Capitolo 10

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"Un popolo che non sa né leggere né scrivere, è un popolo facile da ingannare"
— Che Guevara



Era il 16 giugno 1964, quando nella città di Maracaibo (Venezuela) venne alla luce un bambino dalle umili origini, il terzo maschio per la precisione, settimo figlio di una famiglia sull'orlo della povertà.
Due genitori amorevoli, che cercavano di non far pesare ai loro figli le difficoltà della vita di quei tempi, anzi cercavano di impartir loro i migliori insegnamenti che potessero infondere.
E non vi erano schiene abbastanza spezzate, menti sufficientemente sgretolate dalla stanchezza, o disastri ambientali incombenti che fossero in grado di far cadere l'unione della loro piccola — e apparentemente insignificante — esistenza.

Jo Tullio nacque esattamente a mezzogiorno, nell'esatto momento in cui il movimento della Terra porta il Sole a posizionarsi esattamente nel centro del nostro cielo.
Potrebbe sembrare una informazione banale, ma il 16 giugno di quell'anno i coniugi Tullio interpretarono quell'avvenimento come un segno.
I mesi di gravidanza della donna erano stati i peggiori della sua vita: le nausee l'avrebbero portata a voler rigettare il suo stesso stomaco, il tormento dato dal rigonfiamento di gambe e caviglie la costringeva a trascorrere la maggior parte del tempo su di un letto logoro, sofferente.
Le continue febbri da cavallo minacciavano di farle esplodere la testa... era incapace di prendersi cura dei suoi piccoli. L'unica cosa che sia mai stata capace di fare.

Per il marito, le sorti, non erano certo differenti. L'unico lavoro che riuscì a trovare alla nascita del loro primo figlio fu come contadino; guadagnava quel tanto che bastava per portare un pezzo di pane a casa — la sua preoccupazione principale era quella di garantire un pasto caldo per ognuno dei suoi figli, e per la sua innamorata. A costo di digiunare per intere settimane, allo stremo delle forze, con le braccia incapaci di reggere per più di cinque minuti il corpicino dei suoi stessi bambini, per canticchiargli la ninnananna prima di rimboccar loro le coperte.

Il suo datore di lavoro, in quei mesi, manifestava dei grandi problemi finanziari. Da quanto raccontava alcuni acquirenti avevano intenzione di comprare la sua terra, affinché potessero costruirci una nuova strada. Ma lui rifiutò qualsiasi cifra di denaro. Quella era la sua terra, la sua casa, la sua storia, e non l'avrebbe ceduta neanche per tutto l'oro del mondo. Questa decisione tuttavia porterà dietro di sé una serie ti catastrofi, come i continui assalti ai suoi campi nel bel mezzo della giornata, oppure incendi appiccati durante la notte, rovinando così i raccolti frutto di mesi e mesi di lavoro.
La manutenzione per il riparo dei danni era molto salata, e l'uomo non riusciva più a versare gli stipendi ai suoi lavoratori.

Ciò fin quando non decise di mettere fine alla sua stessa vita; affogato dai debiti e senza più neanche l'ombra di una zolla di terra che non sia stata contaminata. Venne trovato impiccato dal padre di Tullio, sotto il ramo dell'unico albero risparmiato dalla furia degli attacchi che avevano subito. Un ulivo, pieno di piccoli frutti acerbi. Una coincidenza davvero amara.

L'ulivo è il simbolo della pace e della forza vitale, divenuto oramai la residenza dell'anima dannata di un uomo distrutto.
È stato come se volesse mettere un punto alle sue sofferenze nell'unico posto che, nonostante tutto, fosse stato in grado di resistere.

Alla fine la terra venne acquistata, e le nuove autostrade vennero costruite in tempi record — con grande sorpresa, chiunque si fosse occupato di dirigere i lavori, decise di non abbattere quell'ulivo. Forse avevano concesso a quel pover uomo almeno la libertà di possedere il luogo del suo eterno riposo, come segno di un'ombra di rispetto verso il suo gesto estremo.

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