THE SEVENTEEN'S SECRETS- Quarta Parte
L’oscurità delle catacombe ci avvolse immediatamente, una nebbia di tenebra che sembrava avere una consistenza fisica. Le torce che avevamo portato proiettavano fasci di luce tremolanti sulle pareti di pietra umide, rivelando radici nodose che spuntavano dai soffitti e graffiti sbiaditi incisi da mani sconosciute chissà quanti anni prima. Ogni passo che facevamo risuonava sordo e opprimente, come se il mondo intero stesse trattenendo il fiato in attesa del nostro destino.
Avanzavamo in fila, con Hoshi e me in testa. La sua mano continuava a stringere la mia, offrendomi un ancoraggio in quella distesa di oscurità. Nonostante il terrore che sentivo crescere dentro di me, c’era anche una strana sensazione di sicurezza. Hoshi era lì, e sapevo che, qualunque cosa avremmo trovato, l’avremmo affrontata insieme.
La nostra discesa sembrava interminabile. I corridoi si facevano sempre più stretti, le pareti più vicine, come se la scuola volesse stringerci in una morsa mortale. Nessuno parlava, e l’unico suono era il nostro respiro e i passi sul pavimento di pietra. Eppure, c’era un’altra presenza che percepivo, un’ombra che ci seguiva, che si muoveva appena fuori dal raggio delle nostre torce.
“Hoshi,” sussurrai a un certo punto, la voce appena udibile. “Senti anche tu…?”
“Sì,” rispose lui, con un tono che cercava di essere rassicurante ma tradiva la stessa paura che provavo io. “Non siamo soli.”
Ci fermammo davanti a una grande porta di legno massiccio, che sembrava essere l’unico ostacolo tra noi e il cuore delle catacombe. La porta era decorata con strani simboli, antichi e inquietanti, che emanavano un’aura di malvagità. L'aria era densa e pesante, quasi soffocante.
“Questa è la stanza principale,” disse Joshua, la sua voce carica di tensione. “Secondo le storie, qui è dove tutto è cominciato.”
Mi girai a guardare gli altri. Potevo vedere la paura nei loro occhi, ma anche la determinazione. Sapevano che non c’era più via di ritorno. Questo era il punto di non ritorno, il momento in cui avremmo dovuto affrontare la maledizione faccia a faccia.
Hoshi prese un respiro profondo e fece un passo avanti, spingendo lentamente la porta. Con uno scricchiolio sinistro, la porta si aprì, rivelando una vasta stanza circolare. Il pavimento era coperto di polvere e cenere, e al centro c’era un altare di pietra, su cui erano posati oggetti antichi, simboli di un culto dimenticato. Attorno all’altare, una serie di candele spente, posizionate con precisione inquietante, formavano un cerchio perfetto.
“Questo è il luogo del sacrificio,” mormorò Jeonghan, facendo un passo avanti per osservare meglio. “Qui è dove il nostro tutore compì il primo rituale. Qui è dove tutto ebbe inizio.”
Mi avvicinai all’altare, il cuore in gola. C’era qualcosa di profondamente disturbante in quel luogo, come se la malvagità che vi era stata evocata tanti anni prima non fosse mai svanita. Sentivo l’energia negativa pulsare nell’aria, una presenza oscura che ci osservava, pronta a colpire.
Improvvisamente, le candele si accesero da sole, una fiamma azzurra che bruciava in modo innaturale. Tutti trattenemmo il respiro, incapaci di muoverci o parlare. Poi, dal nulla, una voce profonda e cavernosa risuonò nella stanza, facendo vibrare le pareti.
“Siete tornati,” disse la voce, avvolta in un’eco spettrale. “Come promesso, il ciclo deve continuare. Il debito di sangue deve essere pagato.”
Ci guardammo l'un l'altro, terrorizzati. La maledizione era viva, e si manifestava in quel momento, in quel luogo. Non era solo una storia, ma una forza antica e inarrestabile che chiedeva il suo tributo.
“Non permetteremo che accada di nuovo!” gridò Hoshi, avanzando verso l'altare con una determinazione feroce. La sua voce rimbombò nella stanza, ma la presenza non si fece intimidire.
“Non avete scelta,” replicò la voce, ora più vicina, come se provenisse da ogni direzione. “Il sangue è stato versato e il patto è stato sigillato. Il prezzo della vostra vita è la morte.”
Il pavimento sotto di noi cominciò a tremare, e crepe si formarono attorno all’altare, dal quale emerse una luce rosso sangue. La paura mi paralizzava, ma sapevo che non potevamo cedere. Se lo avessimo fatto, la maledizione avrebbe continuato a reclamare vite, anno dopo anno, finché non sarebbe rimasto più nessuno di noi.
“Hayun!” gridò Hoshi, voltandosi verso di me. “Il diario! Apri il diario!”
Mi ricordai improvvisamente del diario antico che avevamo trovato nei giorni precedenti, un diario che sembrava appartenere al nostro tutore e che conteneva strani scritti su rituali e sacrifici. Tirai fuori il diario dallo zaino, le mani tremanti mentre cercavo di aprirlo. Le pagine ingiallite si sfogliarono da sole fino a fermarsi su un incantesimo, scritto in una lingua che sembrava uscita direttamente dagli abissi.
“Devi leggerlo!” mi incitò Hoshi, mentre il tremore del pavimento si intensificava. “Solo tu puoi farlo!”
Presi un profondo respiro, cercando di ignorare la paura che mi attanagliava, e iniziai a leggere ad alta voce le parole incise sulla pagina. La lingua era antica e difficile da pronunciare, ma man mano che leggevo, sentivo una forza crescere dentro di me, come se quelle parole avessero il potere di spezzare il ciclo di morte.
La luce rossa si intensificò per un istante, come se la maledizione stesse cercando di resistere, ma poi cominciò a svanire, ritirandosi nelle crepe del pavimento. La voce spettrale urlò di rabbia, un urlo che fece vibrare la stanza, ma il potere del rituale sembrava perdere forza. Continuai a leggere, più veloce, più forte, fino a quando la luce si spense del tutto e la voce si zittì, lasciandoci nel buio e nel silenzio.
Tutti restammo immobili, trattenendo il respiro, aspettando il colpo finale, ma non arrivò. La stanza era tornata silenziosa, e la presenza che avevamo sentito così vicina sembrava essere scomparsa. Hoshi si avvicinò a me, il volto pallido ma gli occhi pieni di gratitudine.
“Ce l’hai fatta, Hayun,” sussurrò, stringendomi forte. “Hai spezzato la maledizione.”
Ma mentre le sue parole mi avvolgevano, un freddo improvviso mi attraversò. Forse era la fine, o forse c’era ancora un ultimo prezzo da pagare…