capitolo 7

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Ero in ritardo, ma nessuno si sarebbe accorto della mia assenza. Forse nemmeno Jannik. Quando arrivai, tutto il suo team era concentrato su di lui e mio padre quasi non si era accorto di me.
Rimasi lì a guardare, incantata dalla sua bravura. L'allenamento durò tutta la mattina e mi sorprese di notare una certa delusione da parte del tennista alla fine. Mi avvicinai a lui e lo abbracciai in gesto di saluto. Jannik mi chiese:«come sono andato?» e io risposi:«sta sera lascerai tutti senza parole». Avevo una ciocca che stava fuori dalla treccia, Jannik me la spostò dietro l'orecchio e chiese:«ne sei sicura?». Io replicai:«sì, perché non ho mai visto una persona giocare come te.» Jannik mi accennò il sorriso e
mi prese la mano, stringendomela forte. Poi si avvicinò e mormorò:«grazie ancora per ieri». Non era un granché come azione,  ma lui l'aveva apprezza. Gli sorrisi e risposi:«quando avrai bisogno di me io ci sarò.» Vidi Jannik andare con il suo team, rimasi in campo da sola per qualche minuto prima di recarmi in camera. Chi sa cosa sarebbe successo se avessi preso una strada diversa.

Avevamo appena pranzato, quando ricevetti una notizia che mai mi sarei aspettata. Ero stesa sul letto, il mio telefono squillò. Numero sconosciuto. Risposi alla chiamata. Una voce di un uomo, che non riuscivo a riconoscere, mi chiese:«lei è Sophie Roberts?». Risposi di sì, con voce confusa. L'uomo disse:«sua madre, Margaret, è morta sta mattina. Accanto al comodino c'era un biglietto firmato da lei stessa che chiedeva di contattarti in caso di sua morte.» Freddamente, chiesi:«e che cosa dovrei fare? È morta. Ha rovinato la mia famiglia, non lavorava e non mi ha lasciato niente.» L'uomo aggiunse:«lo so, ero il suo secondo marito e mi dispiace. Nella sua lettera Margaret chiedeva perdono. Se vuoi te la faccio recapitare.» Replicai:«non mi interessa, puoi bruciarla. Ho sprecato anni della mia vita chiedendomi cosa ci fosse di sbagliato nella nostra famiglia da farla scappare. Mi sono data la colpa per molto tempo, soffrivo. Un pezzo di carta non risolverà niente.» Lui non rispose e io attaccai. Qualcuno mi bussò alla porta, aprì. Era Jannik. Lui entrò e, senza scambiarci parola, lo abbracciai. Mi tremavano le mani. Avevo appena rifiutato l'unica cosa che dimostrava un pochino dell'affetto che mia madre provasse per me. Avevo fatto bene? Sono stata stupida? Jannik si dovette abbassare e io appoggiai la testa tra l'incavo del suo corpo.

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