Luca? Sei impazzito?" gli chiesi, cercando di mantenere la calma.

Luca mi guardò con un ghigno storto, e poi, senza alcun pudore, iniziò a raccontare qualcosa che mi fece gelare il sangue. "Flor ha perso la bambina, Fede. E dopo... beh, siamo finiti a letto insieme. È stato incredibile, te lo giuro. Ma sai, tra amici, no? Quello che è tuo è anche mio..."

Non so come successe, ma in un attimo la mia mano si mosse da sola. Un pugno dritto al volto, pieno di tutta la rabbia, il dolore, e la delusione che avevo accumulato. Lo colpii con tutta la forza che avevo, e Luca cadde all'indietro, stordito.

Ma la rabbia non si placò. Lo afferrai per il collo, stringendo forte. "Sei un bastardo! Come hai potuto fare una cosa simile?!"

Luca cercò di difendersi, e cominciammo a lottare come animali. Ogni colpo, ogni
pugno, era carico della mia furia. Non riuscivo a pensare, non riuscivo a fermarmi. Ma poi sentii una voce che mi fece fermare.

"Basta! Basta, vi prego! Fermatevi!" Flor stava in piedi sulla soglia della porta, con le mani tremanti, il volto pallido come un lenzuolo. La sua vista mi riportò alla realtà. Mollai la presa su Luca, che si allontanò barcollando.

"Flor..." sussurrai, ma lei non mi guardava. Era troppo concentrata a respirare, come se avesse difficoltà a mantenersi in piedi. Luca, intanto, si girò verso di lei con uno sguardo pieno di follia e le piantò un bacio sulle labbra, proprio davanti a me.

Fu la goccia che fece traboccare il vaso. Lo afferrai di nuovo, spingendolo fuori casa con tutta la forza che avevo. "Sparisci! Non voglio vederti mai più!" gli urlai, chiudendo la porta con forza.

Tornai da Flor, che sembrava sul punto di crollare. "Andiamo, ti porto a letto," le dissi
con dolcezza, cercando di non farle vedere quanto fossi ancora scosso. Ma non appena iniziammo a salire le scale, la vidi piegarsi in due, con una mano sulla pancia.

"Fede... mi fa male... la pancia..." sussurrò, e il panico mi prese alla gola.

Non persi tempo. La presi in braccio e la portai di corsa in macchina, dirigendomi al pronto soccorso. Mentre guidavo, il suono dei suoi respiri affannosi mi stringeva il cuore.

All'arrivo, i medici la portarono subito dentro, ed io rimasi fuori, impotente, aspettando con il cuore in gola. Passò un'eternità prima che una dottoressa uscisse per parlarmi.

"La sua pressione è bassissima," mi disse con voce professionale. "Deve riposare assolutamente. La bambina sta bene, ma è fondamentale che stia tranquilla."
Il sollievo fu immediato, ma durò poco, perché Flor, dalla barella, mi guardò con occhi pieni di terrore e disse: "Ma... mi avevano detto che l'avevo persa..."

La dottoressa la guardò con perplessità. "No, signora. Non l'ha mai persa. Chi le ha detto una cosa del genere?"

Flor sembrava confusa. "C'era una dottoressa... mi ha detto che avevo perso la bambina. Si chiamava KAREN JOHNSON"

La dottoressa scosse la testa, visibilmente sorpresa. "Non c'è nessuna dottoressa con questo nome, o almeno non l'ho mai sentito. Mi dispiace."

Flor sembrava sul punto di svenire, ma rimase in silenzio, incapace di elaborare quelle informazioni. La dottoressa la rassicurò ancora un po', poi ci lasciò soli.

Entrai nella stanza poco dopo, con un piccolo fiore giallo che avevo comprato velocemente per cercare di portarle un po' di conforto. Quando mi sedetti accanto a lei, il suo sguardo era vuoto, come se stesse ancora cercando di capire cosa fosse successo.

"Non l'hai mai persa, amore," le dissi con voce calma, cercando di infonderle un po' di forza. "La bambina sta bene. Ma... chi era quella dottoressa?"

Flor li disse, con le lacrime agli occhi. "KAREN JOHNSON".

Le strinsi la mano, deciso a non lasciarla mai più. Rimasi accanto a lei tutta la notte, vegliando su di lei mentre dormiva, cercando di proteggere il nostro futuro, ora più incerto che mai. Non sapevo chi fosse quella dottoressa o perché le avesse detto quelle cose, ma sapevo una cosa: non avrei mai lasciato che qualcosa di simile accadesse di nuovo.

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