✩ 15 - La prova finale ✩

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Come si può rinnegare un'intera vita, e accettare che ogni frammento del passato non sia altro che una mera menzogna? Un sistema creato per raggiungere uno scopo, uno in cui non si è protagonisti, capaci di rivoluzionare attivamente il mondo tramite i propri sforzi, ma uno in cui si è solo pedine di un potere più grande che, con fili robusti e invisibili, muove tutto nel punto che desidera, conducendo gli ignari verso il bilico senza che questi neanche se ne accorgano.

Cyprian sapeva che non era il momento adatto a filosofeggiare, quello, ma non trovò conforto che nei suoi distorti pensieri. L'emicrania lo aveva attanagliato per tutta la giornata, e nulla gli aveva dato sollievo. D'altronde non aveva riposato, né mangiato. Quando Diamanthea aveva bussato alla porta per consegnargli il pranzo, aveva fatto finta di dormire. Se avesse visto di nuovo uno dei suoi piatti, avrebbe vomitato. Desiderava farlo. Buttare fuori tutto ciò he aveva consumato che l'aveva reso impuro e colpevole, sebbene fosse stato costretto con l'inganno a nutrirsene.

La sua tutrice avrebbe potuto avvelenarlo e divorare anche lui, e neanche se ne sarebbe accorto. Neanche in punto di morte, reso cieco dall'ammirazione e dalla gratitudine, avrebbe attribuito quel crimine a lei, che era stata la sua salvezza.

Ricordava la sensazione di morbidezza delle sue mani gentili che stringevano le proprie, riparandolo dalla folla in fuga mentre i cavalieri vestiti di nero e grigio portavano avanti la loro tremenda carneficina. Confuso e solo, nella bellezza di quella donna aveva rivisto qualcosa della sua mamma, e qualcosa che sarebbe voluto diventare.

In cuor suo sapeva benissimo che il suo desiderio di conoscenza aveva uno sfondo nascosto che alimentava i suoi sforzi quotidiani: aiutare il suo popolo era solo la superficie del ghiacciaio che emerge dalle maree. Lui voleva vendetta. Voleva essere abbastanza forte da potersi difendere da solo, da impedire che gli estranei oltre le mura potessero portargli via qualsiasi altra cosa. Abbastanza forte da trovare i responsabili dello scempio che l'aveva reso solo al mondo, e fargliela pagare con una lenta agonia. Allora, forse, si sarebbe nutrito del loro sangue con foga selvaggia, abbandonandosi all'istinto che i suoi avi gli avevano tramandato. Avrebbe ceduto? Sarebbe diventato il mostro che un tempo un so predecessore era stato?

Si coprì la fronte con una mano, sentendosi straziato dalle martellanti domande che da tutto il giorno si stava ponendo. Guardò il riflesso allo specchio: decine di Cyprian ricambiarono lo sguardo, ciascuno in una delle schegge appuntite ancora appese al muro dietro la scrivania.

Nella sua mente ci fu silenzio solo per un attimo. Poi formulò una frase che, per quanto macabra, non lo spaventò.

Forse morirò oggi.

Mancava poco all'esame. Ancora qualche minuto, e il sole sarebbe annegato oltre le fronde degli alberi lontani, oltre la superficie placida del lago profondo che circondava la sua piccola, soffocante prigione.

Aveva indossato i suoi abiti più belli, come se questo potesse rendergli più lieve la tragica fine che lo attendeva. I suoi capelli erano pettinati, la pelle pulita dal lungo bagno freddo che si era concesso, ma aveva gli occhi gonfi e stanchi, il riflesso del tormento interiore della sua anima.

Quella sera, avrebbe detto addio a tutto ciò che aveva sempre conosciuto e sarebbe andato incontro a un destino già scritto da tempo, per lui, da Diamanthea.

Si guardò le mani, candide e pulite, e le immaginò ricoperte di sangue. Ricordò la dolce Grazeline, e gli altri membri del circolo che piano piano erano scomparsi. Sapeva che Arkyn sarebbe stato il prossimo, sempre che non fosse già stato colpito.

Diamanthea aveva promesso a Cyprian un futuro radioso, uno in cui loro due avrebbero regnato insieme su ciò che restava della stirpe vampirica, per riportarla alla gloria di un tempo, come due gentili divinità supreme, due pastori consci della retta via, pronti a guidare il loro gregge su sentieri sicuri. Quanto era stato ingenuo e malleabile, nel credere a quel sogno utopico. Diamanthea non amava nessuno se non se stessa e il suo potere, e non voleva nessuno al suo fianco, neppure Cyprian, ma aveva bisogno di lui. Non della sua presenza, della sua saggezza o dei suoi consigli: aveva bisogno del suo corpo, della sua carne e del suo sangue. Non era che nutrimento preparato a dovere per alimentare la sua ingorda fame di grandezza.

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⏰ Ultimo aggiornamento: Sep 16 ⏰

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