THE SEVENTEE'S SECRETS- Quinta Parte
L'abbraccio di Hoshi era caldo, un rifugio temporaneo dal gelo improvviso che aveva invaso la stanza. Ma quel freddo, quel senso di inquietudine che si insinuava nelle mie ossa, mi diceva che non era davvero finita. C’era qualcosa di più profondo, qualcosa che la maledizione non avrebbe lasciato andare così facilmente.
Gli altri si avvicinarono a noi, i loro volti una combinazione di sollievo e timore. La stanza era immersa nel silenzio, eppure quel silenzio non era affatto rassicurante. Era come se il mondo trattenesse il respiro, aspettando di vedere se davvero fossimo riusciti a spezzare il ciclo maledetto.
“Hayun",disse Dino, il suo sguardo fisso su di me. “Hai fatto qualcosa di incredibile. Ma… c'è qualcosa che non quadra.”
Lo sguardo di Hoshi si fece preoccupato, e lentamente sciolse l’abbraccio, guardandomi negli occhi. “Hai sentito anche tu quel freddo, vero?” chiese, quasi in un sussurro. Non avevo bisogno di rispondere; il mio volto doveva aver già tradito la mia paura.
Il pavimento, che solo un attimo prima aveva tremato violentemente, ora sembrava solido e stabile. Ma sotto quella superficie tranquilla, c’era ancora qualcosa che si agitava. Era come se l’energia della maledizione fosse stata momentaneamente soppressa, ma non completamente sconfitta.
“Abbiamo chiuso una porta, ma potrebbe essercene un’altra che abbiamo lasciato aperta,” disse Woonwoo, la sua voce calma ma tesa. “Forse il rituale che hai letto era solo una parte della soluzione.”
Un’ansia crescente mi attanagliò. Il diario. Avevo letto solo quel passaggio, quello che si era aperto da solo, come se fosse stato scelto per me. Ma e se ci fosse stato altro, qualcosa che non avevamo ancora scoperto? Mi chinai, con mani tremanti, a sfogliare nuovamente le pagine del diario, cercando qualche indicazione, qualche segno che potesse guidarci verso la verità completa.
Le pagine si susseguivano in un’orribile sequenza di incantesimi e racconti di sacrifici, fino a quando non trovai un’altra sezione, questa volta scritta in una calligrafia diversa, più recente e più disperata. Le parole erano una confessione, una rivelazione oscura di ciò che era stato realmente fatto e di ciò che ancora rimaneva da compiere.
“La maledizione non è legata solo al sacrificio originale,” lessi ad alta voce, sentendo ogni parola pesare sul mio cuore. “È alimentata dal dolore e dalla paura. Finché qualcuno porterà il peso del terrore, essa vivrà.”
Gli occhi di tutti erano puntati su di me, ma io sentivo solo il peso di quelle parole. Avevamo forse eliminato la manifestazione più visibile della maledizione, ma il suo nucleo, la sua essenza, era ancora viva. Era legata a noi, a tutto il dolore e la sofferenza che avevamo attraversato. Finché avremmo portato dentro di noi quelle ferite, la maledizione avrebbe trovato un modo per tornare.
“Non può finire così,” mormorò Seungkwan, la sua voce carica di disperazione. “Non possiamo vivere per sempre in questa paura.”
“No,” dissi, sentendo una nuova determinazione crescere dentro di me. “Non dobbiamo. La maledizione è alimentata dalla paura, ma cosa succederebbe se scegliessimo di non avere più paura? Se scegliessimo di guarire le nostre ferite invece di nutrirle?”
Hoshi mi guardò con intensità. “Cosa stai dicendo, Hayun?”
“Invece di cercare di distruggere la maledizione con la forza,” continuai, il mio cuore battendo forte, “forse dobbiamo affrontarla dentro di noi. Dobbiamo lasciare andare la paura, perdonare noi stessi e gli altri per il dolore che abbiamo subito e causato. Solo allora, la maledizione perderà il suo potere su di noi.”
Joshua annuì lentamente, come se stesse afferrando il significato di ciò che stavo dicendo. “È un passo difficile,” disse. “Ma ha senso. La maledizione è stata perpetuata dal nostro dolore, dal nostro terrore di ciò che poteva accadere. Se riusciamo a liberarci da tutto questo, forse possiamo davvero spezzare il ciclo.”
“Ma come possiamo fare una cosa del genere?” chiese Jun, la sua voce carica di incertezza. “Come possiamo semplicemente smettere di avere paura?”
“Non sarà facile,” risposi, guardandoli uno ad uno. “Ma non dobbiamo farlo da soli. Siamo qui insieme, e insieme possiamo trovare la forza di superare ciò che ci ha legati a questa maledizione per tanto tempo.”
Un silenzio pieno di riflessione calò sul gruppo. Ognuno di noi stava lottando con i propri demoni, con la propria paura, ma c’era anche una scintilla di speranza. Forse, per la prima volta, vedevamo una via d’uscita che non richiedeva sacrifici, ma guarigione.
Hoshi mi prese di nuovo la mano, questa volta con una dolcezza che non aveva nulla a che vedere con la paura, ma tutto con la speranza. “Insieme,” sussurrò. “Lo faremo insieme.”
E in quel momento, mentre il buio della stanza sembrava cominciare a ritirarsi, capii che la vera battaglia non era contro la maledizione, ma contro la paura che ci aveva tenuti prigionieri per così tanto tempo. Ero pronta a combattere quella battaglia, con Hoshi e i Seventeen al mio fianco, perché sapevo che, finché fossimo rimasti uniti, non ci sarebbe stato nulla che non avremmo potuto superare.